Mascherine a tutti ma sono poche e costose. Le falle di una Regione allo sbando

L’ordinanza emessa la sera per l’indomani che impone ai lombardi l’uso delle mascherine anche per strada senza premurarsi di dotare i cittadini del dispositivo, diversamente dalla Toscana che prima li consegnerà gratuitamente poi renderà esecutiva l’ordinanza, segna l’ennesimo, errore di questa Giunta Lega-Forza-Italia-Fratelli d’Italia che in questa emergenza coronavirus ha commesso sbagli che giorno dopo giorno diventano sempre più evidenti. E imperdonabili. Federfarma ha dovuto emettere subito un comunicato dicendo che fino a fine settimana le farmacie non disporranno di mascherine perché la Regione ancora non le ha distribuite. E il succedaneo di sciarpe e foulard suggerito dall’avvocato Attilio Fontana è stato duramente criticato dal Comitato scientifico secondo cui il droplet – le famose goccioline – passa senza ostacoli dalle sciarpe le quali, in ogni caso dopo un solo uso andrebbero buttate.

Insomma il disastro emerge ormai sempre più chiaramente dalle omelie delle 17,30 del pur volonteroso assessore Giulio Gallera, avvocato pure lui che ieri, finalmente, dopo settimane di numeri alla cazzo ha dovuto ammettere che i morti sono certamente molti ma molti di più di quelli ufficiali.
E dove sono morti? Nelle case private e, soprattutto, nelle Rsa. Cioè nelle case di riposo dove secondo una delibera tuttora vigente firmata dal presidente Fontana gli ospedali avrebbero dovuto mandare in pazienti Covid-19. Come dire la volpe nel pollaio …direttamente”.

Una follia. Come la mancata ordinanza di chiusura immediata agli esterni e tamponi per tutti gli ospiti, (fragili e con patologie croniche) e il personale che, probabilmente – ma lo accerteranno eventuali indagini – ha prodotto una strage tra i degenti e molti decessi anche tra il personale. Nelle Rsa gli anziani deceduti si contano a centinaia: una quindicina a Brivio, altrettanti a Olgiate, una trentina al Frisia (numeri ufficiali), succursale del Pio Albergo Trivulzio, destinato a entrare nelle grandi cronache giudiziarie, dall’avvio di tangentopoli alla mega inchiesta avviata dalla Procura di Milano sulle RSA proprio partendo dal PAT.
Una cosa è certa: il modello introdotto da Formigoni e perpetuato nel tempo basato sugli ospedali al centro del sistema socio-sanitario si è rivelato insufficiente per non dire fallimentare. E se questa strage di innocenti non servirà a far cambiare rotta a un auspicabile diverso governo regionale allora non restano che i forconi. E i tribunali cui, inevitabilmente, si rivolgeranno i parenti delle migliaia di anziani morti senza neppure un funerale.

Il Veneto (631 morti contro 8.905 della Lombardia), pure a trazione leghista, ha dato tutt’altra prova di sé come l’Emilia Romagna, regioni dove resta forte la presenza della medicina generale sul territorio e dove il privato è ampiamente minoritario, non come in Lombardia dove ha goduto di autostrade preferenziali. Zaia ha effettuato tamponi sul 3% della popolazione veneto da subito, circoscrivendo così i focolai, Fontana solo sull’1,5 e soltanto recentemente. Così il contagio è dilagato, soprattutto tra Nembro e Alzano lombardo e da lì a tutto il bergamasco e poi il bresciano. Se la Regione avesse agito per tempo decretando la zona rossa e facendo effettuare tamponi a tutti i residenti come ha fatto Zaia a Vo’ forse la cronaca avrebbe registrato molti decessi in meno. Il cui numero, peraltro, secondo stime attendibili è superiore di quattro volte il dato ufficiale perché i decessi non tamponati non vengono conteggiati.

Ancora oggi, richiedendo all’ ATS i dati su decessi nelle case di riposo e sul numero di tamponi eseguiti la risposta è: inviare una lettera che poi sarà inoltrata alla regione. Morale, non si saprà mai nulla.

E del resto quando diverse RSA avevano chiesto di chiudere l’accesso agli esterni dalla Regione avevano minacciato di togliere l’accreditamento. Così si sono persi giorni preziosi, molti si sono infettati e senza controlli sul territorio sono stati trasportati negli ospedali diventati a loro volta moltiplicatori di contagi in maniera esponenziale. Così si spiegano i troppi morti lombardi.

Fa davvero specie sentire Fontana che spiega ai lombardi come fare per contenere il contagio. Davvero, fa specie. Da quale pulpito.

Ancora oggi moltissimi medici di base sono sprovvisti di dispositivi di protezione individuale mentre nell’attesa delle dotazioni nelle corsie sono caduti sul campo medici, infermieri e personale ausiliario.

Quando l’emergenza finirà ci sarà tempo per valutare meglio l’accaduto. Ma una cosa è certa: la sanità lombarda ha mostrato di essere tra le meno pronte ad affrontare pandemie. Il modello andrà rivisto dalle fondamenta ripartendo dal territorio, dagli ospedali pubblici anche piccoli, dai presidi socio-sanitari territoriali che se fossero stati attivi avrebbero evitato molte spedalizzazioni.

Ora l’attenzione dei sindaci, a partire da quello di Merate, deve essere concentrata sulle manovre tra Lecco, Merate e Bellano. Perché non si vorrebbe che i pazienti Covid-19 venissero trasferiti per la fase acuta al Mandic e per quella di sorveglianza attiva all’Umberto I° lasciando al Manzoni l’attività clinica ordinaria.

Sarebbe auspicabile in questo senso qualche informazione in più anche da parte della direzione sanitaria di presidio, sempre che pure in emergenza totale non siano valide le disposizioni secondo cui solo la direzione strategica può dare informazioni.
Finiamola per favore. Finiamola.
Claudio Brambilla
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.