Church pocket/17. Omosessualità, disprezzo di Dio?

La discussione sulle recenti parole del Sommo Pontefice, il mese di giugno tradizionalmente legato al Pride e i feedback del precedente mio scritto sull’omosessualità e sacerdozio, ci offrono l’occasione per approfondire un tema tanto attuale quanto delicato.

A volte incappo in bizzarri personaggi che si affidano alla Bibbia come se fosse “il libro delle risposte”, che apri a casaccio e ti dice verità sulla tua vita, come fosse una gitana che legge la mano. Questo però non è leggere la Bibbia, forse è magia, forse superstizione. Una rilettura delle Scritture che sia inclusiva e contestualizzata potrebbe portare a una maggiore accettazione dell’omosessualità da parte della Chiesa Cattolica, soprattutto perché si sta parlando di persone e storie vere. Alla luce del messaggio d’amore, di comprensione e di accettazione di Gesù Cristo è possibile rivedere la comune posizione e riconoscere sé stessi e gli altri come figli e figlie dello stesso Dio e Padre. La Chiesa è chiamata a riflettere, creando una comunità di fede che celebri nella diversità e rispetti l’umanità nella sua pienezza.

1. Omosessualità e Antico Testamento    
Partiamo dal dato biblico. Dio crea uomo e donna, nel libro della Genesi. Il primo comando che dà agli avi atavici è quello di essere uniti: «Dio creò l'uomo a sua immagine; [...] maschio e femmina li creò» (Gn 1,27); «Siate fecondi moltiplicatevi» (Gn 1,28); «Quando Dio creò l'uomo, lo fece a sua somiglianza» (Gn 5,1-2). In quel fecondi non c’è solo l’idea della mera e automatica riproduzione della specie. Quello lo fanno anche gli animali. È quasi sinonimo di unione che, partendo dal fisico, torna all’interiore e viceversa. Un’unione poliedrica. Il comando primordiale di Dio, quindi, è elementare: siate una caro ossia una sola carne, una sola cosa. Senza stare lì a promulgare norme o decreti attuativi. Fin qui tutti d’accordo. Gli animi si scaldano quando si cita il famoso libro del Levitico, uno dei cinque libri della Legge di Mosè, racchiuso nel Pentateuco. I versetti della discordia solo i seguenti:

«Non avrai con maschio relazioni che si hanno con una donna: è abominio». (Lv 18,22)

«Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; il loro sangue ricadrà su di essi». (Lv 20,13)

Questi due versetti non possono essere letti così, come se fossero due biglietti usciti dai biscotti della fortuna degli all you can eat.  
I testi cui siamo di fronte sono di tipo giuridico. Il primo versetto fa parte della cosiddetta "Legge (o Codice) di santità", il secondo dei due "codici di purità" che regolavano la vita religiosa e civile dell'Israele antico.
Al termine purità, l’Israele del IV secolo – per capirci quello dell’Esilio Babilonese – non dà alcun senso morale piuttosto il concetto è quello di pulizia in senso letterale, contrapposto alla sporcizia. L' impurità era quindi una condizione fisica oggettivamente intesa. Il termine “abominio” in ebraico è to’ebah. Questo è un termine puramente religioso e si può tradurre con “idolatria”. Ne evince che gli uomini che fanno sesso con altri uomini adorano altri dei perché prendono le abitudini dei popoli che circondano Israele, che erano politeisti. Per questo il Codice di Santità rappresenta una serie di prescrizioni religione per mantenere la propria identità, distinta da quella dei popoli limitrofi, per evitare di contaminarsi con le culture vicine. Il Codice in questione, infatti, inizia con queste parole:

«Non farete come si fa nel paese d’Egitto dove avete abitato, né farete come si fa nel paese di Canaan dove io vi conduco, né imiterete i loro costumi». (Lv 18,3)

È questa la chiave ermetica di tutto il codice e del famoso versetto dell’abominio sull’omosessualità. Il "Codice di santità" presenta il sogno, il desiderio ideale di una separazione assoluta fra Israele e ogni cosa impura e soprattutto con le impurità/idolatrie degli altri popoli, sulla non mescolanza etnica-culturale, pronunciando sull'impurità un “no” definitivo con la minaccia dello sterminio qualora si fossero contaminati. Israele si ritiene depositario di particolari tradizioni religiose che è impegnato a difendere dalla contaminazione con gli altri popoli, come conferma anche la storia dei fratelli Maccabei. Questo popolo si vuole mantenere rigorosamente separato dalle altre popolazioni per difendere la propria identità religiosa e, di conseguenza, nazionale.           
In Levitico 18, Dio proibisce nell’ordine i rapporti: tra consanguinei, incestuosi, con donne in fase di ciclo mestruale, con la donna del prossimo, tra uomini, con animali (zoofilia).

In Levitico 20 scende più nel dettaglio e allarga i divieti sessuali per: l’adulterio con la moglie del suo prossimo, i rapporti con la matrigna, i rapporti con la nuora, i rapporti con un uomo come con una donna, il matrimonio con la figlia e la madre, uomini e donne che commettono zoofilia; incesto con sorelle; rapporti con donne mestrue; incesto con zie, sorelle dei genitori e con le mogli degli zii, le zie acquisite; il matrimonio con la moglie del fratello; la negromanzia o la divinazione.

Perché Dio vieta tali rapporti? Il contesto della Legge è quello di un popolo che sta imparando a vivere e a sopravvivere, a non estinguersi. Gli ebrei avevano notato che alcuni rapporti incestuosi generavano prole malata e, attribuendo la malattia del neonato alla punizione divina sui genitori, hanno considerato l’incesto in tutte le sue forme un atto non voluto da Dio. I divieti sessuali si estendono anche ai rapporti tra uomini – solo tra uomini, se stiamo al testo Dio non vieta i rapporti tra donne - per due motivi.

-          Il primo motivo, quello sociale è che il rapporto tra due uomini, per ovvi motivi, non è fecondo. In quella cultura non mettere al mondo dei figli era considerato un abominio: chi non si sposava era considerato alla stregua di un omicida perché negava l’immagine di Dio, ma questo non c’entra niente con la sessualità.

-          Il secondo è un motivo di natura igienica, rifacendosi sempre a quel concetto di purità di cui abbiamo parlato prima. I rapporti tra uomini prevedono l’utilizzo di parti del corpo utilizzate per l’evacuazione. Il contatto con le feci rendeva impuri, come il contatto con i malati e con i morti. Stessa storia per le donne con il ciclo. In sintesi: non sono norme morali ma norme di pulizie. Inoltre non possiamo considerare alcune norme “cadute in prescrizione” solo perché sono culturalmente accettate come andare a letto con la moglie del prossimo e rifiutare la prescrizione per i rapporti tra uomini: o il codice di Purità e il Codice di Santità sono “caduti in prescrizione” nella loro interezza o valgono in tutte le loro parti.

-          Infine, nella società odierna non è più possibile accettare una norma che presuppone e difende un sistema sociale eterosessista.

Ultima considerazione: sia in Levitico 18 che in Levitico 20 il termine “omosessuale” è assente. Anche in tutta la Bibbia ebraica tale termine o sinonimi non esistono. Nei tanto citati versetti del Libro del Levitico non si tratta di omosessualità. Gli atti non aperti alla vita possono essere, sia omosessuali che eterosessuali. Citando i rapporti tra uomini si fa un esempio che palesemente non è fisicamente aperto alla vita.

Se proprio dobbiamo leggere tutta la Bibbia nella sua interezza, dobbiamo anche citare altri brani del Vecchio Testamento. A leggerla bene e tutta, troviamo un passo, nel primo libro di Samuele molto interessante. Ecco la pericope:

«Saul comunicò a Giònata, suo, figlio e ai suoi ministri di aver deciso di uccidere Davide. Ma Giònata figlio di Saul nutriva grande affetto per Davide.». (1 Sam 19,1)

Siamo nella guerra di successione al trono tra Saul e Davide. Dio disconosce Saul come re e ordina al Profeta Samuele di ungere in gran segreto un nuovo re, scelto tra i figli di Jesse: Davide, ultimo di otto fratelli. Gionata nutriva grande affetto per Davide: le parole “grande affetto” sono la traduzione italiana di “khāphětz” che significa piegare, desiderare. Troviamo questa parola anche nel libro della Genesi dove leggiamo:

«Il giovane non indugiò a eseguire la cosa, perché desiderava (khāphětz) la figlia di Giacobbe; d'altra parte era il più onorato di tutto il casato di suo padre.». (Gn 34,19)

Anche nel libro del Deuteronomio compare questo verbo nella seguente frase:

«Se in seguito non ti sentissi più di amarla – la moglie – (khāphětz), la lascerai andare a suo piacere, ma non potrai assolutamente venderla per denaro né trattarla come una schiava,
per il fatto che tu l'hai disonorata.». (Dt 21,14)

Leggendo tutti questi brani, la traduzione che sembra più corretta per il brano di Davide e Gionata potrebbe essere questa:

«Saul comunicò a Giònata, suo figlio, e ai suoi ministri di aver deciso di uccidere Davide.
Ma Giònata figlio di Saul nutriva grande affetto desiderava/amava Davide.»

Lo stesso Davide, alla morte di Gionata sul campo di battaglia dice:

«Tu mi eri molto caro; la tua amicizia era per me preziosa più che amore di donna». (2Sam 1, 26)

Il termine “la tua amicizia” è “‘ahăbātƏkā”, stesso termine che troviamo nel Cantico dei Cantici:

«Sostenetemi con focacce d'uva passa, rinfrancatemi con pomi,
perché io sono malata d'amore (‘ahăbātƏkā) ». (Ct 2, 5)

Quindi la frase potrebbe essere così tradotta:

«Tu mi eri molto caro; la tua amicizia il tuo amore era per me preziosa più che amore di donna».

In conclusione, per quanto mi riguarda, non si riscontra una condanna esplicita dell’omosessualità in tutto l’Antico Testamento.

Il nucleo dell’insegnamento cristiano, rivelato nel Nuovo Testamenti, è l’amore e l’accettazione universali professati Cristo. Nei Vangeli, Gesù si avvicina con amore a tutti e mostra compassione soprattutto per coloro che sono già emarginati dalla società. Pertanto, se accettiamo il vero insegnamento di Cristo come ispirazione per la vita, dovremmo chiederci se l'esclusione delle persone omosessuali sia in linea con il suo messaggio di amore incondizionato.

Nel prossimo scritto approfondiremo il tema nel Nuovo Testamento e vedremo i passi in cui San Paolo condannerebbe l’omosessualità.
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Pietro Santoro, nato a Caserta il 29 dicembre 1990. Primo di tre figli, ho vissuto la mia infanzia e adolescenza alle pendici del Monte Tifata, tra San Tammaro, Santa Maria Capua Vetere e Capua, dove ho frequentato il Liceo Scientifico “L. Garofano”. Nel 2009 mi sono iscritto presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, la sez. San Luigi, conseguendo nel 2014 il Baccellerato in Sacra Teologia, con la valutazione di magna cum laude. Negli stessi anni ho frequentato il Pontificio Seminario Campano Interregionale di Posillipo, il Seminario Maggiore per le arcidiocesi e diocesi della Campania e del meridione d'Italia che ne hanno affidato la direzione alla Compagnia di Gesù (Gesuiti). È il luogo che la Chiesa Cattolica istituisce per la formazione del futuro clero diocesano. Ho frequentato la Pontifica Università della Santa Croce in Roma per la Licenza in Diritto Canonico. Vivo in Lombardia dal 4 novembre 2015 e a Osnago dal 2019. Ho insegnato Religione Cattolica dal 2015 al 2023 presso alcune scuole del meratese ma soprattutto presso la Scuola Primaria “G. Rodari” di Cernusco Lombardone, di cui sono stato Responsabile di Plesso dal 2018 al 2023. Ad oggi sono istruttore amministrativo presso i Servizi Demografici -Ufficio Elettorale – del Comune di Merate, frequento il primo anno della Facoltà di Giurisprudenza della Università degli Studi “G. Marconi”.
Rubrica a cura di Pietro Santoro
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