Reportage dalla Bosnia dei GinSong: presentato a Lomagna

Un peluche, un vestito-pagliaccetto per neonati, una macchina da cucire. Sono alcuni degli oggetti che i bambini bosniaci avevano voluto conservare e portare con sé a tutti i costi nel momento in cui con le proprie famiglie avevano dovuto abbandonare casa per mettersi in salvo dalla guerra. Un modo per aggrapparsi disperatamente all’idea di un’infanzia normale, che ormai era stata violata. A distanza di trent’anni, questi oggetti sono esposti al War Childhood Museum di Sarajevo, città che è stata visitata dal 24 al 28 luglio da un gruppo della compagnia meratese GinSong.
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Il viaggio dei tredici brianzoli, che ha fatto tappa anche a Prijedor, Kevljani, Kozarac, Banja Luka e Mostar, è stato raccontato dai partecipanti in un reportage presentato a Lomagna venerdì 6 settembre. Un ritorno all’auditorium lomagnese di via Roma, a distanza di due mesi e mezzo dal precedente racconto sull’esperienza in Campania tra le realtà che si occupano di antimafia e legalità. I ricordi dei bambini esposti al museo sono stati proiettati venerdì scorso, con le storie dei legittimi proprietari tradotte e poi interpretate da alcuni ragazzini della nostra zona che hanno prestato la propria voce.
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Nella capitale, che durante l’assedio serbo tra il 1992 e il 1995 registrò 10 mila morti, i GinSong hanno pure visitato quel che resta del tunnel che collegava la città all’area presidiata dalle Nazioni Unite. 800 metri scavati a colpi di piccone e a mani nude per traghettare civili e beni di prima necessità, dunque sopravvivenza e speranza. Oggi di quella infrastruttura di fortuna restano 25 metri e il rifugio privato trasformato in museo, per non dimenticare cosa ha rappresentato per tante persone comuni quel foro nel cuore di un’Europa che era stata a guardare lo spettro della pulizia etnica come non si vedeva dalla caduta del nazifascismo. Nonostante la presenza del contingente ONU, che dimostrò tutti i suoi limiti, alla fine la guerra in Bosnia ha mietuto oltre 100 mila vittime, la maggior parte tra la popolazione indifesa.
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Il momento della partenza dei GinSong sui pullmini

Durante la trasferta la compagnia ha consegnato del materiale scolastico a due scuole elementari e dei beni di prima necessità alla Croce rossa locale e a realtà del Terzo settore del posto, un’operazione riuscita anche grazie alla cena di raccolta fondi del 20 luglio all’oratorio di Pagnano. Il tramite per la riuscita di questa carovana di solidarietà è stata l’associazione Most Mira, letteralmente “ponte di pace”. I partecipanti alla “spedizione” da Merate hanno conosciuto i suoi volontari. “Abbiamo incontrato i ragazzi di Most Mira, un gruppo di giovani che, proprio come noi, vede nell’arte un collante per unire le persone, sfruttando la bellezza della musica, del teatro, della danza e del canto” ha detto all’auditorium di Lomagna una componente dei GinSong.
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Guardando la piantina del cimitero di Sarajevo

In particolare, la compagnia meratese ha ritrovato il fondatore di Most Mira, Kemal Pervanić, conosciuto nel 2019 durante la prima esperienza in Bosnia dei GinSong. Giornalista, scrittore e attivista, Pervanić è un sopravvissuto a uno dei 962 campi di prigionia, quello di Omarska, dove era stato rinchiuso quando aveva 20 anni. Ha spiegato il contesto storico, le cause della guerra che, oltre alle vittime, ha determinato lo spostamento di 2,2 milioni di profughi interni.
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Con la morte di Tito nel 1980, il delicato equilibrio jugoslavo non reggeva più. Il progetto di creare una sola identità nazionale era fallito, mentre cresceva il senso di appartenenza ai gruppi etnico-linguistici, agitati da personalità violente a partire dal serbo Milošević. Nel 1981 solo il 5,4% degli abitanti si definiva di nazionalità jugoslava. Grazie agli appoggi internazionali Croazia e Slovenia nel 1991 superavano il processo di indipendenza, mentre la Bosnia, lasciata sola, ha dovuto fare i conti con le forti divisioni etniche interne e la volontà di Milošević di costituire una “grande Serbia”.
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“Da quando Kemal si è salvato – hanno detto i GinSong – ha iniziato il suo viaggio nella memoria, con l’obiettivo di usare le parole e l’arte al fine di non dimenticare, diventando così punto di riferimento della narrazione post-bellica ed umanitaria a livello internazionale”.
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Una missione che può apparire come una lotta pacifica contro i mulini a vento. Da almeno un secolo in quelle terre popolate da tante etnie serpeggia “forse una rabbia antica, generazioni senza nome che urlavano vendetta”. Già alla fine della prima guerra mondiale, che aveva decretato il crollo dell’impero austro-ungarico, la proclamazione del Regno dei serbi, croati e sloveni (riconosciuto a livello internazionale all’interno del Trattato di Versailles del 1919) poteva far sorgere qualche dubbio sull’identità del progetto jugoslavo. Fin dal principio la componente serbo-ortodossa puntava a imporsi sui cattolici croati e sloveni e sulle composite regioni come Bosnia, Montenegro e Macedonia.
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Ma, nonostante la scia di sangue e a costo di essere tacciati come visionari, i volontari di Most Mira trovano conforto nei risultati che ottengono dai loro faticosi progetti di integrazione e dialogo tra culture. Durante il soggiorno dei GinSong, insieme ai ragazzi bosniaci c’erano anche serbi e svizzeri, tutti mossi da uno spirito di pacificazione tra i popoli. In quei giorni era in corso la 11^ Summer School on Peacebuilding and Human Rights, organizzata proprio dall’associazione di Kemal Pervanić. Insieme si sono confrontati sul retaggio storico-culturale del conflitto jugoslavo e sui rapporti tra Italia e Bosnia. Quanto le nuove generazioni in Italia sanno della Bosnia? Quanto poco se ne parla nei programmi scolastici italiani? Quanto sono influenzati dall’ideologia i libri di storia studiati nelle classi in Bosnia, dove l’Istruzione gode dell’autonomia differenziata nei 13 cantoni? Quanto faticoso potrà essere l’ingresso in Europa della Bosnia, soprattutto con la guerra in Ucraina in corso? Queste sono alcune delle domande a cui i giovani hanno tentato di darsi risposta.
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Alternando momenti di musica e ballo, nella serata di venerdì i GinSong hanno poi raccontato di aver partecipato, sempre grazie a Most Mira, ad un laboratorio sul Teatro dell’Oppresso, una modalità teatrale di comunità coniata da Augusto Boal nel Brasile degli anni Sessanta che propone la rappresentazione di condizioni di conflitto su cui il pubblico può intervenire per simulare la risoluzione dei problemi. Una sorta di palestra virtuale per allenarsi al cambiamento sociale. Nello specifico, il laboratorio è servito per rielaborare il trauma della guerra civile bosniaca.
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Il gruppo meratese ha inoltre lavorato con il pedagogista Amar Velagić, interagendo a livello artistico coi suoi ragazzi, anche attraverso le danze tradizionali. A Banja Luka, c’è stato invece un tavolo di discussione con giovani attivisti locali di un circolo artistico-culturale sui temi dei diritti umani e dell’identità culturale. Rispetto al primo viaggio in Bosnia, i GinSong questa volta hanno avuto modo di confrontarsi con più realtà sociali.
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Da questa recente esperienza nei Balcani, la compagnia teatrale di Merate ha tratto un messaggio positivo, a partire dalle “ferite di un conflitto che ha sconvolto le vite di migliaia di persone, ma che hanno avuto il coraggio di risollevarsi”, ha detto una ragazza del gruppo. I GinSong hanno infine ringraziato tutte le persone che si sono attivate per dare vita alla catena di solidarietà segnata dal loro viaggio. Un ringraziamento ricambiato dal pubblico in auditorium con un forte applauso.
M.P.
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