Merate, viaggio a ritroso nel tempo/2: l’acqua si è fatta neve. In mille mt. 19 locali dalla chiesa fino a Madio e il Cantinun
Quello che riproponiamo ai lettori di Merate e a quanti nella nostra città hanno vissuto è null'altro che un piccolo regalo fatto nel lontano 2001. Merateonline era agli inizi, aveva appena un anno, e poco più di 500 ingressi al giorno. Merate era l'epicentro del giornale e la storia della città stava nel cuore dei fondatori. L'idea era di continuare con una tecnologia (allora) sperimentale l'esperienza maturata nella carta stampata. Senza velleità, un’informazione diversa, rapida, libera, senza condizionamenti né scadenze da rispettare. Dalle prime inchieste che hanno imposto ben presto il nuovo giornale all’attenzione dei maggiorenti sono seguite reazioni sempre più stizzite fino alla violenta perquisizione ad opera dei carabinieri del 1° agosto 2002. Ma nonostante tutto siamo andati avanti e in quei mesi abbiamo dedicato il lavoro alla nostra città.
Per comprendere meglio com'era il nostro paese attorno alla metà del secolo scorso, dobbiamo fare uno sforzo di fantasia e immaginare di tornare indietro nel tempo: Merate è un borgo che si avvia a diventare cittadina, le case sono quasi tutte vecchie, una in fila all'altra e il loro sviluppo determina anche la viabilità interna fatta di strade strette e selciate. Intorno al centro si estende la campagna, interrotta qua e là dalle frazioni e da casolari isolati.
E' la prima sera della novena di Natale. Sant'Ambrogio è passato da poco e, come si sa, "A sant'Ambroes ul frecc al coes". Fa davvero un gran freddo sul piazzale della Chiesa parrocchiale. Una bella osteria, è quel che ci vuole per scaldarsi un po'. Giriamo lo sguardo ed ecco la prima che incontriamo nel nostro viaggio: è quella del "Michelet", proprio sull'angolo di Via San Rocco (Antonio Baslini, sarà onorato più tardi). Sembra invitante ma dalla buia Via Sant'Ambrogio giungono suoni e rumori accattivanti. Ci lasciamo alle spalle il sagrato della Chiesa e ci incamminiamo lungo la via che porta verso il centro. Uno dopo l'altro, ben quattro locali si contendono la nostra consumazione: il "Fustella" detto anche il "Ciavenasc", perché loro vengono da Chiavenna; il "Tubel" del Maggioni; il "Circolo Aurora" o "Circulin" e, di fronte, l'osteria del "Sacchi". Operai e contadini, usciti con noi dalla funzione religiosa, si disperdono in queste osterie mentre le donne infagottate negli scialli scuri tornano subito a casa. La neve che copre le strade battute, è appena illuminata da qualche debole lampada pubblica. Voci di bambini arrivano dalle povere case che cingono cortili ormai bui, cui si accede da grossi androni sbarrati da pesanti portoni. Ai piani superiori si arriva salendo strette rampe di scale, completamente buie, "scavate" tra i mattoni. Le scale finiscono su ballatoi attorno ai quali si aprono i modesti alloggi. L'ultima rampa, di solito una scala di legno, conduce nei solai polverosi. Sono tutti collegati fra loro anche se a sbalzo, tanto che, passando da una soffitta all'altra è possibile affacciarsi sull'atrio Belgiojoso e su Piazza Fontana, i due punti opposti di Via Roma. Un paradiso per i bambini che giocano a nascondino e che vogliono ammirare il paese dall'alto, sporgendosi appena fra una trave e un coppo. L'atrio è bellissimo: a sinistra si intravede appena illuminata la maestosa villa del "Marchese Brivio", "sorvegliata" da "Vicu ul fatur" che abita nella portineria accanto; a destra il cannocchiale attraverso cui si sale a villa Subaglio. Una meraviglia che contrasta con la povertà delle case di Via Roma, tutte o quasi di proprietà del Marchese; tutte, senza il quasi, prive di bagni interni e riscaldate soltanto da camini o da stufe a legna e carbone. Rimuginando questi pensieri, arriviamo quasi senza accorgercene a metà via, appena dopo il Vicolo del Fosso, dove c'è l'osteria "Gineugia" di Angela. In fondo al vicolo c'è il bar Pozzi. Lo gestiscono Pepot e sua moglie, la Ginota. Sotto il glicine, d'estate, i giovani ballano con la fisarmonica. Pochi passi e siamo in Piazza della Fontana. Sul lato di nord-ovest, accanto ai piccoli portici, c'è la trattoria "Landeghett" del Mandelli.
Andiamo avanti passando di fronte al bel Palazzo Albini: fino ai primi del secolo c'era l'osteria Ravasi, il cui titolare era il nonno di don Gianfranco Ravasi. Dalla parte che fronteggia Via Trento c'è il "Trani". Si chiama così perché i padroni fanno arrivare le botti di vino dalla cittadina pugliese. Il vino di Trani ha finito per dare il nome al locale. Due passi dentro la "Sculadriga", (oggi Via Trento), sull'angolo con Via Fiori ecco le porte del "Madio". Lì è sempre pieno di operai del Catenificio. Si mangia trippa tutti i giorni, si beve e si gioca a carte. Non mancano le litigate tra le coppie che si affrontano a scopa e briscola. Finita la partita, cessano le urla. Un bel locale, il Madio. Continuiamo però a camminare verso viale Cornaggia. Una ventina di metri, prima della fine di Via Scoladriga, a sinistra, si apre una porta di legno pesante da cui si accede a un corridoio in penombra. A sinistra c'è un'altra porta che dà nel grande locale della "Taverna", la vecchia "Trattoria del Mercato", o da "Tanina", come dicono tutti. Qui si mangia e si dorme. Arrivano i mercanti e i sensali, soprattutto di martedì, giorno di mercato. La notte di Natale forse ci troveremo seduti a questi tavoli, davanti alla trippa fumante. Potremmo fermarci, ma l'atmosfera di questa serata, fredda e suggestiva, ci induce a continuare a camminare, al riparo tra due ali di case, tra l'ombra di un portone e la luce di un'osteria, in una sorta di grande presepe animato. Svoltato l'angolo della Scoladriga, si ode la musica di una radio. Proviene dal "Cantinun" che si apre all'inizio di Viale Principe di Napoli, poi viale Lombardia. Ci affacciamo sulla porta, il locale sta tre gradini più in basso. C'è la specchiera grande, il bancone e, sulla sinistra, un'altra sala con i tavolini. Fuori sono ancora affastellate una sull'altra le sedie fatte di nastri di plastica colorata, gialli, rossi, verdi, e qualche tavolino di legno ripiegato. Di fronte c'è il parco delle Rimembranze col pezzo di artiglieria della prima guerra mondiale. Poco sopra c'è l'albergo Valsecchi e qualche metro avanti l'osteria "Carola". Una volta mentre stavano scaricando un carretto, una botte piena di vino cadde rompendosi. Il contenuto prese a scorrere su viale Cornaggia. Un contadino che saliva, inorridito da tanto spreco, tolse il cappello e usandolo a guisa di coppa lo riempì più volte, provvedendo naturalmente a vuotarlo con una avida bevuta.
Dopo il parco c'è il palazzo del Municipio, costruito nel 1897. Svoltiamo verso la piazza del castello. Subito a sinistra c'è il passaggio che porta ancora alla "Taverna", dalla parte del bersò di glicine. Più avanti ci sono altri due bar, di classe, per un pubblico più "sofisticato": il "Centrale" e il "Castello". A quest'ora della sera le luci sfavillanti si proiettano sulla neve e conferiscono alla piazza attorniata da alberi sempreverdi di alto fusto ricoperti dai fiocchi, un'atmosfera da fiaba. Davanti agli alberghi del Sole, Merate e Torre, che sta dentro la corte Marforio, sono ferme le carrozze che trasportano i viandanti alla stazione ferroviaria o ai paesi vicini. I vetturini chiacchierano fra loro, scaldandosi come possono, vicini ai cavalli che ansimano. Vale la pena di concludere il giro e dirigersi verso Piazza Italia, non senza gettare uno sguardo sotto il lungo portico, a sinistra del Castello, che introduce al Circolo Familiare dove si gioca alle bocce. A metà Via Manzoni, verso la Quintaberta c'è l'osteria di "Togn Ravasi". In piazza c'è l'elegante locale "La Pianta", ma dicono che lì entrerà un negozio specializzato in primizie (ortaggi e frutta); sulla destra si apre un altro bar di lusso, il "Manzoni". E' uno dei più esclusivi, meta della borghesia e dei rampolli della nobiltà. Ormai siamo arrivati; in un quarto d'ora, di buon passo, siamo passati davanti a 19 locali, tra la Chiesa parrocchiale e la piazza più a ovest del paese, un chilometro in tutto. Abbiamo avuto solo l'imbarazzo della scelta; per questo siamo arrivati fino in fondo senza fermarci. L'ultimo pensiero prima del ritorno al futuro: chissà se nel duemila ci saranno così tanti esercizi, sempre aperti, dalla mattina alla notte, tutti i giorni di tutto l'anno.
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2/continua
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Per comprendere meglio com'era il nostro paese attorno alla metà del secolo scorso, dobbiamo fare uno sforzo di fantasia e immaginare di tornare indietro nel tempo: Merate è un borgo che si avvia a diventare cittadina, le case sono quasi tutte vecchie, una in fila all'altra e il loro sviluppo determina anche la viabilità interna fatta di strade strette e selciate. Intorno al centro si estende la campagna, interrotta qua e là dalle frazioni e da casolari isolati.
E' la prima sera della novena di Natale. Sant'Ambrogio è passato da poco e, come si sa, "A sant'Ambroes ul frecc al coes". Fa davvero un gran freddo sul piazzale della Chiesa parrocchiale. Una bella osteria, è quel che ci vuole per scaldarsi un po'. Giriamo lo sguardo ed ecco la prima che incontriamo nel nostro viaggio: è quella del "Michelet", proprio sull'angolo di Via San Rocco (Antonio Baslini, sarà onorato più tardi). Sembra invitante ma dalla buia Via Sant'Ambrogio giungono suoni e rumori accattivanti. Ci lasciamo alle spalle il sagrato della Chiesa e ci incamminiamo lungo la via che porta verso il centro. Uno dopo l'altro, ben quattro locali si contendono la nostra consumazione: il "Fustella" detto anche il "Ciavenasc", perché loro vengono da Chiavenna; il "Tubel" del Maggioni; il "Circolo Aurora" o "Circulin" e, di fronte, l'osteria del "Sacchi". Operai e contadini, usciti con noi dalla funzione religiosa, si disperdono in queste osterie mentre le donne infagottate negli scialli scuri tornano subito a casa. La neve che copre le strade battute, è appena illuminata da qualche debole lampada pubblica. Voci di bambini arrivano dalle povere case che cingono cortili ormai bui, cui si accede da grossi androni sbarrati da pesanti portoni. Ai piani superiori si arriva salendo strette rampe di scale, completamente buie, "scavate" tra i mattoni. Le scale finiscono su ballatoi attorno ai quali si aprono i modesti alloggi. L'ultima rampa, di solito una scala di legno, conduce nei solai polverosi. Sono tutti collegati fra loro anche se a sbalzo, tanto che, passando da una soffitta all'altra è possibile affacciarsi sull'atrio Belgiojoso e su Piazza Fontana, i due punti opposti di Via Roma. Un paradiso per i bambini che giocano a nascondino e che vogliono ammirare il paese dall'alto, sporgendosi appena fra una trave e un coppo. L'atrio è bellissimo: a sinistra si intravede appena illuminata la maestosa villa del "Marchese Brivio", "sorvegliata" da "Vicu ul fatur" che abita nella portineria accanto; a destra il cannocchiale attraverso cui si sale a villa Subaglio. Una meraviglia che contrasta con la povertà delle case di Via Roma, tutte o quasi di proprietà del Marchese; tutte, senza il quasi, prive di bagni interni e riscaldate soltanto da camini o da stufe a legna e carbone. Rimuginando questi pensieri, arriviamo quasi senza accorgercene a metà via, appena dopo il Vicolo del Fosso, dove c'è l'osteria "Gineugia" di Angela. In fondo al vicolo c'è il bar Pozzi. Lo gestiscono Pepot e sua moglie, la Ginota. Sotto il glicine, d'estate, i giovani ballano con la fisarmonica. Pochi passi e siamo in Piazza della Fontana. Sul lato di nord-ovest, accanto ai piccoli portici, c'è la trattoria "Landeghett" del Mandelli.
Andiamo avanti passando di fronte al bel Palazzo Albini: fino ai primi del secolo c'era l'osteria Ravasi, il cui titolare era il nonno di don Gianfranco Ravasi. Dalla parte che fronteggia Via Trento c'è il "Trani". Si chiama così perché i padroni fanno arrivare le botti di vino dalla cittadina pugliese. Il vino di Trani ha finito per dare il nome al locale. Due passi dentro la "Sculadriga", (oggi Via Trento), sull'angolo con Via Fiori ecco le porte del "Madio". Lì è sempre pieno di operai del Catenificio. Si mangia trippa tutti i giorni, si beve e si gioca a carte. Non mancano le litigate tra le coppie che si affrontano a scopa e briscola. Finita la partita, cessano le urla. Un bel locale, il Madio. Continuiamo però a camminare verso viale Cornaggia. Una ventina di metri, prima della fine di Via Scoladriga, a sinistra, si apre una porta di legno pesante da cui si accede a un corridoio in penombra. A sinistra c'è un'altra porta che dà nel grande locale della "Taverna", la vecchia "Trattoria del Mercato", o da "Tanina", come dicono tutti. Qui si mangia e si dorme. Arrivano i mercanti e i sensali, soprattutto di martedì, giorno di mercato. La notte di Natale forse ci troveremo seduti a questi tavoli, davanti alla trippa fumante. Potremmo fermarci, ma l'atmosfera di questa serata, fredda e suggestiva, ci induce a continuare a camminare, al riparo tra due ali di case, tra l'ombra di un portone e la luce di un'osteria, in una sorta di grande presepe animato. Svoltato l'angolo della Scoladriga, si ode la musica di una radio. Proviene dal "Cantinun" che si apre all'inizio di Viale Principe di Napoli, poi viale Lombardia. Ci affacciamo sulla porta, il locale sta tre gradini più in basso. C'è la specchiera grande, il bancone e, sulla sinistra, un'altra sala con i tavolini. Fuori sono ancora affastellate una sull'altra le sedie fatte di nastri di plastica colorata, gialli, rossi, verdi, e qualche tavolino di legno ripiegato. Di fronte c'è il parco delle Rimembranze col pezzo di artiglieria della prima guerra mondiale. Poco sopra c'è l'albergo Valsecchi e qualche metro avanti l'osteria "Carola". Una volta mentre stavano scaricando un carretto, una botte piena di vino cadde rompendosi. Il contenuto prese a scorrere su viale Cornaggia. Un contadino che saliva, inorridito da tanto spreco, tolse il cappello e usandolo a guisa di coppa lo riempì più volte, provvedendo naturalmente a vuotarlo con una avida bevuta.
Dopo il parco c'è il palazzo del Municipio, costruito nel 1897. Svoltiamo verso la piazza del castello. Subito a sinistra c'è il passaggio che porta ancora alla "Taverna", dalla parte del bersò di glicine. Più avanti ci sono altri due bar, di classe, per un pubblico più "sofisticato": il "Centrale" e il "Castello". A quest'ora della sera le luci sfavillanti si proiettano sulla neve e conferiscono alla piazza attorniata da alberi sempreverdi di alto fusto ricoperti dai fiocchi, un'atmosfera da fiaba. Davanti agli alberghi del Sole, Merate e Torre, che sta dentro la corte Marforio, sono ferme le carrozze che trasportano i viandanti alla stazione ferroviaria o ai paesi vicini. I vetturini chiacchierano fra loro, scaldandosi come possono, vicini ai cavalli che ansimano. Vale la pena di concludere il giro e dirigersi verso Piazza Italia, non senza gettare uno sguardo sotto il lungo portico, a sinistra del Castello, che introduce al Circolo Familiare dove si gioca alle bocce. A metà Via Manzoni, verso la Quintaberta c'è l'osteria di "Togn Ravasi". In piazza c'è l'elegante locale "La Pianta", ma dicono che lì entrerà un negozio specializzato in primizie (ortaggi e frutta); sulla destra si apre un altro bar di lusso, il "Manzoni". E' uno dei più esclusivi, meta della borghesia e dei rampolli della nobiltà. Ormai siamo arrivati; in un quarto d'ora, di buon passo, siamo passati davanti a 19 locali, tra la Chiesa parrocchiale e la piazza più a ovest del paese, un chilometro in tutto. Abbiamo avuto solo l'imbarazzo della scelta; per questo siamo arrivati fino in fondo senza fermarci. L'ultimo pensiero prima del ritorno al futuro: chissà se nel duemila ci saranno così tanti esercizi, sempre aperti, dalla mattina alla notte, tutti i giorni di tutto l'anno.
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2/continua
di Claudio Brambilla e Roberto Perego