2. IL BAMBINO DUE STAGIONI

Dieci novelle in dieci dì al pc dette

2.Il bambino due stagioni
Di come vivere in pigiama accaventiquattro



Impiegava molto tempo nel vestirsi per poter dimenticare quello che indossava

(Stendhal)

 


 
Devi sapere che c'era una volta un bambino che si chiamava Giorgio - ma non eri tu, naturalmente - e aveva quattro anni e mezzo come te - ma non eri tu - e i capelli biondicci e le orecchie morbide e un po' a sventola come le tue, ma non eri tu, giusto?
Ecco. Devi sapere che questo bambino aveva un record tutto suo da battere, e i giorni che capitarono nella città del Grande Paese a Forma di Stivale dove viveva gli offrirono l'occasione giusta per allenarsi in questa sfida.
"Vuole fare il giro delle lancette completo", aveva sentito dire dal papà alla mamma l'altro giorno, mentre l'adulto lo guardava scuotendo la testa. Che erano le cinque del pomeriggio e Giorgio era ancora (non "già": "ancora") in pigiama. Quello della notte prima.
L'idea di vivere un'intera giornata in pigiama, "accaventiquattro", come dicevano i grandi alla televisione, gli sembrava una di quelle conquiste di civiltà e di adultità, come la prova di essere grandi.
Così ci arrivò per gradi. Una mattina si cambiava solo pantaloni, una mattina solo la felpa, un mattino teneva la calza destra, l'altro la calza sinistra. Un po' come te, caro mio, ma ovviamente il bambino della storia non sei tu. Gli adulti di casa gli davano del disordinato, e invece lui era uno scienziato, e stava facendo i suoi esperimenti. E si stava allenando per il record, naturalmente.
Le cose incominciarono a farsi un po' meno facili non per colpa dell'adulto maschio, che anche lui a un certo punto aveva cominciato a capire quanto fosse bello mettersi alla scrivania a lavorare con la camicia e il panciotto sopra e i pantaloni del pigiama e le ciabatte sotto, che tanto la webcam del pc mica inquadrava i Paesi Bassi. Le cose incominciarono a complicarsi per lui, perché i vestiti del papà erano grandi e noiosi, prevedibili anche loro come lo sono gli adulti. Quelli del protagonista della nostra storia invece erano piccoli, e come i loro piccoli padroni amavano fare i dispetti, o semplicemente essere sé stessi senza per forza adeguarsi alle convenzioni sociali.
Perché un pigiama è fatto per dormire, una calza per tener caldo, una tuta per correre, e via di seguito.
La prima fase fu un certo squilibrio stagionale che lo colpì con sintomi preoccupanti, considerata la Malattia che stava imperversando nel Grande Paese a Forma di Stivale: "Toccagli la fronte", aveva detto l'adulta femmina all'adulto maschio che sovrintendevano alla sua salute: "è caldissima. Avrà la febbre?".
"Ma no", le disse lui toccandolo dalla sua parte, che ce l'avevano seduto in mezzo a loro sul divano mentre sonnecchiavano postcolazione: "è freschissimo!"
"Ma guarda qui che orecchio rosso che ha", ribatté lei: "sembra un peperone!".
"Dalla mia parte è fresco come un giglio", dice lui.
E il nano in mezzo, muto. Che stava giusto sperimentando in una volta sola la collezione estate-inverno: calza di cotone sotto calza gommata sotto gamba del pigiama felpato tirata fino alla caviglia da una parte, contro piede nudo con la lanetta puzzolente tra le dita (ma non era il tuo, naturalmente!) e gamba del pigiama rivoltata molto al di sopra del ginocchio dall'altra. Risultato: metà bambino freddo, metà bambino caldo. E le malattie - come diceva la nonna - partono dai piedi freddi. Per metà, ovviamente.



La seconda fase incominciò nei giorni seguenti.
"Questo bambino ha qualcosa che non mi convince", aveva ribadito l'adulta femmina all'adulto maschio: "è la terza volta che va a sbattere contro il muro. Alla quarta ci allarga la cucina!".
Perché il nostro eroe - che non sei tu, naturalmente - quel mattino aveva obbedito per metà alla mamma e per metà a sé stesso. La metà della mamma era quella di sotto, e sfilatisi i pantaloni del pigiama si era messo quelli della tuta, quella nuova, bella, con le tre righe che correvano lungo tutta la gamba. La metà di sopra aveva resistito ed era ancora in pigiama. Così, per la terza volta nel giro di poco tempo, rincorrendo il fratello maggiore nella eterna sfida a nascondino, le gambe volavano come se avesse il turbo ai piedi ma d'improvviso lo prendeva una spossatezza, una sonnolenza, e le braccia gli cascavano molli mentre cercava di evitare l'angolo del muricciolo basso dell'angolo cottura, e sbam!
"Devo provare il contrario", si disse allora. E il giorno dopo furono i pantaloni la parte del pigiama che tenne indosso, cambiandosi invece la parte di sopra e indossando la bella felpa di quel cartone animato del tizio che faceva il pompiere e salvava sempre la città di Pontipandi o come si chiamava, che lui l'inglese mica lo sapeva ancora.
Se ne stava seduto sul divano tutto pieno di idee, fremente di progetti, attento alle più piccole possibili emergenze che i suoi occhi professionali e arguti vedevano ovunque nel grande salone di casa: quella ruota delle costruzioni là in fondo da spostare, prima che l'adulto ci mettesse sopra il piede e scivolasse urlando quella parola piena di doppie zeta che diceva sempre quando era contrariato. E poi c'era quel peluche in pericoloso bilico sul baratro della mensola che andava salvato con un intervento in elicottero. E il latte nel pentolino che bolliva e se andava in fuoco chissà che incendio mentre la mamma chattava al telefono con le sue "collegheamiche". E lui agitava le braccia con la smania di fare, ma i piedi gli sembravano informicolati, pesanti, pigri come mai erano stati.
E allora questo bambino creativo, per metà sveglio e per metà addormentato, capì che era meglio evitare questa divisione, che quando la mamma gli diceva di lavarsi la faccia e cambiarsi era per il suo bene, e da quel giorno ogni mattina abbandonò la sua divisa dimezzata e si vestì per intero, indossando finalmente tutto e solo...
"Il pigiama!"
Il pigiama, sì, Giorgio...: buonanotte.
Stefano Motta
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.