Mandic: paziente perde la vista. Il giudice assolve l'oculista
"Assolto perchè il fatto non costituisce reato": così si conclude la vicenda giudiziaria che ha visto il dott. Paolo Galbiati -oculista presso l'ospedale Mandic di Merate- accusato di lesioni personali colpose ai danni di un suo paziente, divenuto cieco in seguito ad un intervento.
L'uomo si era presentato dallo specialista per farsi rimuovere una presunta ciste sebacea -una formazione cutanea di cui "soffriva" in varie parti del corpo- in prossimità della palpebra. Sottopostosi all'intervento l'1 marzo 2012, il paziente aveva fin da subito mostrato gonfiore e lividezza, manifestazioni post-operatorie del tutto normali, ma col passare delle ore la situazione non era migliorata: preoccupato aveva contattato l'oculista, ricevendo rassicurazioni, fino alla visita del 5 marzo quando il medico aveva riscontrato una situazione effettivamente allarmante: una importante emorragia retrobulbare aveva provocato una compressione del nervo oculare, causando a sua volta la perdita irreversibile della vista. L'imputato aveva optato per una terapia cortisonica per cercare di arginare la lesione del nervo ottico, senza però ottenere un riscontro positivo. Solo successivamente, dalle analisi istologiche sul campione di "ciste" rimossa in sala operatoria, il corpo prelevato dall'occhio del paziente era risultato essere un emangioma, ovvero un tumore benigno. Nella giornata di venerdì ha esposto la propria analisi dei fatti la dott.ssa Rita Celli, il medico legale chiamata come consulente dal pubblico ministero insieme al dott. Carlo Capoferri - già sentito nella scorsa udienza: "Se è vero che il paziente si era messo più volte in contatto con il dr. Galbiati lamentando qualcosa di inusuale, allora il comportamento del medico deve essere considerato non corretto e non adeguato alla situazione. Se invece questi contatti non sono dimostrabili, allora il comportamento del dr. Galbiati non può essere censurabile, perchè quando viene a conoscenza dello stato delle cose il 4 marzo, non è più possibile ipotizzare che un intervento in quel momento avrebbe potuto modificare la situazione in maniera decisiva". Il caso in questione, è stato concluso, si inquadra nella seconda ipotesi presentata dalla dottoressa, ovvero quella in cui le telefonate del paziente al medico non sono dimostrabili.
È stata infine escussa in aula come teste della difesa l'infermiera Sonia Bugana, che quel 1 marzo aveva assistito il medico in sala operatoria: "è stato un intervento normale" ha dichiarato la donna che, al quesito del pubblico ministero Pietro Bassi -se avesse notato un sanguinamento anomalo- ha aggiunto di non ricordare nulla di strano o fuori dalla norma. Terminata l'istruttoria, il dott. Pietro Bassi ha dichiarato di "non sentirsi di chiedere la condanna" per la presenza di troppe variabili e dubbi determinanti, basati peraltro su statistiche. L'avvocato Floriani Massimo per la difesa, in sostituzione del collega Fabio Galli, ha formulato la propria tesi: "Nel corso di questo processo abbiamo sentito due medici legali e tre oculisti: tutti hanno escluso in maniera quasi categorica che il dottor Galbiati abbia tenuto un compotamento che avrebbe lasciato presagire un epilogo di questo tipo". Forte anche dell'opinione del dr. Capoferri, il legale ha affermato che comunque il decorso cui si è trovato davanti l'odierno imputato, non avrebbe più potuto trovare rimedio il terzo giorno dopo l'intervento. La sentenza -pronunciata dal giudice monocratico Enrico Manzi- si aggiunge a quella di "non ravvisata responsabilità" pronunciata dal Tribunale di Lecco in sede civile. Già impugnata dalla parte civile del procedimento, lo stralcio della vicenda proseguirà in Corte d'Appello il prossimo aprile.
L'uomo si era presentato dallo specialista per farsi rimuovere una presunta ciste sebacea -una formazione cutanea di cui "soffriva" in varie parti del corpo- in prossimità della palpebra. Sottopostosi all'intervento l'1 marzo 2012, il paziente aveva fin da subito mostrato gonfiore e lividezza, manifestazioni post-operatorie del tutto normali, ma col passare delle ore la situazione non era migliorata: preoccupato aveva contattato l'oculista, ricevendo rassicurazioni, fino alla visita del 5 marzo quando il medico aveva riscontrato una situazione effettivamente allarmante: una importante emorragia retrobulbare aveva provocato una compressione del nervo oculare, causando a sua volta la perdita irreversibile della vista. L'imputato aveva optato per una terapia cortisonica per cercare di arginare la lesione del nervo ottico, senza però ottenere un riscontro positivo. Solo successivamente, dalle analisi istologiche sul campione di "ciste" rimossa in sala operatoria, il corpo prelevato dall'occhio del paziente era risultato essere un emangioma, ovvero un tumore benigno. Nella giornata di venerdì ha esposto la propria analisi dei fatti la dott.ssa Rita Celli, il medico legale chiamata come consulente dal pubblico ministero insieme al dott. Carlo Capoferri - già sentito nella scorsa udienza: "Se è vero che il paziente si era messo più volte in contatto con il dr. Galbiati lamentando qualcosa di inusuale, allora il comportamento del medico deve essere considerato non corretto e non adeguato alla situazione. Se invece questi contatti non sono dimostrabili, allora il comportamento del dr. Galbiati non può essere censurabile, perchè quando viene a conoscenza dello stato delle cose il 4 marzo, non è più possibile ipotizzare che un intervento in quel momento avrebbe potuto modificare la situazione in maniera decisiva". Il caso in questione, è stato concluso, si inquadra nella seconda ipotesi presentata dalla dottoressa, ovvero quella in cui le telefonate del paziente al medico non sono dimostrabili.
È stata infine escussa in aula come teste della difesa l'infermiera Sonia Bugana, che quel 1 marzo aveva assistito il medico in sala operatoria: "è stato un intervento normale" ha dichiarato la donna che, al quesito del pubblico ministero Pietro Bassi -se avesse notato un sanguinamento anomalo- ha aggiunto di non ricordare nulla di strano o fuori dalla norma. Terminata l'istruttoria, il dott. Pietro Bassi ha dichiarato di "non sentirsi di chiedere la condanna" per la presenza di troppe variabili e dubbi determinanti, basati peraltro su statistiche. L'avvocato Floriani Massimo per la difesa, in sostituzione del collega Fabio Galli, ha formulato la propria tesi: "Nel corso di questo processo abbiamo sentito due medici legali e tre oculisti: tutti hanno escluso in maniera quasi categorica che il dottor Galbiati abbia tenuto un compotamento che avrebbe lasciato presagire un epilogo di questo tipo". Forte anche dell'opinione del dr. Capoferri, il legale ha affermato che comunque il decorso cui si è trovato davanti l'odierno imputato, non avrebbe più potuto trovare rimedio il terzo giorno dopo l'intervento. La sentenza -pronunciata dal giudice monocratico Enrico Manzi- si aggiunge a quella di "non ravvisata responsabilità" pronunciata dal Tribunale di Lecco in sede civile. Già impugnata dalla parte civile del procedimento, lo stralcio della vicenda proseguirà in Corte d'Appello il prossimo aprile.
Federica Frigerio