Prevalenza e autonomia differenziata

Nel visionare velocemente alcuni passati contributi apparsi nella rubrica “Ci hanno scritto” mi sono imbattuto in un paio di scritti che reputo ancora attuali, e peraltro spesso ancora trattati dai lettori. Quindi vorrei in qualche modo poter commentare.

Premetto che da sempre sono restio a intervenire su altrui scritti i cui autori non si qualificano compiutamente e rimango sempre dell'idea che tutte le valutazioni siano almeno potenzialmente legittime, e magari anche interessanti, ma assumersene completamente la responsabilità mi sembrerebbe quantomeno esercizio di costruttivo e consapevole civismo teso ad un reale confronto.

In questo senso il sig, Sergio Fenaroli avrebbe già vinto sul sig.Piero ( la guerra di Piero, di De Andreiana memoria?) e sul solito sig. Emilio.https://www.merateonline.it/notizie/137595/non-dovranno-prevalere https://www.merateonline.it/notizie/137594/la-guerra-del-meridione-all-autonomia-differenziata https://www.merateonline.it/notizie/137600/non-prevarranno .

Al di là della solita e spesso pretestuosa polemica, in chiave di presunte rigide appartenenze politiche tesa a ridurre la fondatezza delle reciproche argomentazioni, quello che mi interesserebbe focalizzare, anche i fini di un costruttivo confronto, sono le affermazioni del sig. Piero.

Una vera e propria elencazione, secondo lui, di più o meno fondati luoghi comuni sui “meridionali” che sembra voler ergere a campioni di riferimento presunti meriti “settentrionali”.

Da settentrionale quale sono non posso non ritenere perlomeno dannoso questo modo di pensare per tanti motivi limitandomi però, anche per esigenze di sintesi, a quest'unica considerazione che mi sembra centrale.

Posto che la “situazione meridionale”, perlomeno per alcuni aspetti, sia come la dipinge lui, il sig.Piero se la sentirebbe di “fare un fascio unico di tante erbe”? Se la sentirebbe di sentirsi giudicato e a volte addirittura discriminato per il semplice fatto di essere nato al Sud?

Se la sentirebbe, ad esempio, di essere accomunato alle cosche mafiose quando magari le si combatte a costo della vita? O magari ci si oppone a certo clientelismo pagando di persona la coerenza di farlo?

Non le sembrerebbe più giusto che per risolvere certi “mali” anche endemici ( guardi ad esempio la prassi delle tangenti ed annessi “fenomeni”così diffusi nel tanto virtuoso Nord come anche la massiccia evasione fiscale che pure permea tutte le regioni del nostro martoriato Paese...) ci possa essere perlomeno una comunanza d'intenti trasversale tra gli abitanti delle varie le regioni ( banalizzando un po', una specie di patto tra gli onesti) finalizzata a contrastare il malcostume e il malaffare? Una lotta serrata, tutt'altro che un buonismo di facciata, che, proprio perché scevra da interessi particolari e cementata da un comune sentire, possa dare effettivi risultati. Del resto è arcinoto il motto “Divide et impera”.

Come del resto qualcuno diceva che non c'è cosa più ingiusta che far parti uguali tra diseguali accomunando “vittime” e “oppressori”. E non mi si dica che “tocca a loro” ribellarsi alle mafie e al malaffare visto ne siamo ormai permeati tutti.

E questo vale per molte altre questioni (a partire da quella tristemente “via nazionalistica” che sta producendo disastri planetari) che hanno alla base lo stesso “verbo”: alimentare ciò che divide invece che cercare ciò che unisce, valorizzando pure le differenze ai fini di un scopo comune.

In questo senso come non nutrire perlomeno dubbi, se non peggio, sulla tanto malamente osannata Autonomia Differenziata?

Tutto quanto sopra esposto rappresenta una facile e retorica utopia o rappresenta l'unica strada per garantire un futuro degno a tutti?

Ognuno giudichi.
Germano Bosisio
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