Imbersago: l'oppressione della donna nel ventennio
Nella serata di venerdì 8 marzo, in occasione della giornata internazionale della donna, l’ex assessore ai lavori pubblici di Calco, nonchè appassionato storico e conoscitore delle vicende locali anche in tempi lontani, Anselmo Luigi Brambilla ha illustrato la condizione femminile durante il ventennio fascista.
Le donne, sotto la dominazione di un governo dittatoriale, subiscono una doppia repressione: quella politica determinata dal regime vigente e quella particolare di genere in quanto donne. L’oppressione maschile, che sottrae spazi e diritti al genere femminile, non è di certo nata durante il fascismo, ma durante questo periodo ha ottenuto una legittimazione che ha reso la donna incapace di sfuggire da un preciso e minimizzante inquadramento. Il motto “Dio, patria famiglia” condannò i ragazzi ad un’osannata carriera militare, mentre le loro sorelle e madri furono etichettate come figure secondarie, destinate solamente a semplici “lavori donneschi”, quali cura della casa, dei figli, taglio e cucito. Pensiero condiviso era l’indiscutibile minore intelligenza della donna, che arrivava a livelli tali da impedirle di capire che la sua maggiore soddisfazione poteva essere trovata solamente all’interno della famiglia.
Ferdinando Loffredo, uno dei maggiori ispiratori intellettuali della politica sociale e della famiglia del regime fascista, affermò nella sua opera “Politica della Famiglia”, che il lavoro femminile creava due danni: rendeva la donna mascolina e causava l'aumento della disoccupazione maschile. Iniziarono dunque dal 1926 ad essere imposte delle leggi che sminuivano, limitavano e impedivano un impiego femminile, insieme ad un aumento che andava dal 30 al 50% delle tasse universitarie per scoraggiare una completa istruzione. Vengono proibiti i contraccettivi e condannato l’aborto, la donna difatti doveva pensare solamente ad essere “l’angelo del focolare”, una moglie devota e una madre prolifica per la patria fascista. La maternità era il contributo principale che le donne potevano dare alla causa politica e sociale, che premiava le famiglie numerose con aiuti economici, l’esclusione dal pagamento di alcune tasse e riconoscimenti di vario livello a seconda del numero dei figli, che idealmente doveva essere superiore a quattro. Il 24 dicembre venne dichiarata “Festa della madre e del fanciullo”, acquisendo maggiore importanza della festività cristiana.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, le donne hanno preso coscienza della criticità della situazione e hanno partecipato attivamente nella lotta partigiana, spesso osteggiate dagli uomini, cresciuti con la concezione di inferiorità del genere femminile. Le donne supportavano i combattenti, garantendo rifornimenti di viveri e armi, accompagnavano e rifugiavano i prigionieri alleati, rischiando costantemente la vita per contribuire alla liberazione. Gianna Rocca, un’impiegata nel comune di Santa Maria di Rovagnate – che incorporava i paesi di Perego, Santa Maria Hoè e Rovagnate – vista la sua capacità di imitare perfettamente la firma del podestà, riuscì a falsificare numerosi documenti e far scappare ebrei e capi partigiani, finché fu scoperta e risparmiata da una condanna solamente grazie alla liberazione del 25 aprile.
Le donne sono dunque sempre state impegnate, e continuano ad esserlo, non solo nella liberazione da governi oppressivi, ma soprattutto nella lotta per ottenere una propria libertà e la concessione di pari diritti e opportunità, non ancora totalmente acquisiti.
Le donne, sotto la dominazione di un governo dittatoriale, subiscono una doppia repressione: quella politica determinata dal regime vigente e quella particolare di genere in quanto donne. L’oppressione maschile, che sottrae spazi e diritti al genere femminile, non è di certo nata durante il fascismo, ma durante questo periodo ha ottenuto una legittimazione che ha reso la donna incapace di sfuggire da un preciso e minimizzante inquadramento. Il motto “Dio, patria famiglia” condannò i ragazzi ad un’osannata carriera militare, mentre le loro sorelle e madri furono etichettate come figure secondarie, destinate solamente a semplici “lavori donneschi”, quali cura della casa, dei figli, taglio e cucito. Pensiero condiviso era l’indiscutibile minore intelligenza della donna, che arrivava a livelli tali da impedirle di capire che la sua maggiore soddisfazione poteva essere trovata solamente all’interno della famiglia.
Ferdinando Loffredo, uno dei maggiori ispiratori intellettuali della politica sociale e della famiglia del regime fascista, affermò nella sua opera “Politica della Famiglia”, che il lavoro femminile creava due danni: rendeva la donna mascolina e causava l'aumento della disoccupazione maschile. Iniziarono dunque dal 1926 ad essere imposte delle leggi che sminuivano, limitavano e impedivano un impiego femminile, insieme ad un aumento che andava dal 30 al 50% delle tasse universitarie per scoraggiare una completa istruzione. Vengono proibiti i contraccettivi e condannato l’aborto, la donna difatti doveva pensare solamente ad essere “l’angelo del focolare”, una moglie devota e una madre prolifica per la patria fascista. La maternità era il contributo principale che le donne potevano dare alla causa politica e sociale, che premiava le famiglie numerose con aiuti economici, l’esclusione dal pagamento di alcune tasse e riconoscimenti di vario livello a seconda del numero dei figli, che idealmente doveva essere superiore a quattro. Il 24 dicembre venne dichiarata “Festa della madre e del fanciullo”, acquisendo maggiore importanza della festività cristiana.
Con l’entrata in guerra dell’Italia, le donne hanno preso coscienza della criticità della situazione e hanno partecipato attivamente nella lotta partigiana, spesso osteggiate dagli uomini, cresciuti con la concezione di inferiorità del genere femminile. Le donne supportavano i combattenti, garantendo rifornimenti di viveri e armi, accompagnavano e rifugiavano i prigionieri alleati, rischiando costantemente la vita per contribuire alla liberazione. Gianna Rocca, un’impiegata nel comune di Santa Maria di Rovagnate – che incorporava i paesi di Perego, Santa Maria Hoè e Rovagnate – vista la sua capacità di imitare perfettamente la firma del podestà, riuscì a falsificare numerosi documenti e far scappare ebrei e capi partigiani, finché fu scoperta e risparmiata da una condanna solamente grazie alla liberazione del 25 aprile.
Le donne sono dunque sempre state impegnate, e continuano ad esserlo, non solo nella liberazione da governi oppressivi, ma soprattutto nella lotta per ottenere una propria libertà e la concessione di pari diritti e opportunità, non ancora totalmente acquisiti.
I.Bi.