Coronavirus, il racconto di una giovane volontaria del 118. ''Dobbiamo affrontare il virus e agire nonostante la paura''

Lo scenario surreale all’esterno del Pronto Soccorso di Merate negli scorsi giorni

Decine di ambulanze fuori dal pronto soccorso e per ciascuna di esse un paziente potenziale covid in attesa di trovare un letto in uno dei tanti reparti convertiti al Mandic in questi giorni per reggere il fronte dell’emergenza sanitaria. Questa, insieme a diverse altre, è tra le immagini più surreali che il coronavirus ci ha costretti a vedere. Descrive un sistema pronto a tutto ma anche vicino al collasso. Tra coloro che più si stanno adoperando di questi tempi affinchè la sanità resista ci sono anche loro, gli operatori del 118. Sono i primi a venire in contatto con i malati e gli ultimi che queste persone vedono prima di entrare in ospedale senza sapere se presto o tardi vi usciranno.

A raccontarci il punto di vista dei soccorritori e di come questa emergenza stia cambiando anche il loro modo di operare è una giovane meratese che ha preferito rimanere anonima, entrata in servizio sulle ambulanze di in una nota associazione di soccorso del territorio da metà gennaio. La scelta di diventare volontaria, attraverso il servizio civile, ha raccontato di averla presa non tanto per una particolare vocazione ma per vedere se l’attività potesse stimolarla, essendo ancora indecisa su quale strada intraprendere dopo un ottimo percorso di studi che l’ha portata a laurearsi lo scorso anno.

Dopo aver effettuato due corsi e superato i relativi esami, è diventata una soccorritrice a tutti gli effetti da novembre, iniziando ad operare sulle ambulanze a partire da metà gennaio. Le circostanze hanno voluto che circa un mese dopo l’inizio del servizio civile il sistema sanitario a cui un anno fa guardava con occhi affascinati (''per quanto non avessi una vera e propria vocazione per fare la soccorritrice'' ci racconta) si ritrovasse immerso in un’emergenza che non ha precedenti, almeno nella storia recente.

 Cosa vedi in questi giorni sulle ambulanze?

I turni sono sicuramente più movimentati del solito. Il numero delle chiamate è aumentato notevolmente e a volte non si ha nemmeno il tempo per ripristinare il materiale in ambulanza. Gli equipaggi sono solitamente formati da 4 ruoli: autista, capo servizio, operatore DAE e allievo (ancora in formazione) ma, per evitare potenzialmente di diffondere il Virus a troppe persone, in questo periodo ai turni prendono parte 3 o addirittura solo 2 soccorritori. Se il paziente riesce a camminare, solamente il capo servizio entra in casa e lo aiuta a salire sul mezzo; gli altri preparano il materiale e compilano la documentazione nello scompartimento davanti. In sostanza, capita che un addetto debba ricoprire più ruoli.

Com’è cambiata la vita dei soccorritori durante questa emergenza?

Attualmente è più stressante del solito. Si è continuamente in ambulanza e si vola da un paziente all’altro. Appena si ha del tempo libero, si disinfetta e sanifica il mezzo. Nelle uscite con infetto, questa è una delle parti fondamentali, per non essere noi stessi portatori del virus.

Quali sono le sensazioni che provi quando inizi un turno? Questa situazione ti spaventa?

Provo sicuramente un po’ più di ansia rispetto ai miei colleghi che lavorano da più anni, io ho ancora molto da imparare. L’importante è sapere gestire la situazione e agire nonostante la paura. Per ora sono sempre riuscita a cavarmela e spero di non trovarmi in futuro in una situazione di panico totale. In ogni caso, non si è mai lasciati da soli nella propria squadra.

Il numero di volontari è sufficiente a soddisfare le esigenze di tutte le persone affette da Covid-19 che richiedono un soccorso?

Nonostante la paura, il numero di volontari attivi nella "squadra" dove presto servizio io è ancora piuttosto alto e ne vado molto fiera. Magari si chiede di fare quell’ora in più o quel turno in più ma, per via delle mancanti esigenze lavorative, tanti si rendono disponibili più di frequente. Siamo riusciti anche ad avere equipaggi in aggiunta a quello base. Purtroppo, molte volte l’ambulanza rimane inagibile per diverse ore per via della mancanza di letti in ospedale: in tal caso, bisogna aspettare fuori dal pronto soccorso con il paziente in barella.

La situazione più drammatica che hai visto in questi giorni?

Mi è rimasto impresso il primo caso di sospetto Covid-19 che ho incontrato. Era un uomo sulla sessantina che non mostrava sintomi troppo evidenti. È stato trasferito a Monza su ordine del suo medico perché entrato in contatto con un parente infetto. Sono venuti a mancare entrambi questa settimana.

Quali sono i consigli che ti senti di dare alle persone che vivono questi giorni lontani dagli ospedali e chiusi in casa?

Il consiglio che mi sento di dare è ovviamente di stare a casa il più possibile. So che siamo tutti stanchi di sentircelo dire e che è noioso stare a casa, ma è da fare. Se non vogliamo farlo per noi stessi perché ci sentiamo forti e perché non abbiamo paura, facciamolo per chi ci sta accanto e per chi ci vuole bene.
E.C. e A.S.
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