3. L'ARCOBALENO TIMIDO
3. L'arcobaleno timido
(Charlie Chaplin)
Era abituato a farsi un girettino ogni giorno, verso l'ora del caffè appena dopo pranzo, tra la finestra, il vetro della libreria che lo rifrangeva e lungo tutto il pavimento di marmo beige, facendo lo slalom tra le rotelle della poltrona, le gambe della scrivania, i cavi del pc e altre cose che il Padrone aveva lasciato a terra.
Che poi lo slalom lui mica lo faceva: aveva i superpoteri non di bucarle, le cose, ma di passarci attraverso leggero, e di farle persino diventare più belle.
Di solito riusciva a filtrare tra le alette della persiana, che il Padrone lasciava sempre un po' aperte e via di corsa a fare il solletico ai minuscoli granellini di polvere che volteggiavano in aria, in sua attesa.
Ma erano un po' di giorni che non gli riusciva. Il cielo non era nuvoloso, il sole era alto e persino caldo per la stagione. Le persiane non socchiuse, addirittura spalancate. Ma c'era il Padrone, che inspiegabilmente anche oggi, come ieri, come l'altroieri e l'altro ancora era lì, in studio, seduto alla scrivania, sempre attaccato al pc.
Aveva sentito dire che questa cosa si chiamava "smartworking": gli pareva di capire che al Padrone non piacesse così tanto. A lui sicuramente no.
Perché era timido. Non che diventasse rosso, perché il rosso era solo uno dei suoi colori, il primo, e poi virava sull'arancione fino all'indaco e al violetto. È che non gli piaceva farsi vedere, o non voleva disturbare.
Così filtrava dalle persiane, oltrepassava il vetro della finestra e poi si acquattava lì, oltre la vetrina della libreria che di solito invece lo rinfrangeva in mille raggi iridescenti. Adesso quello scaffale era per lui un rifugio, e gironzolava tra i libri che erano lì affiancati, attento a evitare le superfici che potessero rifletterlo e farlo scoprire.
"Oh, ma che libroni seri che ha il Padrone!", diceva tra sé. Perché era finito nello scaffale dei Classici Latini e Greci, e tutte quelle lettere in quell'alfabeto strano che non aveva mai visto lo intontivano.
Col passare dei minuti il sole si sarebbe spostato un po', e bastava anche un suo piccolo movimento per consentirgli di saltare al di là dello scaffale, verso quello più in basso e a destra, in cui c'erano i romanzi d'avventura. Quelli sì che gli piacevano. Il Padrone li aveva messi lì, anche se apparentemente non c'entravano niente con tutto l'immensa parete della sua biblioteca, perché i due Padroncini venivano spesso a rubargli la poltrona, o si sedevano ai suoi piedi mentre lui lavorava, che lui glielo diceva "Via, che se mi muovo le rotelle della poltrona vi schiacciano le mani!", ma loro sembravano sordi, e stavano lì a leggere L'isola del tesoro e Ventimila leghe sotto i mari e Peter Pan. E lui stava giusto saltando tra Peter Pan e Jim Bottone quando il Padroncino più piccolo - il più lesto e imprevedibile dei due - lo vide.
"Papàpapàpapà" - urlò a mitraglia - "c'è il laccobaelo", che nella sua lingua ciarfugliata sarebbe stato l'arcobaleno, cioè lui.
E l'arcobaleno divenne tutto rosso, e mentre il piccolo Padroncino lo salutava muovendo la mano di qua e di là lui gliela accarezzava, con la sua luce che non scottava. E quando la mano non la interrompeva, la luce finiva sulla schiena del Padrone, che sembrava non accorgersene.
"Papàpapàpapà" - chiedeva il suo amico piccolo - "ma il laccobaelo non viene dopo il tempoae?", che non gli aveva ancora fatto l'upgrade completo delle l e delle r, ma tra loro piccoli si capivano.
"Quale arcobaleno, Giò?", gli chiese il papà.
"Quello che ti fa il soetico al sedere!", risponde.
E allora il Padrone si gira, e lo vede. E l'arcobaleno timido non ce la fa più a scappare indietro tra le pagine della Storia infinita, perché il sole ormai è proprio in faccia alla finestra e sfavilla impertinente.
E ha un po' di vergogna, e di paura anche. Sa che basterebbe poco, un movimento alle tende, un libro spostato, un ostacolo frapposto tra la finestra e la libreria, per farlo sparire. E stranamente lui non vuole, perché si vede riflesso negli occhi di quel bimbo e per la prima volta è fiero di sé.
"Non è sempre necessario un temporale perché venga l'arcobaleno, sai?", sente dire dal Padrone al piccolo.
"Occorre la luce, e occorrono occhi come i tuoi, per vederlo". "Ma questa cosa del virus è una specie di tempetta?", gli chiede il piccolo. "Una specie, sì. Ma un laccobaelo c'è sempre".
E il sole ormai stava fuggendo a occidente e anche lui sentiva che il suo pulviscolo si stava diradando, come il fumo che adagio adagio svanisce, e non sai dire bene quando ha iniziato a scomparire e quando davvero non c'è più, perché nei tuoi occhi continui a vederlo. E il Piccolo se ne andò a giocare con le sue costruzioni: "Ci vediamo domani!", gli disse. Che sembrava quasi una minaccia oltre che un saluto, perché i bambini piccoli hanno quel modo di dirti le cose così, tutti seri. E il Padrone adulto lo guardava, con invidia, perché vedeva che il laccobaelo ce l'aveva negli occhi.