Violenze psicologiche e minacce dal marito. In Aula il racconto di una donna meratese

Il tribunale di Lecco
Minacce di morte, violenze fisiche e psichiche: a nulla è servito il decreto di protezione scattato nel 2013 a beneficio di una madre di famiglia, quando anche dopo la separazione il marito e padre delle sue figlie ha continuato a perseguitarla.
Oggi la donna, che all'epoca dei fatti viveva in un comune del meratese, è comparsa nell'aula del Tribunale di Lecco come parte civile nel processo a carico dell'ex marito, assistita dall'avvocato Caterina Bussellu.
All'uomo, originario del Burkina Faso come la ex coniuge e le figlie si contesta il reato di maltrattamenti contro famigliari, oltre alla violazione -appunto- del decreto di non avvicinamento alla donna.
Come raccontato quest'oggi in aula da un'operatrice volontaria dell'associazione "L'Altra metà del cielo" di Merate, a cui la donna si era rivolta per avere un sostegno più che altro psicologico ancor prima della separazione "aveva paura, temeva per la propria vita e quella delle figlie, ma noi non potevamo obbligarla ad esporre denuncia. Veniva da noi quando aveva bisogno di parlare".
Dopo l'ennesimo episodio di violenza però, la signora si era fatta coraggio ed aveva deciso di denunciare il marito ed avviare l'iter di sperazione.
"A quel punto è scattato il nostro pronto intervento: abbiamo trasferito madre e figlie in una casa protetta secretata, in un comune diverso da quello di residenza dell'ex marito" ha raccontato la volontaria. Tuttavia questo non avrebbe impedito al burkinabè di rintracciarle e continuare la vessazione: appostamenti sotto casa, in stazione -dove le figlie prendevano il treno per andare a scuola- e veri e propri pedinamenti.
"La signora lavorava in un esercizio commerciale della zona e una volta l'ho incontrata mentre tornava a casa. Mi ha indicato un uomo di colore e mi ha detto "eccolo! È lui". Le ho detto di tornare in negozio e chiamare i carabinieri".
Anche una dipendente dell'azienda speciale Retesalute di Merate è stata sentita questa mattina dal giudice Enrico Manzi come testimone: all'epoca dei fatti aveva lei in carico il nucleo famigliare in questione. Le era giunta notizia delle continue trasgressioni dell'uomo e glielo aveva fatto presente. "Diceva che era obbligato a stare nei luoghi vicino alla moglie per poter usufruire dei servizi quali la banca, ad esempio".
Con la voce rotta ha quindi testimoniato la figlia maggiore della coppia. "Anche una volta allontanateci da lui avevamo paura di uscire di casa. Ci telefonavava, lo trovavamo sotto casa e ci insultava, lui con altri uomini, ci diceva che ci avrebbe ammazzate".
La persecuzione continuerebbe tutt'ora, secondo quanto ha deposto quest'oggi la giovane, che ha ricordato un particolare episodio: "mia madre era andata a fare la spesa in bicicletta, quando si è trovata dietro mio padre, in auto che ha iniziato a fare i suoi "giochetti" andando di qua e di là... alla fine mia mamma si è spaventata ed è caduta dalla bici".
Il prossimo 22 novembre proseguirà l'istruttoria con l'escussione dei testimoni della difesa, rappresentata dall'avvocato Calavita.
F.F.
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