Robbiate: "La Caduta dell'occidente" di Ignazio Ravasi per riflettere. Un'isola di ricchezza contro un oceano di povertà

“Tante domande, molte provocazioni, qualche risposta” così ha descritto il suo nuovo libro “La caduta dell’occidente” Ignazio Ravasi, all’inizio della sua presentazione alla Villa Concordia di Robbiate nel tardo pomeriggio del 12 luglio.
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Ignazio Ravasi e il vice sindaco Antonella Cagliani

Durante la presentazione ad affiancarlo era presente il vice sindaco Antonella Cagliani, che di tanto in tanto leggeva alcuni dei suoi passaggi preferiti del libro commentandoli insieme all’autore.

Questo libro ruota attorno a cinque questioni fondamentali: L’esaurimento della spinta propulsiva dell’occidente, la presa di coscienza in quanto l’uomo è natura che parla, la potenza della tecnica oggi, il superuomo e l’uomo potenziato dalla tecnica, e la necessità di nuovi paradigmi che ridefiniscano il modo di pensare e agire sul mondo.

Queste cinque questioni si sviluppano in dieci riflessioni, che sono esercizio di pensiero critico e anche provocazioni. Alcuni passaggi sono “pugni allo stomaco portati volontariamente per osservare la reazione dell’altro” come li definisce l’autore.

La prima riflessione è chiamata “L’uomo è una nullità”, una nullità molto importante e privilegiata, basti pensare che il 97,3% è la massa totale della vivente rappresentata dal regno vegetale il 2,7% è la percentuale del regno animale della quale noi facciamo parte ma ricopriamo solo lo 0,01% di esso nell’intera biomassa, che da sola, oggi, è tuttavia in grado di mettere in crisi il 99,99% dei viventi sul nostro pianeta. Questa prima riflessione termina con un interrogativo: la specie umana è molto fragile, ma abbiamo combinato tali danni climatici da risultare ormai irreparabili. In questo orizzonte non dovremmo umilmente contemplare, non solo la possibilità della caduta dell'Occidente, ma l'inevitabile estinzione della nostra specie?
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La seconda invece “La belva umana” tratta di come l'uomo, via via nel corso della sua storia, è venuto maturando, a partire da Platone, l'idea del "pensiero" come qualcosa di speciale, tanto da autoconvincersi che "il pensiero" lo renda simile all'essere eterno, alla divinità, a Dio. In questa parabola c'è anche la spiritualità e la religiosità; abbiamo creato Dio e tanti dei nella nostra storia. Infatti cosa rimarrebbe mai da creare se esistesse un Onnisciente Dio Eterno? Ma questo testimonia soltanto che, anche Dio, tutti gli dei, sono soltanto il frutto della rappresentazione umana, e che semmai dovremmo interrogarci sul perché prima li "creiamo" e poi li “uccidiamo". Questa seconda riflessione si conclude con un pensiero che ha sfiorato la mente dell’autore mentre scriveva: Che il vero volto dell'Occidente, nella sua fase di caduta, sia quello di un potere prepotente, camuffato dai belletti e dalle maschere di Hollywood.

La terza riflessione riguarda il pensiero dell’autore per la quale scienza e tecnica appartengono alla natura tecnica dell'uomo. L'uomo è un animale tecnico. Tecnico è il linguaggio, tecnico è l'uso delle mani, tecnica è la sua dote di consentire alla specie umana di adattarsi ai mutamenti, di costruire e di distruggere. Tuttavia nella tecnica vi è anche un pericolo, la potenza della bomba atomica, per fare un esempio, la potenza di apparati militare tecnici sempre più sofisticati e distruttivi, la potenza dell'uso della macchina tecnico scientifica al servizio di pochi ricchi per l'obnubilazione delle menti, nella azione di alienazione dell'essenza umana.

Questo ci porta quindi alla quarta riflessione basata sul fatto che l'uomo contemporaneo corrisponderebbe ormai alla definizione di Superuomo, non nel senso di un "essere superiore", ma di essere un uomo potenziato dalla tecnica. In questo tempo presente, ogni creatura, in particolare dell'Occidente, sembra vivere distrattamente il dono del suo presenziare nel mondo. Colui che è (il Superuomo) pensa o finge di pensare e creare, ma niente o quasi gli procura un piacere, una soddisfazione, un'emozione positiva o negativa: tutto viene vissuto distrattamente.

Il buio è invece la quinta riflessione infatti se scaviamo nel passato, e nel futuro per trovare un senso, una ragione della nostra esistenza troviamo solo buio. O meglio troviamo solo una costante, che siamo noi a creare, a costruire, a disegnare il mondo, senza un perché, giacché il nostro stare, lo stare di ciascuno di noi è racchiuso in quel corpo che nasce, vive e muore senza un apparente perché. Il punto di svolta sta però nella sesta riflessione “cultura è natura che parla, l’uomo è natura che parla”. La ormai improrogabile questione eco-logica ci costringe a ripensare il senso di ciò che chiamiamo abitualmente «cultura» (vale a dire l'insieme dei comportamenti umani in rapporto al resto del Pianeta) e di ciò che chiamiamo «natura» (ovvero, per lo più e molto superficialmente, tutto ciò che esula dalla dimensione culturale). È necessario un ripensamento che anzitutto si faccia carico della insostenibilità filosofica e politica della supposta differenza “sostanziale" tra questi due piani e delle gravi conseguenze che la loro opposizione di principio ha generato per l'intero Pianeta e per il futuro della vita umana (e non solo umana). Per altro verso, poiché tutto il nostro rappresentare si manifesta e agisce nel sociale, nel politico, questa riflessione pone un tema politico: se tutto è rappresentazione umana, e ogni rappresentazione contiene l'esercizio della potenza. È la forza della potenza che determina l'egemonia della potenza più forte. Dunque, vince la rappresentazione che è in grado di esercitare la maggior potenza, ma sempre di potenza umana si tratta, per cui ogni gloria, ogni regno, ogni rappresentazione e potenza umana, contengono la loro sconfitta, la loro fine. Così sarà anche per la Potenza dell’Occidente?

La settima riflessione vede l’occidente come un buco nero, cioè un'isola di grande ricchezza che si è costruita attraverso lo sfruttamento di risorse materiali e umane appartenenti a "territori e popoli non occidentali". L'Occidente non capisce che questa situazione di disparità innaturale tra la ricchezza delle proprie genti e la povertà di tutti gli altri popoli, non è più tollerabile. O siamo in grado di elaborare e praticare una politica di integrazione (graduale) tra tutti i popoli oppure saremo condannati a erigere mura dalle quali sparare ai due terzi della popolazione della Terra. Per un po' di tempo riusciremo a fermarli, questi popoli affamati, ma alla fine ci sbraneranno.
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Elisabetta Codara, Ignazio Ravasi, Antonella Cagliani

Questo ci porta all’ottava riflessione chiamata “Un’isola di ricchezza contro un oceano di povertà”. Oggi la comunità si è globalizzata per questo occorre un pensiero e un linguaggio che corrispondano a questa globalità, e l'Occidente, che ha elaborato tutto questo, deve cessare di fare la vittima, di comportarsi come fosse una cittadella indifesa. Occorre proporre un mondo giusto per tutti, non solo per pochi, non solo per l'Occidente. Solo in questo modo si potrà affrontare il pericolo rappresentato dagli istinti selvaggi della bestia tribale che è in ognuno di noi e in ogni nazionalismo. Chi si illude di rimuovere i problemi del mondo con la forza, aumenterà la portata degli errori che, oggi, stanno conducendo l'umanità verso l'autodistruzione. Forse, soltanto l'alba di un nuovo pensiero, di un pensiero mai pensato, eppure presente nel pensabile, ci potrà salvare.

La nona riflessione porta i lettori ad interrogarsi sul lasciare ogni speranza o sperare di andare oltre. Il confronto oggi in atto è tra il "campo di forze" che sostiene che tutto il futuro sia destinato a compiersi lungo il destino dell'Occidente e l'altra parte del globo che rivendica giustizia. Per questo l'Occidente dovrebbe attrezzarsi per affrontare questa eventualità. Esiste, come piano inclinato, la possibilità che la partita - tra l'Isola ricca e l'Oceano povero - possa drammaticamente risolversi attraverso lo scontro cruento tra il ricco Occidente e il povero.

“Come evitare di finire dentro questo destino drammatico?” Ha domandato al pubblico” per poi continuare “Purtroppo, oggi, solo Papa Francesco sembra preoccupato di indicare un'altra strada, di indicare una speranza.” Infine la conclusione “il silenzio” : che circonda il nostro passato, presente e futuro. E termina con questa affermazione “La sfida, da affrontare con urgenza, riguarda l'impellente compito di pensare un pensiero ancora non pensato, ma contenuto nel pensabile e necessario per fronteggiare la caduta dell’Occidente."
A.Sc.
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