LIBRI CHE RIMARRANNO/104: "Nella stanza dell'imperatore" di Sonia Aggio
Su queste pagine ho scritto cose belle del primo romanzo di Sonia Aggio, “Magnificat” e speravo tanto in questo suo secondo lavoro, che non mi ha convinto del tutto.
Aggio imbocca qui la strada del romanzo storico, ricostruendo le complesse trame degli intrighi politico-militari e familiari della corte imperiale bizantina alla fine del I sec. d.C.
Il lavoro è meritorio, se non altro perché offre al grande pubblico dei non specialisti l’occasione di riscoprire storie di un impero che nel nome si diceva ancora romano, e in quanto tale il romanzo si fa leggere bene.
Colpisce la personalità multiforme del condottiero Giovanni Zimisce, cresciuto con gli zii materni della potentissima famiglia dei Foca, fedele aiutante dello zio Niceforo, imperatore, cui succederà in modo travagliato.Disturba e interroga il comportamento della sensuale e infida Teofano. Ed è qui che Aggio perde il confronto con Il fuoco greco di Luigi Malerba, che era ambientato negli stessi corridoi, ma con ben altro piglio stilistico.
So che la storia bizantina è una passione quasi radicale nella Aggio, e immagino che dopo il successo di critica di Magnificat abbia ritenuto fosse il momento giusto per tirar fuori dal cassetto questo romanzo. Che è un appassionante romanzo d’avventura, e poco più. Ci prova, la Aggio, nella figura delle tre streghe, a evocare le atmosfere stranianti e drammatiche di Magnificat, ma non ci riesce. Forse occorreva maggiore pazienza – quella che il mercato editoriale non concede – per mettere quel talento originario al servizio di una storia come questa, troppo più grande e potente per essere raccontata solo come un’avventura.
Aggio imbocca qui la strada del romanzo storico, ricostruendo le complesse trame degli intrighi politico-militari e familiari della corte imperiale bizantina alla fine del I sec. d.C.
Il lavoro è meritorio, se non altro perché offre al grande pubblico dei non specialisti l’occasione di riscoprire storie di un impero che nel nome si diceva ancora romano, e in quanto tale il romanzo si fa leggere bene.
Colpisce la personalità multiforme del condottiero Giovanni Zimisce, cresciuto con gli zii materni della potentissima famiglia dei Foca, fedele aiutante dello zio Niceforo, imperatore, cui succederà in modo travagliato.Disturba e interroga il comportamento della sensuale e infida Teofano. Ed è qui che Aggio perde il confronto con Il fuoco greco di Luigi Malerba, che era ambientato negli stessi corridoi, ma con ben altro piglio stilistico.
So che la storia bizantina è una passione quasi radicale nella Aggio, e immagino che dopo il successo di critica di Magnificat abbia ritenuto fosse il momento giusto per tirar fuori dal cassetto questo romanzo. Che è un appassionante romanzo d’avventura, e poco più. Ci prova, la Aggio, nella figura delle tre streghe, a evocare le atmosfere stranianti e drammatiche di Magnificat, ma non ci riesce. Forse occorreva maggiore pazienza – quella che il mercato editoriale non concede – per mettere quel talento originario al servizio di una storia come questa, troppo più grande e potente per essere raccontata solo come un’avventura.
Rubrica a cura del prof. Stefano Motta