Merate: “L'Altra metà del cielo” racconta la sua donna

Sono 31 volontarie che ogni giorno si destreggiano tra colloqui con le vittime di violenza e la gestione delle case di accoglienza, nonchè le attività di sensibilizzazione sul territorio e nelle scuole e la gestione del magazzino con i beni necessari a dare supporto a chi, da un minuto con l'altro, è dovuto scappare dal focolare domestico.

La sede è a Merate in via san'Ambrogio, il numero di emergenza è attivo h24, sette giorni su sette (tel 039.990.06.78) perchè la barbarie non conosce pausa pranzo o festività, e ci sono staff di professionisti (psicologi, avvocati, educatori, mediatori culturali) pronti a entrare in azione al bisogno.
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Le volontarie allo stand in piazza Prinetti
Nella giornata di sabato, in cui vetrine, vasi, soprabiti si sono agghindati di un mazzetto giallo di mimosa, le volontarie dell'Altrà metà del cielo, guidate da Amalia Bonfanti, hanno voluto raccontare la realtà che c'è oltre l'8 marzo, che è ben diversa dai festeggiamenti e dai sorrisi dietro cui per qualche ora si celano drammi famigliari.
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Nel 2024 sono state 166 le donne che si sono rivolte agli sportelli dell'associazione, nata nel 1997, con una provenienza afferente prevalentemente all'area meratese e casatese. 103 di costoro sono “nuovi accessi” mentre 63 sono persone accolte negli anni precedenti e che ancora oggi vengono seguite nei percorsi individuali confezionati in base alla loro situazione.
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Il 66% sono italiane di una età compresa tra i 30 e i 50 anni ma il fenomeno che sta emergendo ora è l'aumento dell'età con vittime anche settantenni che chiedono aiuto e che spesso sono in fuga dalla violenza domestica messa in atto dai figli (con problemi generalmente di tossicodipendenza).

Il tasso di scolarizzazione, diversamente da quanto si possa pensare, è alto: oltre il 50% possiede un diploma e il 18% una laurea.
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Agnese, Gloria e Amalia nella sede di via sant'Ambrogio
La maggior parte di coloro che si rivolge allo sportello ha figli e non ha reddito e questo rappresenta una “dipendenza” verso l'aguzzino, costringendo alla permanenza fra le mura domestiche nonostante le violenze. Da qui il ruolo fondamentale e salvifico di tutto quanto l'associazione mette in atto per liberare la donna e proteggerla dai soprusi.
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È a questo punto che si collocano gli interventi, di prima (in emergenza) o di seconda accoglienza nelle case a disposizione del sodalizio dove trovano riparo, per un periodo minimo di sessanta giorni, le vittime spesso accompagnate dai figli.
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Ed è da qui che si avvia un percorso, personalizzato, di ripartenza che punta a dare l'autonomia con un lavoro, una abitazione (tra i fattori più difficili da reperire) e una nuova vita.

Se il 70% delle donne che si rivolge allo sportello è italiana, il 70% di coloro che deve fare ricorso a una casa di accoglienza è straniero.
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Le violenze sono di diverso tipo (psicologiche, fisiche,..) e spesso multiple e solo il 40% sfocia in una denuncia.

Il maltrattante per il 70% è italiano che ha una relazione con la persona (fidanzato, marito, compagno, ex) e sta crescendo il numero dei casi con figli come aguzzini.

Insomma un quadro in evoluzione sotto certi aspetti e per altri invece stabile, che mostra la necessità di proseguire con il lavoro di sensibilizzazione a partire dalle giovani generazioni e di informazione in tutti i contesti dove, raggiungendo il maggiore e più ampio numero di persone, si possa far passare il messaggio e se serve anche tendere la mano a chi ne ha bisogno ma non sa, non osa, teme di essere sola.

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S.V.

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