Finder: il coraggio delle idee e la leggerezza dell’internet

Una crisi aziendale, con effetti tutt'altro che irrilevanti per il territorio e per le famiglie coinvolte. Una manifestazione di protesta dei lavoratori che temono la tragedia dell'impotenza un'epoca asfittica e avida di posti di lavoro. Succede a Merate, alla Finder Pompe, dove un simile travaglio non è inedito, in una calda mattinata di luglio, con sciopero e manifestazione di lavoratori e sindacalisti. Un dovere di lotta che alligna in pochi o molti anni, in una vita di mestiere la speranza del futuro. A fare il loro dovere anche i Carabinieri e i giornalisti. I primi garantiscono l'ordine pubblico, e tutto fila liscio; i secondi raccontano una storia di economia, fatta di uomini e donne, intrisa di paure e ansie per l'incertezza che attanaglia anche quella che fu la ricca Brianza, così che chi legge possa sapere.
Fin qui prevale la logica, in una narrazione di doveri e contrapposizione tra ragioni diverse, quella del diritto al lavoro e del lucro aziendale, talvolta confliggenti.
Più tardi a confliggere è la ragione. Un'assurda inversione della logica, frutto dei tempi, si manifesta quando al dovere di protesta segue il dovere di informazione del giornale, nel caso di specie questo, ma è del tutto irrilevante. La notizia viene corredata di tante immagini che ritraggono insieme tute blu e colletti bianchi, bandiere dei confederali coi loro simboli, colleghi abbracciati in segno di solidarietà. C'è anche qualche sorriso, ma è amaro. Chi a braccia conserte, chi seduto, chi parla, chi è silente. Una protestante se ne dispiace e intima di "rimuovere in breve tempo la foto", pena una segnalazione al Garante della Privacy. Scrive che, a dispetto della sua presenza, non ha manifestato il consenso ad apparire sui media. Tira in ballo il Gdpr (il Regolamento che si occupa di dati personali che di recente si è affacciato sulla scena europea per contrastare chi usa i nostri dati in modo illegittimo) dimenticando l'art. 21 della Costituzione e le deroghe previste dallo stesso Regolamento europeo e dalle norme che l'Italia ha voluto per consentire di continuare a fare informazione in modo corretto.
Ma non è giuridico il busillis. Ancor prima, attiene alla logica, anzi alla categoria dell'illogico. Se così non fosse, come si può pretendere di scendere in piazza, di lottare giustamente per i propri diritti, per un giusto salario che consenta di mantenere la propria famiglia e allo stesso tempo disconoscere la pubblica evidenza di una simile scelta? Perché più neppure la difesa dei nostri diritti e delle nostre idee ci dà il coraggio di urlare al mondo?
È l'apparenza della protesta che la rende tale. Senza di essa, nella civiltà dell'immagine che amplifica e esaspera, si subisce il rigurgito dell'irrilevanza. Ma la scissione tra manifestazione del pensiero e paternità dello stesso cui i nuovi spazi di discussione contemporanei ci hanno abituati, pretende di poter operare oltre i limiti del mondo virtuale. Così non funziona: l'anonimato di internet non può essere invocato al fuori della leggerezza di quello spazio. Non comprendere le commistioni e le divaricazioni che esistono tra i due universi rischia di escludere dal reale, con la certezza che poi, il virtuale, non basta. Come in questo caso, dove non capire che chi scende in piazza per difendere il proprio posto di lavoro deve anche pretendere da sé stesso il coraggio delle proprie azioni, se non vuole incorrere nell'inconciliabile, nella mezza misura che è niente. Altrimenti attenda l'ineluttabile e si difenda, se può, nel segreto di un'aula di Giustizia.
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