Robbiate: il documentario sui migranti di Jurij Razza in gara in Australia è il migliore

Il regista Jurij Razza
"Spesso gli uomini si odiano perché hanno paura gli uni degli altri; hanno paura degli altri perché non si conoscono" questa frase la pronunciò Martin Luther King jr., e racchiude uno dei tanti significati che emergono dal documentario Ad ogni costo diretto lo scorso anno dal regista Jurij Razza, cittadino di Robbiate, in collaborazione con la Caritas di Lecco, con il quale si è aggiudicato il premio di Miglior documentario all'International Multicultural Film Festival, in Australia.


Il documentario tratta un tema scottante, i migranti, e nasce, come si legge nella sinossi del book press "come risposta al clima di intolleranza che si respira nei paesi arroccati sul proprio benessere" con l'obiettivo, "di dare voce e dignità alle persone in fuga, a quelle che ci stanno accanto e che fatichiamo a comprende". "Ad ogni costo" documenta in 38 minuti 10 storie, di donne e di uomini, che hanno deciso di lasciare la loro terra in cerca di un futuro migliore per se stessi, per le proprie famiglie e per i propri figli, imbattendosi nel rischio di un lungo e pericoloso viaggio senza sapere dove li avrebbe condotti, semplicemente per la necessità di salvarsi. Le testimonianze dei 10 volti intervistati giungono da paesi come Marocco, Mauritania, Nigeria, Costa d'Avorio, Eritrea, Gambia, Kosovo, Pakistan, El Salvador e Ecuador che oggi soffrono crisi locali, corruzione, mancanza di accesso alle risorse primarie e violazione dei diritti umani. 
Razza, come primo lavoro fa l'aiuto regista per il cinema, la televisione e la pubblicità. Da sempre è impegnato nel sociale, e da circa un anno è anche membro del direttivo della onlus padernese "Mehala", e già autore di documentari e reportage fotografici a sfondo sociale. Insegna anche cinema, fotografia e video in diversi enti e istituti, tra cui la Civica Scuola di Cinema Luchino Visconti di Milano. 
La cerimonia di premiazione è stata in Australia, una settimana fa, venerdì notte, e la comunicazione è arrivata sabato mattina.  L'idea di dare vita a questo documentario, realizzato nel 2020, è nata dal fatto che in quel periodo si sentiva parlare spesso di migranti, era un tema all'ordine del giorno, "si parlava di bloccare navi, chiudere le frontiere - ha raccontato il regista - a mio parere mancava una visione che vedesse il migrante come una persona. Al contrario c'era chi lo intendeva come un problema, chi invece solo come una risorsa in ambito lavorativo. Partendo da queste considerazioni ho pensato che mi sarebbe piaciuto fare un lavoro in cui si metteva la persona al centro del discorso, a raccontare la sua esperienza di migrante".  Il titolo "Ad ogni costo" è ispirato alla lettura di un'intervista a dei migranti che si trovavano a passare la frontiera tra Italia e Francia che consapevoli del rischio di morire decidono, quindi "ad ogni costo" di mettersi in viaggio. Per dar vita al suo progetto, Razza, si è appellato alla Caritas di Lecco, che in questo lavoro ha svolto un'importante funzione di mediatrice, e che fin da subito si è dimostrata interessata alla collaborazione. "È stato importante avere qualcuno che mi aiutasse a filtrare una serie di persone che fossero "adeguate" proprio perché il rischio era di trovare storie non adatte e persone non disposte a parlarne. Il lavoro con la Caritas è stato fondamentale. Abbiamo riflettuto molto, e fatto un incontro, con le persone che hanno preso parte al progetto. Abbiamo parlato dei temi di cui avrei chiesto nell'intervista, ossia, la motivazione per la quale partivano, i rischi, le aspettative e infine che cosa si prova a essere considerati migranti".

Ed è stato altrettanto indispensabile creare un ambiente intimo, "le persone hanno in sostanza parlato solo alla macchina da presa" ha spiegato il direttore del documentario. E un contesto in cui le persone si sarebbero sentite a proprio agio, "alcuni hanno subito traumi non indifferenti, non è facile raccontarsi, e non tutti sono disposti a farlo - ha proseguito spiegando inoltre che per consentire agli intervistati di raccontarsi con estrema libertà li hanno lasciati parlare nella loro lingua madre. Se la tipologia di montaggio è stata piuttosto semplice, quello che ha richiesto più tempo è stato il lavoro di traduzione una volta terminate le riprese, "era importante avere una traduzione precisa, perché le parole sono importantissime in questo documentario", e oltre alle comuni lingue europee si è dovuto tradurre anche l'arabo, l'albanese e dialetti locali come il tigrino e l'urdu. E poi si è inevitabilmente instaurato un legame con le persone con cui il regista e la sua troupe si sono interfacciati, dunque la complessità è stata anche il dover affrontare insieme a loro i colloqui e le domande relative alla loro vita.  Alla fine il lavoro si è concluso in piena pandemia, per questo non ci è stato modo di mostrarlo. L'auspicio di Razza è che, non essendo il documentario troppo lungo, sarebbe interessante pensare di organizzare una serata accompagnata da relatori esperti del tema migrazioni e inserirvi anche la proiezione del documentario.

Chi fosse interessato ad organizzare una proiezione può scrivere a vostok.pictures@gmail.com
F.Fu.
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