Lomagna: accusata di resistenza durante l'arresto del figlio, in Tribunale si difende

Inaspettatamente quest'oggi si è presentata in Tribunale, giustificando altresì l'assenza all'udienza dell'11 settembre, nel corso della quale era calendarizzato il suo esame: Rachida Naceur, la 48enne di origini tunisine a processo per resistenza a pubblico ufficiale e lesioni in relazione al comportamento che avrebbe tenuto il 13 luglio 2017 al momento dell'arresto - nell'abitazione di famiglia a Lomagna - di suo figlio Ghaith Abdessalem, ha spiegato al giudice Nora Lisa Passoni di aver mancato l'appuntamento in Tribunale del mese scorso in quanto ancora convalescente dopo un piccolo intervento e di essere venuta a conoscenza solo in un secondo momento dell'abbandono della difesa da parte dell'avvocato Monica Gnesi che, tramite comunicazione per iscritto, aveva annunciato alla Cancelleria la rinuncia al mandato. Assistita d'ufficio dall'avvocato Caterina Busellu, nominata alla scorsa seduta prima della chiusura dell'istruttoria, la donna ha chiesto formalmente di poter essere sentita, avendo così la possibilità di raccontare - seppur la Procura avesse già chiesto la sua condanna a 8 mesi di reclusione, conclusione poi reiterata al vpo Mattia Mascaro - la propria versione di quanto accaduto due anni fa nell'appartamento al terzo piano di via Milano. All'arrivo degli agenti della DIGOS, giunti all'uscio dell'alloggio in quanto convinti che al suo interno si trovasse un tunisino illegalmente presente sul territorio italiano in quanto già esplulso in considerazione delle simpatie dimostrate verso l'ISIS, avrebbe risposto loro che suo figlio non era in casa, perchè effettivamente convinta che il ragazzo fosse uscito poco prima. Avrebbe comunque acconsentito all'ispezione delle diverse stanze e vedendo il giovane saltare fuori da dietro l'armadio della camera della sorellina, gettandosi verso il balcone, si sarebbe frapposta tra lo stesso e l'agente Lipomi nel tentativo di bloccare il 22enne, suo secondogenito. "Piuttosto morto ma non torno in Tunisia" avrebbe detto infatti Ghaith, ben conscio del provvedimento di esplusione a suo carico. "Mi sono limitata a fermare mio figlio" ha sostenuto l'imputata, ricordando di aver già perso il maggiore (arruolatosi con le milizie del Califfato) e negando di aver cercato di aiutarlo a guadagnare la fuga, insistendo di contro sulla volontà di proteggerlo da un eventuale volo dal terrazzo. Negata, di fatto, la colluttazione con i poliziotti. Ricordati invece il colpo di pistola, partito dall'arma di servizio (con, a suo dire, grande spavento sia per lei sia per la sua bimba più piccola presente nella stanza) e il fermo del ricercato, bloccato poi sulle scale del condominio.
Se la pubblica accusa, come anticipato, ha ritenuto provata la colpevolezza della donna, l'avvocato Busellu ha chiesto l'assoluzione della stessa. In relazione alle lesioni ha infatti evidenziato la mancanza della querela e l'inserimento agli atti di un certificato non redatto nell'immediatezza dei fatti. Quanto alla resistenza il legale ha chiesto la derubricazione dell'ipotesi di reato contestata alla sua assistita in favoreggiamento, reato non ascrivibile alla madre del fuggiasco, chiedendo, qualora la sua interpretazione non fosse condivisa, comunque l'assoluzione della signora Rachida in assenza dell'elemento soggettivo del reato. Per il verdetto l'udienza è stata aggiornata al 9 ottobre.

A. M.
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