La Valletta: Roberto Colombo vinto a 42 anni dalla malattia. Una grande passione per la musica e un cuore che amava tutti

Roberto Colombo con una delle sue chitarre


Amava la chitarra, la musica dagli anni '60 in poi ma soprattutto il rock, e soprattutto quello ruvido di Alice Cooper, ma le canzoni più belle Roberto Colombo le suonava con il suo sguardo. Due occhi azzurri che avevano tutta la grinta di una ''Poison'' (tra i brani più rappresentativi di Cooper) e tutto il buono che solitamente gli artisti mettono sul palco, quello fatto, suonato o cantato ''semplicemente'' per fare il bene delle persone. E le persone amavano Roberto, e lui amava loro. Per questo ora che non c'è più, adesso che una malattia incurabile lo ha condotto lontano da questo mondo terreno, il commento che riflette più di ogni altro l'essenza del giovane 42enne nativo di Sirtori e residente a Monte, frazione di La Valletta, è quello di mamma Anna. ''Non si può trovare al mondo una persona che volesse del male a Roberto, non ce n'è una''.

C'era solo chi lo amava più di altri. Questi erano certamente i suoi genitori, con Anna il papà Camillo, la sorella Patrizia, la nonna Teresina e la moglie Laura, con la quale aveva festeggiato i 20 anni trascorsi insieme il 26 febbraio. Roberto è morto il giorno dopo, mercoledì 27, quando il dolore provocato dal melanoma encefalico che lo aveva colpito era diventato per lui troppo da sopportare. Il coraggio con cui aveva affrontato la malattia, giorno dopo giorno, una visita dopo l'altra, hanno però segnato a tal punto i suoi famigliari che oggi, nei giorni più dolorosi, non hanno alcun timore di ricordare il loro Roberto anzi, lo fanno esprimendo tutta la gioia che gli ha lasciato nel cuore.

Roberto scattò questa foto in ospedale, qualche giorno dopo il primo ricovero, commentando così: ''Buongiorno e buona domenica!
Tra alti e bassi e dolori e antidolorifici...i fastidi si stanno affievolendo. Seguito e curato molto bene dallo Staff dell'ospedale del Manzoni
di Lecco e del reparto Neuroscienze 2. Sono positivo e Vi ringrazio di tutto....andiamo avanti! Roby''


''La passione per la chitarra la ereditò da me perché anche io, da giovane, la suonavo'' ha raccontato papà Camillo. ''Tutto iniziò quando aveva 17 anni, per via di un infortunio. Roberto fino ad allora giocava a pallone, anche piuttosto bene, nella Sirtorese. Durante una partita ebbe un brutto infortunio al ginocchio che lo tenne fermo per un lungo periodo. Fu nei giorni in cui doveva rimanere a casa, senza fare nulla, che gli proposi di riprendere in mano la chitarra. Io gli avevo insegnato qualche accordo, ma erano i primi rudimenti. Gli suggerii quindi di andare a prendere lezioni da un amico. Pian piano, Roberto incominciò a prendere sempre più confidenza con lo strumento e si fece i primi contatti nel giro''.

Con la sorella Patrizia

Dentro di lui, evidentemente, si sprigionò una passione rimasta dormiente fino ad allora, surclassata per quella del calcio, poi venuta fuori attraverso tanta determinazione. ''Decise di incrementare la sue conoscenze musicali e così si iscrisse alla CPM di Milano, che è una sorta di conservatorio privato fondato dal chitarrista della PFM, Franco Mussida'' ha continuato il papà. ''In un paio di anni fece passi da gigante. Terminato il corso continuò da autodidatta, seguendo tra l'altro le lezioni di Massimo Varini, chitarrista, e di grandi nomi della musica italiana, tra cui Nek, con cui Roberto strinse una bella amicizia''. Quello di Varini è stato uno dei tantissimi messaggi di addio arrivati a Roberto sui suoi account social. Tra questi tanti altri di persone che avevano imparato a suonare la chitarra grazie alle lezioni prese dal 42enne scomparso. Il papà ha raccontato, tra l'altro, di un amico che, grazie al figlio, riuscì finalmente a ''suonare a dovere'' lo strumento dopo averci provato per oltre 50 anni con altri maestri, ma senza lo stesso successo. Insegnava la musica a molti bambini, ha quindi ricordato la mamma, e con loro aveva un rapporto speciale. ''Li adorava, e loro adoravano lui'' ha commentato Anna. Le giornate di Roberto trascorrevano dunque divise tra lavoro (ultimamente era stato assunto da una società che distribuisce bevande alcoliche, soprattutto vino e birre, nei locali, facendo anche da rappresentante), lezioni private, le prove con la band fondata insieme ad alcuni storici amici (gli ''Incredibol'') e il suo matrimonio con Laura, che aveva conosciuto nel '99 perchè lavorava nella stessa azienda della sorella Patrizia, a Perego. Si erano sposati l'8 giugno del 2011, alcuni anni dopo aver deciso di andare a convivere nella loro casa di Monte. Una routine messa a dura prova nell'ultimo periodo dai dolori che pian piano incominciavano a manifestarsi.

''Iniziarono dalla schiena, ma non sembrava nulla di grave'' ha raccontato papà Camillo. ''Quando tornò dalle vacanze con Laura, ad agosto, si sentiva bene ma continuava ad accusare quei dolori. Un giorno lo sentii e mi disse che era diventato insopportabile. Lo convinsi a rivolgersi al Pronto Soccorso di Merate, dove andammo insieme. I medici ci consigliarono di fare delle radiografie. Era il 20 settembre quando tornammo in ospedale, questa volta a Lecco, dove Roberto fu visitato da un dottore della neurochirurgia, uno dei medici più professionali che abbia mai conosciuto, il dr. Carlo Cesano, che vide l'esito degli esami e capì che qualcosa non andava. E' lì che scoprimmo che aveva un tumore benigno. Fu operato una settimana dopo, ma nello stesso tempo ne trovarono un altro, questa volta era un melanoma encefalico. Il dottore ci diede una lungo elenco di visite da fare''. Iniziò così un calvario durato quasi quattro mesi, durante il quale il giovane chitarrista fu sorretto dalla forza dei famigliari, che sommata alle cure non fu purtroppo sufficiente a salvarlo. Sabato 2 marzo si sono celebrati i suoi funerali in una chiesa, quella di Sant'Ambrogio a Monte, in cui tutti gli amici accorsi per un ultimo saluto a stento sono riusciti a starci. Segno dell'immenso amore che Roberto, con la sua musica, con il suo sorriso e il suo sguardo buono, riusciva ad infondere nelle persone.
Alberto Secci
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