Merate: la vita di Aldo Carpi attraverso la sua arte e il diario scritto nel lager di Gusen con disegni e parole per ''resistere''

Nella Giornata della Memoria, continuano a Merate gli appuntamenti rivolti alla cittadinanza dedicati a tenere vivo il ricordo della Shoah. Quello di lunedì 27 gennaio è stato il secondo incontro sul tema tenutosi nell'Auditorium Giusi Spezzaferri, organizzato dal Comune e dalla Pro Loco di Merate, dopo lo spettacolo teatrale Wansee della compagnia Ronzinante lo scorso venerdì 24. Questa volta si è scelto di raccontare questo oscuro capitolo del Novecento attraverso la vicenda storica di Aldo Carpi, pittore che abitò per un certo tempo a Mondonico e che subì la tragica esperienza dei lager nazisti, a testimonianza di come l'arte abbia potuto rappresentare un barlume di umanità nelle tenebre dell'Olocausto e un antidoto contro l'orrore.

Aldo Carpi


La serata è stata aperta dagli interventi dell'assessore alla cultura Fiorenza Albani e di Luca Codara della Pro Loco di Merate. Codara ha spiegato al pubblico l'idea di commemorare il 75° anniversario dell'apertura dei cancelli di Auschwitz in una maniera originale, e quindi non tramite la proiezione di immagini di repertorio ma attraverso l'opera di un artista legato al nostro territorio.

Luca Codara, Fiorenza Albani e Elisabetta Parente

Ha poi passato la parola alla storica dell'arte Elisabetta Parente, la quale ha illustrato la vita di Carpi attraverso una selezione delle sue opere più significative. Come ha detto la dott.ssa Parente: "Nonostante l'importanza rivestita da Aldo Carpi, noi lo conosciamo poco, e soprattutto in quanto uomo." E tuttavia, "nel caso di Carpi è impossibile svincolare l'uomo dall'artista", per questo l'obiettivo della serata è stato quello di raccontare l'esperienza dell'uomo Carpi attraverso i suoi disegni e i suoi dipinti. Parente ha poi esposto una rapida biografia del pittore.




Elisabetta Parente

 

Nato a Milano nel 1886, matura la sua esperienza artistica fino a diventare docente dell'Accademia di Brera nel 1930. Nel mentre però, con il consolidarsi del regime fascista, il pittore sente sempre più minacciata la sua arte e la sua libertà e decide di trasferirsi con la famiglia lontano da Milano, a Mondonico. Nel gennaio del 1944 viene denunciato per le sue origini ebraiche e subisce la deportazione nei campi di Mauthausen e Gusen. Qui, nonostante le privazioni e le sofferenze a cui va incontro, riesce comunque a tenere un diario in cui traccia bozze e disegni fino alla sua liberazione e anche oltre. In seguito, una volta tornato in Italia sarà acclamato direttore di Brera e manterrà la carica fino al 1958.

"Il diario che Carpi tenne a Gusen rappresenta una testimonianza unica di un'esperienza fatta in un lager", ha detto la Dott.ssa Parente, "unica nella misura in cui l'artista accompagna parola e immagine." In effetti, esso costituisce la dimostrazione dell'inscindibilità dell'uomo dall'artista: "In questo diario è racchiusa l'idea che Carpi aveva dell'arte". Mosso dal disperato desiderio di ricordare i suoi cari, Carpi riempie le pagine delle sue esperienze di ritratti della moglie e dei figli. Ma non solo, perché "nei mesi di prigionia il pittore sente il bisogno di rappresentare ciò che sta vivendo", e così la sua memoria delle atrocità dei campi si nutre tanto di parole quanto delle immagini fugaci di ciò che accadeva ogni giorno davanti ai suoi occhi. Il disegno e l'arricchimento dell'anima furono quindi per Carpi un modo di aggrapparsi alla normalità della sua vita di artista in un contesto folle. Come ha detto la Parente: "Per Aldo Carpi, un'ancora di salvezza sta nel ricordare una poesia di Leopardi o ipotizzare di dover realizzare un quadro: per lui l'arte fu lo stimolo a sentirsi vivo."

 

 

Come ulteriore arricchimento alla serata, l'esposizione di Elisabetta Parente è stata intervallata dalla lettura di passi dello stesso diario di Gusen. Grazie alla narrazione di Stefania Maggio, della Biblioteca di Merate, la voce di Carpi è stata fatta rivivere sul palco dell'Auditorium.

Stefania Maggio

Particolarmente rilevante è stato il passo legato al disegno di un prigioniero moribondo steso sul pavimento, in quanto rappresenta l'unico caso in cui Carpi ha associato una sua bozza a un ricordo preciso riportato nel suo diario: "Vidi un morto ieri. Lo credetti morto, ma era solo un moribondo. Quando ripassai da quella camera, tutti erano stati portati via tranne lui. Egli era ora solo, nudo, disteso al suolo al centro della stanza, visibile da quattro porte. Un dolore infinito diffuso sulla faccia di colui che morendo si sente da tutti abbandonato. [...] Mi venne voglia di abbassarmi e di fargli il segno della croce sulla fronte, ma c'erano altri, eravamo in un lager. Non ebbi il coraggio, e ne ho rimorso."
Claudio Farina
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