Church Pocket/28. Il Pontefice della misericordia ma soltanto per i suoi favoriti

A   l tempo dei Sanfedisti, nel 1799, Il cardinale Fabrizio Ruffo e le sue truppe dell’Armata della Santa Fede entrarono a Napoli il 13 giugno. L’evento fu l’inizio della fine della neonata Repubblica Napoletana, sbocciata sull’ondata napoleonica europea. Questo fatto scosse le coscienze di tutti i partenopei; i repubblicani furono tutti uccisi per impiccagione o decapitazione ed oggi, alcune vie e piazze ricordano la nefasta ecatombe con la denominazione “Martiri del 1799”, i martiri della Repubblica. Questo episodio storico è rimasto nella memoria popolare: canti tradizionali ricordano la strage, come il “Canto dei Sanfedisti”; illustrazioni popolari, come quella che vedere qui di fianco. Quando, nel gergo dialettale, dalle mie parti, si dice: facc succerer o 13 re giugn (faccio succedere il 13 di giugno) ci si riferisce a quella strage. Il braccio duro di Ferdinando IV, a seguito della repressione del 1799, si rinsaldò e il popolo, per tenersi buono il re diceva: “Ogg e semp, viv o Rè” (Oggi e sempre, viva il Re). 
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Illustrazione popolare del tempo raffigurante Sant'Antonio di Padova che protegge l'Armata della Santa Fede.

I tempi erano ovviamente diversi, si era sudditi di poteri assoluti o relativamente illuminati. Per dirla con le parole di Virgilio: “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”. La docilità di Virgilio che si affida supinamente al volere dell’Alto, ahimè, non mi appartiene. E neanche mai mi vien da pensare “Ogg e semp, viv o Rè” riferendomi a Papa Francesco. Come onestamente detto in quell’articolo sul caso Viganò e chiaramente intuibile nelle mie riflessioni sulle cattive e maldestre uscite del Papa, mi pongo in quel movimento spontaneo, non organizzato, di partigianeria cattolica, rimanendo nel recinto della Chiesa Cattolica. Per fortuna, più sua che mia, non sono suddito del Papa alla stregua dei napoletani di Ferdinando IV. Io posso avere una opinione di dissenso anzi, la mia formazione mi impone di essere voce di dissenso. È proprio per amore della Chiesa che non posso tacere. Colgo questa ghiotta occasione fornitami dal Sig. Germano Bosisio, che ringrazio per il suo intervento e la sua opinione, per spiegare le mie posizioni circa questo pontificato. 

1.Modernismo o Eresia? 
Iniziamo con una precisazione lessicale: in teologia modernismo e modernità non sono sinonimi. Non a caso non ho usato la parola “modernità” riferendomi a Papa Francesco. Esempio teologico di modernità nel contesto sono gli ultimi anni del pontificato di Pio XII – in particolare con la prima riforma liturgica avviata nel 1945 – la straordinaria esperienza di Giovanni XXIII con il Concilio Vaticano II, le poche parole che ci ha lasciato Giovanni Paolo I – quelle, ad esempio, sulla “maternità di Dio” – il grande e complicato pontificato di Giovanni Paolo II – con l’attenzione ai giovani e la sua teologia del corpo – la politica interconfessionale di mediazione di Benedetto XVI – caratterizzata dalla “pace” con i tradizionalisti con il motu proprio Summorum Pontificum, gli accordi con le Chiese Ortodosse e Anglicane. 

L'eresia sostanziale del modernismo è stata una delle questioni che la Chiesa Cattolica ha affrontato dal XIX secolo. Il primo papa che la cita è Pio IX. Questa corrente teologica nasce sulla scia dell’illuminismo francese mescolata a teorie massoniche, che cercava di armonizzare la dottrina cattolica con le nuove idee filosofiche, scientifiche e storiche dell'epoca. In realtà fu un maldestro tentativo di snaturalizzare la cattolicità della Chiesa di Roma e della Tradizione della fede cattolica. Il modernismo non è un'eresia unica ma una raccolta di tendenze teologiche, filosofiche e bibliche:

- la tendenza a vedere la fede solo come un'esperienza personale e soggettiva piuttosto che come adesione a verità oggettive e rivelate;
- il modernismo tende a plasmare la dottrina cattolica sulle nuove tendenze socio-culturali moderne;
un immanentismo religioso, che consiste nella visione che la religione e Dio possano essere compresi soprattutto e solo attraverso l'esperienza interiore dell'individuo annullando il senso ecclesiale di comunità e di Popolo di Dio sia del cristianesimo, sia di tutte le religioni che prevedono un senso comunitario.
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Pio X definì il modernismo come “la sintesi di tutte le eresie” e lo condannò fermamente. L'enciclica “Pascendi Dominici Gregis” del 1907 elenca gli errori modernisti e stabilisce misure per combatterne la diffusione all'interno della Chiesa. Pio XII (in foto) continuò la lotta contro il modernismo, condannando quelle che considerava nuove deviazioni dottrinali con l’enciclica “Humani Generis” del 1950. Persino Papa Pacelli, vessillo dei modernisti non molto studiosi, criticò alcune interpretazioni liberali della Scrittura e della teologia che minacciavano l'ortodossia cattolica. La risposta cattolica al modernismo è sicuramente il Concilio Vaticano II, dove Tradizione e modernità si fondono per rispondere alle esigenze del Popolo di Dio nei tempi moderni. Paolo VI, nel discorso di chiusura del Concilio Vaticano II del 1965 dice: “La religione del Dio che si è fatto uomo si è incontrata con la religione (perché tale è) dell'uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Un combattimento, una lotta, un anatema? Poteva esserlo, ma non è avvenuto” a prova che il connubio Tradizione-Modernità esiste è non è la deriva modernista. Papa Francesco, teologicamente – se si può parlare di teologia bergogliana – è rimasto legato al populismo argentino, collegato anche alla teologia della liberazione, teologia condannata con le istruzioni della Congregazione della Dottrina della Fede Libertatis nuntius, del 1984, e Libertatis conscientia, del 1986. 
Con il suo pontificato è riemerso il neo-modernismo degli anni ’50, in Germania Francia e Olanda. La prima sbandata modernista la leggiamo nella sua prima Esortazione Apostolica, la Evangelii gaudium del novembre 2013, scritta da Victor Manuel Fernández che oggi è il Prefetto della Dottrina della Fede. L’esortazione ha la presunzione di attaccare enciclica Fides et ratio, uno scritto magistrale composto a quattro mani: Giovanni Paolo II e Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, pubblicata nel 1998. L’enciclica di Woytila riprende il tema della ragione umana, supportata e formata dalla filosofia di Socrate e di tutta la scuola greca successiva come Platone e Aristotele, come base per la fede e il ragionamento teologico, nel principio “Conosco per credere e credo per conoscere”. Bergoglio e Fernández ringraziano sì i due predecessori, ma poi dichiarano in Evangelii gaudium, al punto 129, che è necessario trovare “nuove formule” per l’annuncio del Vangelo, una “nuova sintesi”, legando la Buona Novella a ogni specifica cultura. I due però, non hanno capito il contenuto della Fides et Ratio quando, al punto 72 dice in proposito: “  Quando la Chiesa entra in contatto con grandi culture (…) non può lasciarsi alle spalle ciò che ha acquisito dall’inculturazione nel pensiero greco-latino. Sarebbe andare contro il disegno provvidenziale di Dio, che conduce la sua Chiesa lungo le strade del tempo e della storia”. Forse era scritto troppo difficile e nella traduzione dallo spagnolo qualcosa è andato storto. Fides et ratio sostiene che la fede va pensata e tutte le dottrine, per essere pensate, hanno bisogno di una filosofia. Chi superbamente pensa di poter fare a meno della filosofia ha già abbracciato un’altra filosofia. Quella di Papa Francesco è chiara, se leggiamo i suoi scritti, non i commentini dei giornali a lui amici.
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2.Il Pontefice della Misericordia solo per i suoi favoriti.
Papa Francesco, sin dai primi gesti, ha dato l’idea di impostare il suo pontificato mostrando il volto misericordioso del Padre. L’idea mi ha trovato davvero molto favorevole poiché conosco e credo in un Dio che è più abbraccio accogliente che bacchetta punitiva. Pur trovandomi d’accordo con l’dea quando ne parla, nei fatti quel che dice non trova realizzazione. Ecco solo alcuni esempi che alimentano questa mia tesi:

Il caso argentino di Monsignor Gustavo Zanchetta.
Monsignor Zanchetta è un vescovo argentino, un intimo amico di Papa Francesco, accusato di abuso sessuale da seminaristi. Inoltre, ha avuto problemi di carattere finanziario nella sua diocesi. Francesco gli chiede le dimissioni, che lui prontamente presenta per motivi di salute. Dopo pochi mesi, nel dicembre 2017, Papa Francesco lo nomina “assessore” dell’Apsa, incarico creato ad hoc, di cui ad oggi ancora non si conoscono le effettive funzioni. La scelta è stata fatta - spiega il comunicato del portavoce vaticano - «in considerazione della sua capacità gestionale amministrativa»; tale ruolo, si precisa, «non prevede comunque responsabilità di governo del Dicastero». Il 4 marzo 2022 è stato condannato dal Tribunale di Orán a quattro anni e mezzo di carcere per violenza sessuale su due ex seminaristi. Poco prima della sentenza, la Santa Sede ha avuto la decenza di rimuoverlo da questo incarico. Ad oggi è ancora vescovo, seppur non abbia nessuna diocesi. 

Il Collegio Cardinalizio.
P  apa Francesco ha elevato a cardinali molti vescovi solo per il merito di essere suoi sostenitori personali, come il cardinale Blase Cupich di Chicago e il cardinale Joseph Tobin di Newark, entrambi considerati progressisti e vicini al pontefice​. Non ha mai nominato cardinali tanti vescovi di merito, che guidano Chiese locali prestigiose non solo per la storia ma anche per la caratura teologica e pastorale. È il caso dell’Arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, diventato emerito nel 2022; anche Sua Ecc.za il Patriarca di Venezia Mons. Francesco Moraglia ha avuto lo stesso infausto destino solo per essere stato molto vicino a Benedetto XVI. Il caso più brutto però riguarda la nostra terra, la nostra diocesi. L’Arcidiocesi di Milano è tra le cinque più popolose del mondo, senza considerare chi si trova solo domiciliato qui per studio e lavoro; oltre al fatto che il vescovo di Milano è capo-rito, ossia capo del rito Ambrosiano. Mons. Mario Delpini guida con onestà, fermezza, dottrina e carità la grande diocesi di Milano dal 2017. La sua colpa: essere libero, non aver bisogno di incensare alcun uomo, manco il papa. La Chiesa di Milano non ha avuto il merito da Bergoglio di avere un Vescovo Cardinale ma in compenso Cristo, Sommo Pastore della sua Chiesa, ha donato alla Chiesa di Ambrogio un uomo di fede, di dottrina, un uomo buono come suo Pastore. 
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Trattamento di teologi critici.
Il Papa ha mostrato molta poca misericordia e tolleranza verso teologi e chierici critici sulla gestione della sua chiesa. Il cardinale Raymond Burke, un noto critico delle posizioni bergogliane, è stato rimosso da prefetto della Corte Suprema della Segnatura Apostolica, uno dei tribunali della Santa Sede. Pur non condividendo personalmente il modo in cui il Cardinale Burke prega e celebra perché credo che a volte si sfoci nella teatralità, il Prelato è un fine canonista, uno dei migliori conoscitori delle leggi di Diritto Canonico, di Diritto Ecclesiastico e di Diritto Vaticano. Nel 2023 gli toglie anche l’emolumento spettante ai cardinali. Alcuni giornali, sempre i due o tre amici del papa, rubricarono questa scelta come “educazione”: il papa educa i cardinali. 

I privilegi concessi a Marko Ivan Rupnik
N  onostante le accuse di abuso sessuale e psicologico su suore, Rupnik, teologo pittore gesuita (in foto una delle sue opere), è stato riabilitato rapidamente. Nel 2020, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha confermato che Rupnik era stato scomunicato latae sententiae per aver assolto una donna con cui aveva avuto rapporti sessuali, ma la scomunica è stata revocata dopo pochi giorni, senza una chiara spiegazione pubblica​​. Rupnik ha continuato a svolgere il suo ministero e le sue attività artistiche senza interruzioni significative, nonostante le gravi accuse a suo carico. Le decisioni prese nei confronti di Rupnik non sono state adeguatamente spiegate, alimentando la percezione, non solo mia, che siano stati applicati due pesi e due misure​. Rupnik ha ricevuto protezione da chierici potenti e da influenti membri della Compagnia di Gesù, ordine religioso di Papa Francesco. 
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Potrei continuare l’elencazione, come per il Becciu, immollato sull’altare mediatico del “è meglio che uno solo muoia per tutto il popolo” (Giovanni, 18, 14). L’unica colpa di Becciu è stata la totale ingenuità e il fidarsi del Papa. L'ex cardinale Theodore McCarrick è stato uno dei più alti prelati della Chiesa Cattolica coinvolti in scandali di abuso sessuale, coperto e stra-coperto. Senza dimenticare, a casa nostra, la difesa pubblica del Papa verso il vescovo di Piazza Armerina, Mons. Michele Pennisi, che ha coperto i casi di violenza sessuali di don Rugolo. Intercettazioni acquisite dalla procura, che hanno portato alle condanne, dimostrano che persone vicinissime al papa sapevano delle violenze e, cosa ancor più grave, il nostro Bergoglio del cuore, ha rubricato pubblicamente le accuse delle vittime come “atti di calunnia” verso i preti. 

Pur avendo scritto molto, ho esaurito solo la metà delle argomentazioni, dei fatti, a sostegno della mia tesi. Non si tratta semplicemente di una mia presunta chiusura alla novità: con alcune mie posizioni, come quella sugli omosessuali, sulle diaconesse, ho dimostrato di non essere un “talebano teologico cattolico” ma i gesuiti mi hanno insegnato che “contra factum non datur argumentum”. Nel prossimo numerò chiuderò l’argomentazione a sostegno del mio giudizio, quasi sempre poco positivo, circa questo nefasto pontificato.
Rubrica a cura di Pietro Santoro
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