Imbersago: la giornata del Ricordo dedicata alle Foibe
Nella serata di venerdì 9 febbraio, in occasione della Giornata del Ricordo, il consigliere Ambrogio Valtolina ha tenuto presso il municipio di Imbersago, una conferenza per ricordare gli eventi che colpirono l’Italia e la Jugoslavia nella prima metà del XX secolo.
Importante è sottolineare come la foiba abbia trasformato l’uomo in un rifiuto da gettare a proprio piacimento, senza dare la possibilità a parenti di pregare su una tomba. Era il tempo della lotta partigiana tra slavi, tedeschi e italiani, con l’intenzione di Tito di annettere la Venezia Giulia e l’Istria al suo impero. Continua dunque l’eliminazione di avversari non solo fascisti, ma anche di partigiani, di indipendentisti fiumani, dei neozelandesi e degli stessi sloveni che non vogliono aderire alla Jugoslavia comunista. Non si tratta quindi di una pulizia etnica ma di una repressione politica. Tanti vengono gettati ancora nelle foibe, anche se la maggior parte vengono giustiziati nelle prigioni, nei campi di prigionia o nelle lunghe marce ai lager. Un processo di epurazione preventiva degli oppositori, che terminò con l’intervento di Stalin che sfociò il 9 giugno 1945 nell’Accordo di Belgrado e il tracciamento della “linea Morgan” che delimitava la zona governata dagli Alleati e quella dagli jugoslavi.
“Perché però non si parla mai delle foibe?” ha domandato il consigliere. In primis il silenzio fu dettato dalle autorità italiane che volevano dimenticare i problemi del confine orientale causata della perdita dei territori a est, dai comunisti che hanno mantenuto un ruolo ambiguo durante questi anni tragici così come gli Jugoslavi che si ritrovarono a far parte dell’esercito italiano e infine, la rottura del 1948 fra Tito e Stalin che porta a decisioni politiche scomode.
La serata si è conclusa con un piccolo dibattito tra i presenti e il ricordo del 13 luglio 2020, quando in occasione del centesimo anniversario della distruzione del Narodni dom il presidente Sergio Mattarella e il presidente Sloveno Borio Pahor si sono incontrati alla foiba di Basovizza per commemorare le migliaia di vittime militari e civili, in un gesto di riconciliazione tra i due paesi.
Il racconto si è aperto con un breve excursus storico su Venezia, gli Asburgo e l’Impero. Con la fine della guerra e il successivo trattato di Saint-Germain-en-Laye del 1919, l'Italia completò l'unità nazionale con l'annessione di Trentino, Alto Adige, Istria e Venezia Giulia. Il diretto contatto con il mondo slavo e il nuovo regno dei Serbi Croati e Sloveni portò i fascisti a considerarsi come baluardo di identità italiana. Inizia così il “fascismo di confine” con la nazionalizzazione degli slavi da parte di Mussolini che italianizza nomi di città, cognomi e nomi. Il primo vero atto violento venne compiuto il 13 luglio 1920 quando venne bruciato il Narodni dom, la sede delle organizzazioni degli sloveni triestini: un edificio polifunzionale nel quale si trovavano un teatro, una cassa di risparmio, un caffè e un albergo. Questa politica portò all’esodo di migliaia di slavi che abbandonano l’Istria e la Venezia Giulia. Le tensioni continuarono durante la seconda guerra mondiale e l’8 settembre 1943 con l’armistizio tra l’Italia e Alleati venne a crollare l’esercito del regno che portò a una corsa di Trieste tra cui figurava l’operazione di occupazione jugoslava dell'Istria e della Venezia Giulia che si sviluppò dal 18 agosto 1944 al 1° maggio 1945 quando Tito entrò a Trieste: ha così inizio il dramma delle foibe. I partigiani jugoslavi effettuano processi sommari per condannare qualsiasi rappresentante dello Stato italiano, non solo fascisti o oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s'intendeva creare. La gente veniva gettata morta o viva negli inghiottitoi carsici o venivano buttati in mare.
Importante è sottolineare come la foiba abbia trasformato l’uomo in un rifiuto da gettare a proprio piacimento, senza dare la possibilità a parenti di pregare su una tomba. Era il tempo della lotta partigiana tra slavi, tedeschi e italiani, con l’intenzione di Tito di annettere la Venezia Giulia e l’Istria al suo impero. Continua dunque l’eliminazione di avversari non solo fascisti, ma anche di partigiani, di indipendentisti fiumani, dei neozelandesi e degli stessi sloveni che non vogliono aderire alla Jugoslavia comunista. Non si tratta quindi di una pulizia etnica ma di una repressione politica. Tanti vengono gettati ancora nelle foibe, anche se la maggior parte vengono giustiziati nelle prigioni, nei campi di prigionia o nelle lunghe marce ai lager. Un processo di epurazione preventiva degli oppositori, che terminò con l’intervento di Stalin che sfociò il 9 giugno 1945 nell’Accordo di Belgrado e il tracciamento della “linea Morgan” che delimitava la zona governata dagli Alleati e quella dagli jugoslavi.
“Perché però non si parla mai delle foibe?” ha domandato il consigliere. In primis il silenzio fu dettato dalle autorità italiane che volevano dimenticare i problemi del confine orientale causata della perdita dei territori a est, dai comunisti che hanno mantenuto un ruolo ambiguo durante questi anni tragici così come gli Jugoslavi che si ritrovarono a far parte dell’esercito italiano e infine, la rottura del 1948 fra Tito e Stalin che porta a decisioni politiche scomode.
La serata si è conclusa con un piccolo dibattito tra i presenti e il ricordo del 13 luglio 2020, quando in occasione del centesimo anniversario della distruzione del Narodni dom il presidente Sergio Mattarella e il presidente Sloveno Borio Pahor si sono incontrati alla foiba di Basovizza per commemorare le migliaia di vittime militari e civili, in un gesto di riconciliazione tra i due paesi.
I.Bi.