Osnago: copertine di dischi che raccontano un'epoca

Un viaggio nella musica, ma soprattutto un viaggio tra le copertine dei dischi che hanno segnato o raccontato un’epoca. Il Virgilio della situazione, in sala civica a Osnago, è stato Paolo Mazzucchelli, musicologo e divulgatore culturale, esperto di cover art. Un tema questo che ha presentato al pubblico in svariate occasioni e che è diventato anche un libro (“I vestiti della musica”). La conferenza di venerdì sera ha fatto parte della rassegna La Voce del Corpo. Gli organizzatori hanno chiesto al relatore di concentrarsi su quelle copertine schierate dal punto di vista dell’impegno politico o civile.
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L’edizione di quest’anno riflette lo scenario dell’attualità, tra guerre e precaria sensazione di sicurezza, e il tentativo dell’arte di contrastare l’indifferenza. Ne sono un esempio le esposizioni della tela “Gaza” e de “L’albero dei sentimenti” in piazza Vittorio Emanuele II. Così come lo spettacolo in Villa De Capitani con Sulutumana e Marco Continanza, un dialogo tra un presente deturpato e un futuro forse già scritto. Sarebbe stato altrettanto connessa questa tematica la performance I’m the change di Chiara Serafini, che avrebbe danzato domenica 23 giugno circondata dalle opere, dal carico liberatorio, dell’artista iraniana Mahnaz Ekhtiary. A causa del maltempo, l’evento di chiusura della rassegna non si è però potuto svolgere.
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A introdurre per La Voce del Corpo la serata con Paolo Mazzucchelli è stato Marco Molgora, che ha spiegato il filo conduttore della rassegna, anticipando dunque che le copertine dei dischi che sono poi stati illustrati hanno rappresentato delle chiare prese di posizioni politiche e sociali, talvolta risultate delle provocazioni contro il senso comune e il conformismo.

La “cavalcata” del musicologo è cominciata sulle note di Cover di Caparezza, un tributo del cantautore pugliese proprio alle copertine dei dischi che hanno segnato la sua crescita, alcune delle quali sono state citate nel corso della serata. “Le copertine – ha detto Mazzucchelli – parlano e comunicano. Sono parte di un racconto sulla visione del mondo. Sono uno strumento di comunicazione e di marketing e riescono ad esaltare la misura della corporeità”.
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Il percorso è cominciato dai primi dischi jazz a 10 pollici in gommalacca, materiale divenuto introvabile nella Seconda guerra mondiale perché utilizzato a fini bellici. Le incisioni sono dunque passate su supporti in cloruro di polivinile, decisamente più funzionali. E così poteva capitare che sulla busta del vinile di Kenny Burrell ci fosse uno schizzo di un Andy Warhol che non era ancora diventato l’Andy Warhol riferimento della pop art. Mazzucchelli non poteva non citare l’album capolavoro di John Coltrane, iconico fin dalla copertina, con il sassofonista ritratto di profilo, con il volto proteso con decisione in avanti.

Non solo foto, ci sono dischi in cui a dare forza al messaggio sono state le parole stampate a caratteri cubitali, il cosiddetto fenomeno del lettering. “We insist!” è riportato nero su bianco nella cover nel disco di Max Roach, sopra alla foto di archivio delle proteste non violente dei neri che entravano nei bar riservati ai bianchi, chiedevano di essere serviti e rimanevano seduti anche davanti al rifiuto degli esercenti.
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Dal jazz Mazzucchelli ha fatto dei salti tra i generi, passando dal pop dei Beatles al punk dei Clash, al reggae degli UB40, al funky di James Brown, al rock dei Rolling Stones o di Bruce Springsteen, tutti accomunati dalla forte esigenza di evidenziare il contenuto di impegno civile e politico dei propri lavori artistici, contro le storie di emarginazione, violenze, abusi e scandali della classe dirigente. Particolarmente surreali gli esempi di censura sulle copertine che sono stati esercitati anche in decenni non lontani dall’oggi.
M.P.
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