Olgiate: raccontare il mondo con i libri lo salva dall'oblio. Parola del professor Lupo
Stefano Covino, Giuseppe Lupo e Chiara Narcotini
A questa domanda ha provato a dare una risposta Giuseppe Lupo, scrittore e docente di letteratura contemporanea italiana presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. L'appuntamento, tenutosi venerdì 14 febbraio presso la sala civica di viale Sommi Picenardi, è stato promosso dall'associazione culturale La Semina con il patrocinio del comune di Olgiate Molgora. L'incontro, dal titolo "Quando le parole si fanno progetto umano", è stato organizzato in occasione della Giornata dei Giusti. Presenti all'incontro, in qualità di relatori, l'astrofisico Stefano Covino e la giovane universitaria Chiara Narcotini.
Il professor Lupo ha raccontato il rapporto conflittuale che lo lega, fin dall'infanzia, alle parole. Lo scavare nei ricordi, nel cercare una spiegazione, è stato lo stimolo giusto per il suo ultimo libro "Breve storia del mio silenzio", edito da Marsilio. Il protagonista di questo libro è un bambino che, a quattro anni, perde l'uso del linguaggio, da un giorno all'altro, alla nascita della sorella. Da quel momento il suo destino cambia, le parole si fanno nemiche, anche se poi, con il passare degli anni, diventeranno i mattoni con cui costruirà la propria identità. Così Giuseppe Lupo racconta, sempre ironico e sempre affettuoso, dei genitori maestri elementari e di un paese aperto a poeti e artisti, di una Basilicata che da rurale si trasforma in borghese, di una Milano fatta di luci e di libri, di un'Italia che si allontana dagli anni Sessanta e si avvia verso l'epilogo di un Novecento dominato dalla confusione mediatica.
Lo scrittore ha spiegato come sia importante cercare il ritmo delle frasi, delle parole. "Le parole sono come gocce quando cadono nelle pozzanghere, mi diceva mia madre da bambino. Quando imparerai ad ascoltare la pioggia, solo allora capirai il segreto delle parole. Da allora Milano, la città nella quale mi sono trasferito con i miei genitori, per me è diventata la città delle parole. Ho amato e amo molto le parole, le rispetto e non dimentico la loro sacralità" ha spiegato Lupo.
Inevitabile il confronto tra la lingua usata sui social media e in politica, una lingua sciatta e superficiale, e il linguaggio degli scrittori. "Viviamo in un mondo in cui abusiamo delle parole, le buttiamo, le maltrattiamo. Oggi abbiamo bisogno di silenzio. L'aggressività in tv, sui social, sono solo il simbolo della nostra fragilità e della nostra incapacità di ragionare e di ascoltare".
In un mondo in cui la comunicazione è veloce e immediata, un mondo in cui non abbiamo tempo, perché continuiamo a scrivere libri? "In fondo, la forma-libro è qualcosa che affidiamo ai posteri, è qualcosa che ci illudiamo possa esistere per sempre. Anche se poi, in fondo, sappiamo che non è così. Perché leggiamo alcune opere da secoli, mentre altre cadono quasi subito nel dimenticatoio? Non basta avere una storia per giustificare un romanzo: c'è bisogno di una visione del mondo. E l'invenzione del mondo non deve essere la carta carbone della realtà, non serve raccontare la quotidianità, esistono già i giornali per questo. È necessario interpretare e proiettare le nostre aspettative sulla carta".
Inoltre, Lupo ha sottolineato l'inconsistenza del mondo prima del racconto: raccontare il mondo, infatti, significa salvarlo dall'oblio. I libri sono messaggi in bottiglia, solcano il mare della vita e, dopo una mareggiata, vengono scaraventati su una spiaggia di qualche editore che aspetta solo di raccogliere nuove storie per poi restituirle al mondo.
Tanti gli interventi del pubblico presente in sala che, oltre a commentare le idee del professor Lupo, ha potuto discutere con il docente universitario sul ruolo che i giovani hanno oggi nella società.