Mattia oggi avrebbe compiuto 32 anni. Ma c’era la morte in agguato quel 31 luglio 2012. Come si vive dopo la perdita di un figlio? I genitori: 'Non c’è più vita vera'
Quest'oggi Mattia Fumagalli avrebbe compiuto 32 anni. Per lui e per la sua famiglia le lancette della vita si sono fermate alla confluenza tra via degli alpini e via fratelli Cernuschi a Merate il 31 luglio del 2012 quando in sella alla sua amata Cagiva nera si è schiantato contro un'auto che gli ha tagliato la strada mentre si recava al doposcuola. Un impatto che non gli ha lasciato scampo.Così anche nella casa di via Fornace dove vivono mamma Rachele e papà Franco il tempo sembra essersi fermato, quasi in attesa che quella risata fragorosa e quell'irrequietezza incontenibile di Oge prima o poi tornino a squarciare il velo di dolore e silenzio che ancora faticano a sollevarsi, per lasciare spazio al corso della vita.
La camera di Mattia è rimasta intatta: il suo lettino al centro della luminosa stanza, con alle pareti le fotografie autografate dei suoi campioni, le immagini da bambino sui primi bolidi a due ruote, il computer, lo stereo, i pupazzetti sulla mensola. Qui si respira Mattia e tutta la sua essenza di giovane desideroso di azzannare la vita in ogni istante, di sbranarne ogni attimo per assaporarlo sino in fondo. I pochi anni che Mattia ha vissuto sono stati così: pieni, intensi, carichi di emozioni e di forza.
Difficile stargli al passo e per amici e famigliari era un trascinatore, uno di quelli che in compagnia porta sempre l'allegria, l'azione, che riesce a guardare il bello delle cose, anche di quelle brutte.
Ma lui viveva per le moto e il suo sogno era quello di comperarsi una Ducati 748 gialla e un carrello per trasportare le sue due ruote in pista.
Mattia aveva avuto la sua prima moto a 4 anni. Ma già prima il rombo del motore del papà lo rapiva. “Lo mettevo sul serbatoio della mia moto e lo portavo in giro” ha raccontato Franco “mi aspettava quando tornavo dal lavoro e poi partivamo subito. Andavamo fino a Trezzo e tornavamo indietro. Era felicissimo”.
Una passione che negli anni era cresciuta e che lo aveva portato a sporcarsi anche le mani con olio, grasso, catene, cinghia, motore. Mattia e il babbo, infatti, lavoravano assieme nel garage di famiglia per assemblare i pezzi, riparare quelli danneggiati e rimettere a nuovo vecchi gioiellini.
“Quando c'era il sole non si poteva tenerlo: saliva in sella e partiva” ha ricordato con un sorriso Rachele “Amava il lago: Bellagio, Como, Lecco. Partiva felice e tornava che lo era ancora di più”.
La Cagiva era la sua Lady. Il suo mito naturalmente Valentino Rossi.
E poi amava nuotare (“in acqua era un'anguilla”), pattinare, andare in montagna. L'hard-rock era la sua passione e la casa ne risentiva quando lo stereo picchiava i brani dei suoi artisti preferiti. Come assemblava le moto, così i computer e le play station, riuscendo anche a fare diversi lavoretti per amici e parenti, per guadagnarsi degli spiccioli da utilizzare per l'acquisto del carrello. “Era riuscito a mettere via diversi soldi che abbiamo ritrovato successivamente in una scatola” ha raccontato la mamma.
Un sogno che non è mai riuscito a realizzare.Era un martedì, quel 31 luglio, e Mattia era uscito per le ripetizioni a Merate. Avrebbe dovuto andarci il giorno precedente ma aveva chiesto di rimandare.
“Ha pulito tutta la casa, sistemato piatti e pentole in cucina e poi è uscito. Non lo faceva mai, era una cosa molto strana. Quando siamo tornati dall'ospedale quel giorno e abbiamo trovato la cucina e la sala in ordine ci siamo stupiti e abbiamo pensato che forse lui sentiva qualcosa, forse qualcosa lo aveva spinto a mettere tutto in ordine” hanno raccontato i genitori.
Sia mamma Rachele che papà Franco quel giorno erano al lavoro. Salvatore Gugliotta e Gigi Viganò, i due storici agenti di polizia locale di Paderno, li avevano chiamati per conto dei colleghi di Merate, per avvisarli che il figlio aveva avuto un incidente e che si trovava all'ospedale di Merate. Erano stati vaghi, senza entrare nei dettagli della gravità che si era rivelata in tutto il suo dramma nella corsia del pronto soccorso quando ormai non c'era più nulla da fare. Il tempo si era fermato.
Per diversi anni la mamma non è mai riuscita a passare dal luogo della tragedia, l'angolo di via degli alpini la traversa che collega via fratelli Cernuschi con via Turati. Qui la zia Marinella ha creato un piccolo angolo dedicato a Mattia con la sua foto, un lumino e dei fiori.
“Io invece ci passo spesso” ha raccontato papà Franco, spesso in sella alla Cagiva nera o a una delle moto che stavo assemblando con Mattia “mi fermo davanti alla sua foto, faccio due accelerate come per salutarlo e me ne vado. Quando guido uno dei nostri bolidi parlo a mio figlio, è come se fosse con me. Dopo la sua morte ho terminato le moto che stavamo preparando assieme e gliele ho portate al cimitero, nella cappella di famiglia. Sono rimaste con lui un giorno”.
Dalla sua passione per le due ruote, il desiderio di ricordarlo proprio nel modo che lui amava. È nata così la motofiaccolata che da 12 anni raduna centauri da tutta la Lombardia, presso il centro sportivo di Paderno per un pomeriggio intero. Esposizioni di moto e auto, la partenza per un giro portando la pettorina con la foto di Mattia e uno slogan, e poi il ritrovo tutti assieme per la santa Messa e una serata di convivialità i cui proventi vengono destinati a enti benefici e da qualche anno al “Granaio”, casa alloggio per disabili adulti.
“La motofiaccolata per noi è un momento per far rivivere Mattia, per noi è come se fosse lì. Iniziamo a prepararla e a prendere contatti con le varie realtà mesi prima. E quel giorno è un momento di tristezza ma anche di gioia nel vedere tanti amici di nostro figlio e anche persone che non lo conoscevano che però si ritrovano in sua memoria. Quel giorno è come riportare Mattia in vita”.Ma si può sopravvivere alla morte di un figlio?
“E' pura sopravvivenza, non c'è più la vita vera. La gioia non c'è più e riesci a sorridere solo con le persone giuste. È un percorso di sali-scendi. Se vuoi andare avanti devi stare impegnato, darti uno scopo. E la motofiaccolata ci aiuta molto. Non bisogna isolarsi, altrimenti è finita. Anche le feste, i compleanni, gli anniversari non sono più gli stessi. Hanno un sapore diverso e non puoi pensare di viverli come prima altrimenti è solo dolore”.
Per trovare un ambiente e persone che condividessero serenamente la loro vita mutata, Rachele e Franco hanno iniziato a frequentare il gruppo “Famiglie in cammino”, accomunate dalla perdita di un figlio. Il ritrovo una volta al mese e poi le vacanze assieme. “Quando la tua vita viene stravolta da una tragedia simile, niente è più come prima. Andare in vacanza con coppie che hanno figli o che ricevono telefonate da nipotini che tu non avrai mai, è un dolore. E quindi cerchi persone giuste con cui stare”.Mattia era una esplosione di amore: per i famigliari (in particolare la cugina Elena), gli amici, le sue moto. E poi Luna, il suo cagnolino che dormiva sotto il suo letto e così ha fatto per tanto tempo anche quando quelle lenzuola sono rimaste per sempre immobili. Luna se ne è andata recentemente, portandosi via un pezzetto che Mattia aveva lasciato di sé in casa.
Un grande aiuto è arrivato dalla Fede che li ha aiutati a superare i momenti più dolorosi e poi c'è stato qualche segno inspiegabile. “Un anno eravamo tornati dal pellegrinaggio a Roma dal Papa. In cucina avevamo lasciato un cesto con delle mele gialle. Sulla buccia di una di queste era impressa chiaramente la scritta “Ciao”...per noi è stato un segno inspiegabile. E ci piace pensare che sia stato Mattia a salutarci”.
La camera di Mattia è rimasta intatta: il suo lettino al centro della luminosa stanza, con alle pareti le fotografie autografate dei suoi campioni, le immagini da bambino sui primi bolidi a due ruote, il computer, lo stereo, i pupazzetti sulla mensola. Qui si respira Mattia e tutta la sua essenza di giovane desideroso di azzannare la vita in ogni istante, di sbranarne ogni attimo per assaporarlo sino in fondo. I pochi anni che Mattia ha vissuto sono stati così: pieni, intensi, carichi di emozioni e di forza.
Difficile stargli al passo e per amici e famigliari era un trascinatore, uno di quelli che in compagnia porta sempre l'allegria, l'azione, che riesce a guardare il bello delle cose, anche di quelle brutte.
Ma lui viveva per le moto e il suo sogno era quello di comperarsi una Ducati 748 gialla e un carrello per trasportare le sue due ruote in pista.
Mattia aveva avuto la sua prima moto a 4 anni. Ma già prima il rombo del motore del papà lo rapiva. “Lo mettevo sul serbatoio della mia moto e lo portavo in giro” ha raccontato Franco “mi aspettava quando tornavo dal lavoro e poi partivamo subito. Andavamo fino a Trezzo e tornavamo indietro. Era felicissimo”.
Una passione che negli anni era cresciuta e che lo aveva portato a sporcarsi anche le mani con olio, grasso, catene, cinghia, motore. Mattia e il babbo, infatti, lavoravano assieme nel garage di famiglia per assemblare i pezzi, riparare quelli danneggiati e rimettere a nuovo vecchi gioiellini.
“Quando c'era il sole non si poteva tenerlo: saliva in sella e partiva” ha ricordato con un sorriso Rachele “Amava il lago: Bellagio, Como, Lecco. Partiva felice e tornava che lo era ancora di più”.
La Cagiva era la sua Lady. Il suo mito naturalmente Valentino Rossi.
E poi amava nuotare (“in acqua era un'anguilla”), pattinare, andare in montagna. L'hard-rock era la sua passione e la casa ne risentiva quando lo stereo picchiava i brani dei suoi artisti preferiti. Come assemblava le moto, così i computer e le play station, riuscendo anche a fare diversi lavoretti per amici e parenti, per guadagnarsi degli spiccioli da utilizzare per l'acquisto del carrello. “Era riuscito a mettere via diversi soldi che abbiamo ritrovato successivamente in una scatola” ha raccontato la mamma.
Un sogno che non è mai riuscito a realizzare.Era un martedì, quel 31 luglio, e Mattia era uscito per le ripetizioni a Merate. Avrebbe dovuto andarci il giorno precedente ma aveva chiesto di rimandare.
“Ha pulito tutta la casa, sistemato piatti e pentole in cucina e poi è uscito. Non lo faceva mai, era una cosa molto strana. Quando siamo tornati dall'ospedale quel giorno e abbiamo trovato la cucina e la sala in ordine ci siamo stupiti e abbiamo pensato che forse lui sentiva qualcosa, forse qualcosa lo aveva spinto a mettere tutto in ordine” hanno raccontato i genitori.
Sia mamma Rachele che papà Franco quel giorno erano al lavoro. Salvatore Gugliotta e Gigi Viganò, i due storici agenti di polizia locale di Paderno, li avevano chiamati per conto dei colleghi di Merate, per avvisarli che il figlio aveva avuto un incidente e che si trovava all'ospedale di Merate. Erano stati vaghi, senza entrare nei dettagli della gravità che si era rivelata in tutto il suo dramma nella corsia del pronto soccorso quando ormai non c'era più nulla da fare. Il tempo si era fermato.
Per diversi anni la mamma non è mai riuscita a passare dal luogo della tragedia, l'angolo di via degli alpini la traversa che collega via fratelli Cernuschi con via Turati. Qui la zia Marinella ha creato un piccolo angolo dedicato a Mattia con la sua foto, un lumino e dei fiori.
“Io invece ci passo spesso” ha raccontato papà Franco, spesso in sella alla Cagiva nera o a una delle moto che stavo assemblando con Mattia “mi fermo davanti alla sua foto, faccio due accelerate come per salutarlo e me ne vado. Quando guido uno dei nostri bolidi parlo a mio figlio, è come se fosse con me. Dopo la sua morte ho terminato le moto che stavamo preparando assieme e gliele ho portate al cimitero, nella cappella di famiglia. Sono rimaste con lui un giorno”.
Dalla sua passione per le due ruote, il desiderio di ricordarlo proprio nel modo che lui amava. È nata così la motofiaccolata che da 12 anni raduna centauri da tutta la Lombardia, presso il centro sportivo di Paderno per un pomeriggio intero. Esposizioni di moto e auto, la partenza per un giro portando la pettorina con la foto di Mattia e uno slogan, e poi il ritrovo tutti assieme per la santa Messa e una serata di convivialità i cui proventi vengono destinati a enti benefici e da qualche anno al “Granaio”, casa alloggio per disabili adulti.
“La motofiaccolata per noi è un momento per far rivivere Mattia, per noi è come se fosse lì. Iniziamo a prepararla e a prendere contatti con le varie realtà mesi prima. E quel giorno è un momento di tristezza ma anche di gioia nel vedere tanti amici di nostro figlio e anche persone che non lo conoscevano che però si ritrovano in sua memoria. Quel giorno è come riportare Mattia in vita”.Ma si può sopravvivere alla morte di un figlio?
“E' pura sopravvivenza, non c'è più la vita vera. La gioia non c'è più e riesci a sorridere solo con le persone giuste. È un percorso di sali-scendi. Se vuoi andare avanti devi stare impegnato, darti uno scopo. E la motofiaccolata ci aiuta molto. Non bisogna isolarsi, altrimenti è finita. Anche le feste, i compleanni, gli anniversari non sono più gli stessi. Hanno un sapore diverso e non puoi pensare di viverli come prima altrimenti è solo dolore”.
Per trovare un ambiente e persone che condividessero serenamente la loro vita mutata, Rachele e Franco hanno iniziato a frequentare il gruppo “Famiglie in cammino”, accomunate dalla perdita di un figlio. Il ritrovo una volta al mese e poi le vacanze assieme. “Quando la tua vita viene stravolta da una tragedia simile, niente è più come prima. Andare in vacanza con coppie che hanno figli o che ricevono telefonate da nipotini che tu non avrai mai, è un dolore. E quindi cerchi persone giuste con cui stare”.Mattia era una esplosione di amore: per i famigliari (in particolare la cugina Elena), gli amici, le sue moto. E poi Luna, il suo cagnolino che dormiva sotto il suo letto e così ha fatto per tanto tempo anche quando quelle lenzuola sono rimaste per sempre immobili. Luna se ne è andata recentemente, portandosi via un pezzetto che Mattia aveva lasciato di sé in casa.
Un grande aiuto è arrivato dalla Fede che li ha aiutati a superare i momenti più dolorosi e poi c'è stato qualche segno inspiegabile. “Un anno eravamo tornati dal pellegrinaggio a Roma dal Papa. In cucina avevamo lasciato un cesto con delle mele gialle. Sulla buccia di una di queste era impressa chiaramente la scritta “Ciao”...per noi è stato un segno inspiegabile. E ci piace pensare che sia stato Mattia a salutarci”.
Saba Viscardi