Merate: la ricercatrice Marta Villa espone i segni di antisemitismo nel corso dei secoli

A Villa Confalonieri l'associazione La Semina ha proposto nella serata di venerdì 15 marzo una riflessione culturale con taglio antropologico sulla diffusione dell'antisemitismo, dall'Impero Romano ai giorni nostri. L'occasione è stata la presentazione del libro "Le radici antisemite dell'Occidente", frutto degli approfondimenti della dottoressa Marta Villa, ricercatrice all'Università di Trento e all'Università della Svizzera Italiana. Se le persecuzioni del popolo ebraico hanno conosciuto fasi alterne nel corso della Storia, non si può dire altrettanto per le sue forme di stereotipizzazione.

La prof.ssa Caterina Gabrielli e la ricercatrice Marta Villa

La studiosa ha indagato le ripetute caratterizzazioni in verso spregiativo che sono state assimilate in maniera stratificata nelle varie fasce della popolazione occidentale. Immagini che si sono radicate nella coscienza collettiva e tali da offrire supporto alle tesi più radicali. «Lo dico da antropologa, Hitler non avrebbe avuto lo stesso successo se certe idee non fossero circolate già in precedenza» ha affermato Villa. Più volte nel corso dei secoli gli ebrei sono stati paragonati agli animali meno apprezzati o che nell'immaginario comune simboleggiano significati negativi. Un intero popolo che è stato degradato a malattia trasmissibile da estirpare. In quest'ottica trova fondamento il pensiero dell'intellettuale Giorgio Galli, autore della prefazione del saggio della dottoressa Villa, secondo cui il Mein Kampf non conteneva nulla di nuovo. La conferenza è stata utile per scavare tra le cause di quell'intolleranza che da religiosa si è trasformata in razziale. «Il meccanismo diventa terribile quando la persecuzione religiosa diventa di stampo razziale perché prima agli ebrei veniva concessa la possibilità di convertirsi. Ma quando diventa razziale com'è possibile scappare? È un paradosso» ha osservato la ricercatrice. Il momento di svolta avviene nell'Ottocento quando circolava il pensiero positivista della fisiognomica. Ha proseguito Marta Villa: «Si cercano delle fattezze assolutamente inventate e si crea così una razza antisemita che non esiste». Il tutto per un senso di paura nei confronti del diverso, un timore accresciuto dall'impossibilità di riconoscere gli appartenenti alla comunità ebraica alla sola vista, ha sostenuto la studiosa. «Nel 1215 il Concilio Lateranense aveva prescritto agli ebrei di portare sulle vesti una rotella, solitamente di colore giallo. Ripetutamente nella storia gli ebrei sono stati costretti a portare dei marchi. Era questo un modo per esorcizzare la paura inspiegabile del diverso». Il periodo storico più clemente nei confronti degli ebrei è stato l'Illuminismo, con il trionfo della ragione. Non fu una tendenza unanime: sono note ad esempio le posizioni antigiudaiche di Voltaire, ma in generale l'epoca dei lumi ha fatto superare la soglia dei pregiudizi artefatti. Per motivare questo assunto la dottoressa Villa ha citato Goethe, il quale in uno scritto sostenne la soggezione giovanile che nutriva per gli ebrei, dettata dagli insegnamenti dei genitori. Crescendo, aveva conosciuto fedeli ebraici che lo hanno fatto ricredere su quanto pensato nella prima fase di vita. Un messaggio che riletto oggi non smette di essere d'esempio perché come diceva Primo Levi la Storia può ripetersi e se non contro gli ebrei, contro qualcun altro.


È scaturito un intenso dibattito, moderato dalla prof.ssa Caterina Gabrielli, filosofa del Direttivo dell'associazione La Semina. Una serie di interventi che hanno ulteriormente criticizzato il fenomeno dell'antisemitismo, nel tentativo di cogliere le eventuali corresponsabilità dei cristiani e degli ebrei stessi. Problemi di fede, ma anche di un forte senso di identità ebraica che non ha agevolato un percorso di integrazione ed assimilazione, che per assurdo aveva trovato finalmente le coordinate giuste proprio quando si è affacciato alla Storia il nazismo.
M.P.

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