Riti alternativi per gli autori dei furti messi a segno durante il Covid. Uno è irreperibile


A soli cinque mesi dall'operazione che aveva consentito ai carabinieri della Compagnia di Merate di sgominare una banda dedita ad una serie di furti in appartamento fra la provincia lecchese e quella bergamasca, stamani il fascicolo d'indagine è finito sul tavolo del giudice in ruolo monocratico Martina Beggio che ha esaminato le questioni preliminari inerenti le singole posizioni dei sette imputati, chiamati a rispondere - a vario titolo e in concorso fra loro - della duplice accusa di tentato furto e furto aggravato.
Ben 47 infatti, i colpi contestati complessivamente, ai danni di altrettante vittime (nessuna delle quali si è però costituita parte civile), fra i comuni di Merate, Imbersago, Montevecchia, Olginate, Calco, Valghegrentino, Garlate, Calolziocorte, Carenno e Villa d’Adda.
Le modalità con cui la banda entrava in azione erano quelle classiche: una volta individuato l’obiettivo, i ladri cercavano di farvi ingresso mediante l’utilizzo di vari attrezzi, che poi, al termine dei furti, venivano nascosti in diversi luoghi per eludere i controlli di polizia. Non a caso erano stati rinvenuti e sottoposti a sequestro numerosi arnesi da scasso e la somma totale in contanti di circa 5mila euro, ritenuta parte del provento delle attività illecite, mentre il valore della refurtiva asportata, si aggirerebbe approssimativamente intorno ai 100mila euro. Gli orari preferiti per i furti erano quelli tardo pomeridiani in inverno, in cui si poteva approfittare dell’oscurità e dell’assenza delle persone da casa, e, con l’approssimarsi dell’estate, della notte fonda. Nonostante il timore di essere controllati dalle forze dell'ordine, i fermati hanno più volte sfidato il lockdown dettato dal Covid-19 e non si sono fatti troppi scrupoli di essere scoperti dai proprietari che dormivano in casa.
Ad eccezione di Arben Marku, albanese classe 1976 dichiarato irreperibile e di Arestia Sucevan - romena 46enne con casa nel meratese - il cui difensore ha sollevato un'eccezione circa la notifica degli atti (rigettata però dal giudice ndr), gli altri imputati hanno manifestato quest'oggi la volontà, tramite i propri legali, di avvalersi di riti alternativi.
Artur Prenga e Klodjan Vasej (classe 1990 e 1992 rispettivamente e detenuti in carcere a Bergamo), oltre alla 35enne Marinde Skana ricorreranno al patteggiamento, qualora dovesse essere raggiunto un accordo con la Procura, oggi rappresentata dal vice procuratore onorario Caterina Scarselli. Stessa intenzione annunciata dall'avvocato Andrea Artusi, difensore di Davide Alicata, classe 1965, unico italiano della banda finita a processo. Quest'ultimo, detenuto in carcere a Verona, in passato era stato un poliziotto penitenziario, poi tratto in arresto poiché accusato di essere colluso con alcuni detenuti a cui venivano procurati cellulari e stupefacente. A seguito del suo arresto, nel giugno scorso, erano state inoltre avviate le procedure con la direzione provinciale Inps poichè dalle indagini era emerso che lo stesso, da agosto 2020, percepiva il reddito di cittadinanza. Un beneficio che gli è stato poi immediatamente revocato.
Dovrebbe invece avvalersi del rito abbreviato Agustin Gjoka, albanese classe 1985, anch'egli detenuto nel carcere della città veneta, mentre è stata stralciata dal fascicolo la posizione di un ottavo soggetto.
Si torna in aula il prossimo 21 dicembre per la definizione delle singole richieste di condanna che nel frattempo saranno poste all'attenzione della Procura, nella persona del dottor Andrea Figoni, che ha ereditato il corposo fascicolo d'indagine dal collega dr.Flavio Ricci, a Lecco ''in prestito'' dal tribunale di Varese la scorsa primavera per una breve parentesi con l'obiettivo di rinforzare l'organico come noto da troppo tempo sottodimensionato.
G.C.
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