Imbersago: tanti cittadini in piazza sotto il balcone da cui parlò l'Eroe dei due Mondi
IL DISCORSO DEL SINDACO
L’eccezionale ricorrenza del 17 marzo ci offre l’occasione di celebrare la storia del nostro Paese, ricordandoci che dentro il grande contenitore dei 150 anni dell’Italia unita si è snodato un lunghissimo percorso di avvenimenti, grandi e piccoli, positivi e negativi. Lo scopo di questa nostra manifestazione nella piazza intitolata dai nostri avi a Giuseppe Garibaldi vuole certo richiamare gli eventi fondamentali che hanno condotto alla nascita dello Stato unitario italiano, ma intende soprattutto rafforzare in tutti noi – e ci auguriamo anche nei più giovani – la consapevolezza delle responsabilità nazionali che ci accomunano.
Permettetemi anzitutto di ringraziare chi ha reso possibile questo singolare evento, a partire dal Gruppo alpini di Imbersago, sempre al nostro fianco nelle celebrazioni istituzionali e con il quale daremo vita tra poco alla cerimonia dell’ammainabandiera e di omaggio al tricolore. Un grazie, poi, a Veronica e Paolo, giovani che tra breve ci regaleranno l’emozione della lettura del testo dell’Inno di Mameli; alla Pro Loco per il consueto e prezioso supporto tecnico; alla famiglia Frigerio, per l’abituale cortesia con cui ci concede gli spazi privati della propria casa e che oggi ci permette di allestire sul balcone da cui parlò Garibaldi nel 1848 una singolare coreografia con questo bellissimo pannello dedicato al Risorgimento, opera di Franco Perego, che ringraziamo. Un grazie a tutti coloro che a vario titolo hanno reso possibile questa giornata, con un pensiero particolare al nostro Assessore Giovanna Riva per il suo impegno di coordinamento. Un grazie anche al nostro parroco, don Bruno Croci, per la sua presenza con noi.
Provo oggi a “rileggere” l’Unità d’Italia andando un po’ controcorrente, attraverso un percorso ideale tra le vie e le costruzioni-simbolo del nostro Comune, in mezzo ai nomi e luoghi che scandiscono la nostra quotidianità e ai quali guardiamo ogni giorno un po’ distrattamente, senza meditare troppo sui motivi che hanno indotto le generazioni passate ad attribuire quelle intitolazioni di strade ed edifici civili e religiosi.
Se lasciamo un attimo da parte la toponomastica di Imbersago a valenza prettamente locale, possiamo facilmente renderci conto che essa è dominata da figure luminose che in varie epoche (prima e dopo l’Unità del 1861) hanno servito e reso onore all’Italia nei più svariati ambiti. In questo rapido “giro ideale” per il nostro paese, troviamo nientemeno che la straordinaria figura di San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, affiancato da altre straordinarie figure di martiri e Santi che insieme alla storia della Chiesa hanno fatto nell’antichità anche quella della nostra penisola, quali San Paolo e i Santi Marcellino e Pietro. Abbiamo poi una via dedicata a Dante Alighieri, sommo poeta, padre della lingua italiana e autore Divina Commedia, universalmente considerata la più grande opera scritta in italiano e uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale.
E non manca il Rinascimento, con il grande Genio Leonardo da Vinci, artista, scienziato e pittore, che nel ‘500 ha tra l’altro illustrato in uno dei suoi codici un traghetto sull’Adda del tutto simile al nostro, in un tempo nel quale il nostro fiume rappresentava il confine fra i diversi Stati della Serenissima e del Ducato di Milano. Conviene ricordare, qui oggi, che anche Imbersago, con l’Adda e il suo traghetto, è stato per secoli, fino alla fine del ‘700, un paese di frontiera! Ecco poi Michelangelo Buonarroti uno dei più grandi artisti di sempre, scultore, pittore, architetto e poeta italiano, seguito da Galileo Galilei, fisico, astronomo e matematico, padre della scienza moderna.
Ma gran parte delle nostre vie hanno come protagonisti personaggi dell’’800, in buona misura e a vario titolo legati al processo unitario che celebriamo oggi: su tutti Alessandro Manzoni, il “gran lombardo”, poeta e scrittore straordinario, fra i più grandi di tutti i tempi, amante e ammiratore dei luoghi che tutti i giorni abbiamo davanti al nostro sguardo. «Liberi non sarem, se non siam uni», è la celebre frase del Manzoni in onore dell’auspicata Unità d’Italia, che vediamo riprodotta oggi anche in questa piazza. Accanto a lui, Cesare Cantù, storico e letterato, nativo di Brivio, sui cui libri si sono formate intere generazioni di studenti, e l’abate Antonio Stoppani, geologo, paleontologo e patriota italiano, nato a Lecco e tra i protagonisti delle Cinque Giornate di Milano insieme a Carlo Cattaneo. Non mancano vie dedicate a Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini, compositori considerati unanimemente tra i massimi operisti della storia, per arrivare poi a Camillo Cavour e Giuseppe Garibaldi, protagonisti assoluti del Risorgimento insieme a Vittorio Emanuele II e Mazzini. Cavour è il fine tessitore di alleanze internazionali che portano via via il Piemonte ad aggregare attorno a sé il processo unitario italiano e diventa 150 anni fa come oggi, il 17 marzo 1861, il Primo Presidente del Consiglio italiano al momento della proclamazione del Regno d’Italia, poco prima di veder spegnere la sua breve vita: morirà infatti tre mesi dopo…
Le vie di Imbersago ci propongono altri importanti personaggi-simbolo italiani del Ventesimo secolo, appena concluso: a partire da Cesare Battisti (ufficiale degli alpini impiccato a Trento nel 1916 dagli austriaci, patriota italiano, geografo, giornalista e politico, fu tra l’altro deputato al Parlamento di Vienna in rappresentanza del Trentino, al pari di Alcide De Gasperi, destinato quest’ultimo a diventare nel secondo dopoguerra uno dei padri costituenti della Repubblica e dell’Europa Unita e Presidente del Consiglio del “Miracolo italiano”). E poi ancora Giacomo Matteotti e Antonio Gramsci, vittime rispettivamente delle violenze e delle galere della dittatura fascista; Aldo Moro, rapito e barbaramente ucciso per mano di terroristi rossi; Enrico Mattei, comandante partigiano e fondatore dell’industria energetica nazionale dopo la seconda guerra mondiale; Sandro Pertini, combattente della Prima Guerra Mondiale, comandante partigiano e poi Presidente della Repubblica; lo scienziato Enrico Fermi e il fisico e inventore Guglielmo Marconi, autori di scoperte rivoluzionarie nei rispettivi campi dell’energia e della comunicazioni; l’editore Giulio Einaudi; il beato Ildefonso Schuster (Arcivescovo di Milano nei difficili anni a cavallo della guerra) e il suo successore, Giovanni Battista Montini, poi diventato Papa Paolo VI, al quale è dedicato il nostro oratorio, per arrivare al beato Papa Giovanni XXIII, al quale è dedicata alla Madonna del Bosco, Santuario al quale era affezionatissimo, un’imponente statua bronzea. Proprio cinquant’anni fa, come oggi, fu Papa Giovanni a pronunciare le seguenti parole nel corso di una visita ufficiale del Presidente del Consiglio italiano: «La ricorrenza - disse - che in questi mesi è motivo di sincera esultanza per l’Italia, il centenario della sua unità, ci trova sulle due rive del Tevere partecipi di uno stesso sentimento di riconoscenza alla Provvidenza del Signore». Una frase che sottolinea il definitivo superamento delle contrapposizioni ottocentesche legate alla questione romana, frutto di politiche di largo respiro che nel corso del periodo unitario hanno consentito di dare felicemente vita a un caso praticamente unico al mondo ed esemplare: la città di Roma come capitale di due Stati indipendenti e sovrani, che oggi festeggiano insieme, attraverso i massimi rappresentanti, questa ricorrenza.
Un pensiero particolare credo vada tributato in questa occasione a Giuseppe Garibaldi, generale, patriota e condottiero di imprese militari compiute in Europa e in Sudamerica, tra i personaggi storici italiani più celebri nel mondo. Il balcone della villa ex-Albini e una targa in pietra affacciati di fronte a noi sulla piazza centrale del paese, ancora oggi intitolata all’eroe dei due mondi, ricordano il soggiorno di Garibaldi a Imbersago, avvenuto oltre 160 anni fa, in piena epopea risorgimentale, al termine della cosiddetta prima guerra di indipendenza. Il testo inciso nel marmo sintetizza così quel momento: «Nella triste ritirata dopo Custoza, con la legione lombarda fiore d’Italo sangue, alfiere Giuseppe Mazzini, la sera del 4 agosto 1848, Giuseppe Garibaldi da questo balcone arringava il popolo ed ospite della famiglia Albini qui pernottava».
Proviamo a ricostruire quel contesto storico: nel marzo 1848, a seguito delle Cinque giornate di Milano, con gli austriaci in ritirata nelle loro fortezze situate nel basso Garda, si era prospettata l’occasione per rifare la carta politica dell’Italia, grazie all’intervento del Re piemontese Carlo Alberto, che riuscì nelle settimane successive ad invadere praticamente tutta la Lombardia. Purtroppo la condotta incerta di quel conflitto consentì alle truppe del maresciallo Radetzky di sfondare le linee piemontesi a Custoza, il 23 luglio 1848, avanzando sulla Lombardia. Garibaldi era tornato in Italia da poco meno di un mese, dopo quattordici anni trascorsi in Sudamerica fra mille imprese e quel giorno si trovava a Milano. Lui e Mazzini erano visti con diffidenza dai piemontesi, a causa delle loro idee repubblicane, secondo divisioni partigiane sempre presenti nella storia risorgimentale. In quel clima di caos e disastro generale, Garibaldi provò a organizzare una difesa e il 31 luglio giunse a Bergamo alla guida di millecinquecento uomini armati. Fu raggiunto da Mazzini il 3 agosto e per la prima volta, ci dicono gli storici, i due si trovarono fianco a fianco pronti al combattimento nella legione ricordata dalla nostra targa; combattimento che però non ci fu, perché la sera di quel giorno giunse ad entrambi l’ordine di rientrare a Milano, dove si sarebbe tentato di respingere Radetzky ad ogni costo. Da qui iniziò il ripiegamento. Possiamo immaginare che il 4 agosto Garibaldi sia giunto da Bergamo a Imbersago attraversando l’Adda con il traghetto (i ponti non c’erano…). La targa ci ricorda che Garibaldi arringò il popolo da quel balcone e possiamo immaginare che i contenuti del suo discorso siano stati gli stessi del proclama da lui emesso il giorno dopo, con il quale invitava i giovani a unirsi sotto la sua bandiera per “discacciare l’aborrito nemico”. A Milano Garibaldi non arrivò mai, nonostante la sua volontà di opporre un’estrema residenza agli austriaci. Gli storici ci raccontano che in quella notte d’estate dalle colline della nostra zona si vedevano verso Milano i bagliori del cannoneggiamento austriaco. Il giorno successivo la rotta fu totale e le diserzioni di moltiplicarono: Mazzini in fuga verso la Svizzera, Re Carlo Alberto chiese l’armistizio e si mise in fuga con i resti del suo esercito da Milano per varcare il Ticino e far ritorno in Piemonte. Garibaldi partì da qui il 5 agosto e decise di marciare su Como, in attesa pure lui di riparare in Svizzera… I successi sul suolo italico li avrebbe colti un bel po’ di tempo dopo, ma ci rimane di quei giorni la testimonianza storica di come il Risorgimento sia stato nelle sue varie fasi una vicenda convulsa e drammatica, come tutte le guerre…
Tornando all’oggi e concludendo, cari concittadini, facciamo nostre le parole pronunciate poche settimane fa a Bergamo, fra gli applausi degli amministratori locali, dal Presidente della Repubblica, al quale rivolgo un sincero saluto e ringraziamento esteso a tutte le istituzioni repubblicane: «Senza Risorgimento, senza Stato nazionale unitario – ha sottolineato il Capo dello Stato -, l'Italia sarebbe rimasta, se non una semplice “espressione geografica”, una pura entità ideale nel ricordo di un lontano glorioso passato e nel richiamo a una sua identità linguistica e culturale. La frammentazione e la dipendenza da Stati stranieri ci avrebbero condannato all'impotenza e all’arretratezza. Grazie all'Unità, l'Italia è entrata nella modernità, ha preso il suo posto nell'Europa dell'Ottocento e del Novecento, e dopo l'aberrazione del fascismo e la tragedia della guerra ha partecipato alla costruzione della nuova Europa comunitaria. L'unità nazionale nella ricchezza del suo pluralismo e delle sue autonomie locali, e l'unità europea, con queste stesse caratteristiche, sono oggi leve insostituibili per far sì che l'Italia assolva il proprio ruolo in un mondo globalizzato».
L’Italia, cari concittadini, pur fra luci e ombre, vittorie e sconfitte, è una faccenda che riguarda tutti, anche noi cittadini di un piccolo Comune. Ce lo ricorda la Costituzione, laddove recita che «la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali», «adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento» e sancisce che «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato». Ci siamo anche noi, cari concittadini. Oggi è anche e soprattutto la nostra festa. Autonomia significa certo solidarietà istituzionale e sociale, nel comprendere che non si può trattare un piccolo Comune montano come una grande città, o un povero come un ricco. Ma autonomia vuol dire soprattutto responsabilità nella corretta e oculata gestione delle risorse pubbliche, senza alibi di sprechi e ruberie, riconoscendo ai territori come il nostro, ingiustamente penalizzati per decenni, il giusto ruolo per rispondere sempre più alle esigenze dei cittadini di oggi e di domani. Questa è l’Italia che vogliamo e per la quale abbiamo l’orgoglio di lavorare…
Chiudo davvero con una frase del grande patriota, uomo di cultura dell’’800 e oggi beato Antonio Rosmini, che morì poco prima di veder avverare il sogno dell’Italia unita: «Non trattasi di organizzare un’Italia immaginaria, ma l’Italia reale. L’unità nella varietà è la definizione della bellezza. Ora la bellezza è per l’Italia».
Giovanni Ghislandi
Sindaco di Imbersago