Piero Carzaniga, lascia il Mandic: Ai cittadini dico, la nostra Chirurgia è d’eccellenza e all’avanguardia ma l’ospedale tutto ha personale medico-infermieristico di valore. Merita fiducia

Lo sguardo è rilassato, la parola ferma, come la mano quando incide col bisturi. Solo la voce ha un leggero tremolio: "Da oggi, 23 gennaio 2019, sono in pensione. Mi dispiace, avrei continuato a lavorare al Mandic, la mia vita è fare il medico e come medico ho sempre voluto essere un chirurgo. Qualcosa ancora potevo insegnare. Spero almeno che, come accade in tanti altri ospedali, anche a noi ex primari, come Zagni, ci sia consentito mettere a disposizione dei colleghi più giovani la nostra esperienza, in corsia o in sala operatoria".

Il dr. Pierluigi Carzaniga


Pierluigi Carzaniga, 66 anni compiuti il 26 novembre scorso, primario del reparto di Chirurgia del San Leopoldo Mandic dall'ottobre 2000, ha salutato martedì, con una sobria cerimonia, medici e infermieri del Presidio e da mercoledì è pensionato. Laureato nel 1977 a Milano, allievo del professor De Nicolai a sua volta allievo del famoso professor Angelo De Gasperis, che nel 1955 aveva avviato la prima divisione italiana di chirurgia cardio-toracica, Carzaniga arriva all'ospedale di circolo di Lecco, sua città natale, nel 1980. Lì lavora con primari di altissima qualità professionale e umana: Gianbattista Cassinelli, Mario Sforza, Riccardo Erba. Si specializza in Chirurgia e Malattie dell'apparato digerente e nell'87 acquisisce l'idoneità a primario di chirurgia generale superando un esame nazionale, molto selettivo, oggi soppresso. E' uno dei pochi chirurghi ancora attivi a operare a 360 gradi: chirurgia addominale, toracica, vascolare, della mammella, chirurgia plastica. Al San Leopoldo Mandic ha trasferito soprattutto un concetto di fondo: innovare, mantenere elevata la strumentazione tecnologica, essere costantemente aggiornato sulle ricerche in atto nel mondo partecipando a convegni internazionali. Per l'azienda ha svolto l'incarico di capodipartimento funzionale per le attività chirurgiche di Merate e, nell'ultimo triennio, di capodipartimento gestionale di chirurgia elettiva e specialistica, per i due presidi, che comprende la chirurgia generale del Mandic, l'Otorino, l'Oculistica, la Breast Unit e la chirurgia plastica.


"Caro Pierluigi - mi disse il primario di Lecco professor Sforza - devi credere nelle nuove tecnologie, viene avanti la chirurgia mininvasiva. E' il futuro". Sulle prime ammetto di aver avuto molte perplessità ma ho creduto al mio primario e percorso quella strada. Era il 1990. Allora parlare di laparoscopia era da pionieri. Non esisteva neppure una scuola specifica per chirurgia mininvasiva. Nel 1991 il primo intervento di colicistectomia: niente taglio ma solo due-tre "buchi" per poi effettuare con la "guida" della telecamera, l'intervento operatorio. Risultato: miglior decorso post-operatorio, meno dolore, rapida ripresa delle funzioni, dimissioni precoci e perché no, un vantaggio estetico, cosmetico direi. Con questa tecnica non c'è manipolazione dei tessuti e lo stress per il chirurgo è ridotto. In altre parole si tratta di un intervento gentile. Con quella prima asportazione della colecisti abbiamo aperto una strada che via via si è sempre più allargata con interventi prima di piccola e media chirurgia e poi di alta chirurgia colo-rettale, dello stomaco, dei parenchimi (milza, pancreas, rene, surrene e polmone). Posso dire con orgoglio di aver avviato per primo ciascuna tipologia di intervento di cui oggi i colleghi fanno ricorso quotidiano a tutto vantaggio del paziente e anche dell'azienda".   



Le Direzioni generali che si sono succedute come si sono poste di fronte a questa scelta operativa?

"Posso dire che nessun direttore generale mi ha mai frenato in questo senso. Anzi mi hanno concesso strumenti e apparecchiature per restare al passo con l'evoluzione tecnologica più avanzata e progressivamente il Mandic è stato dotato di tutte le tecnologia al top di gamma. Nelle nostre sale operatorie non manca nulla, il paziente trova quanto di meglio c'è sul mercato in fatto di strumentazione e apparecchiature". 



E di personale, immagino.

"Certamente. Ho avuto la fortuna di incontrare collaboratori che hanno creduto con me in questa nuova frontiera della chirurgia. Senza voler fare torto agli altri cito per la chirurgia colon-rettale Marco Confalonieri e Paolo Casati, per la mammella Carla Magni che coordina la "Breast Unit" aziendale con prestazioni professionali d'eccellenza, Marcella Arru per la chirurgia epatica molto complessa che esegue con tecnica innovativa rispetto agli standard, Paolo Caputo per la chirurgia d'urgenza e l'ultima arrivata, Nirvana Maroni, classe 1980 laureata nel 2005, specializzata nella  chirurgia colo-proctologica e valutazione endo-ecografica ano-rettale di patologie benigne e maligne dopo aver lavorato per diversi mesi presso l'Ospedale di Leuven (Belgio) dedicandosi alla chirurgia colo-rettale e proctologia e dal 2011 come consulente presso l'Unità Operativa di Chirurgia Generale II dell'Ospedale San Paolo di Milano diretta dal Prof. Opocher".

 

Altri punti di forza della Chirurgia del Mandic?

"A parte il già citato valore del personale medico-infermieristico è certamente da sottolineare l'atteggiamento multidisciplinare per alcune patologie. Cioè l'integrazione di diverse competenze nell'affrontare casi complessi soprattutto in campo oncologico: chirurgo, endoscopista, radiologo, oncologo medico, radioterapista, medico nucleare, psicologa. Oggi si deve operare in team per ottenere i migliori risultati. I nostri chirurghi operano con altri specialisti per interventi di elevata complessità: con Gregorio del Boca in Ginecologia, un primario di altissima preparazione e competenza, con Marco Bernardi in Chirurgia pediatrica dove si pratica la chirurgia mininvasiva, in Urologia, prima con Dormia, poi con Manganini e ora con Esposito".



E di debolezza?

"La carenza di anestesisti, problema che affligge quasi tutti gli ospedali. E ciò ha determinato una riduzione delle sedute operatorie con 4-5 sale attive su 8. Chiaramente ciò si riflette sui tempi d'attesa".




Soprattutto per gli interventi minori relativi però a patologie diffuse.

"Diciamo subito che per le urgenze non c'è attesa, però anche questa attesa va interpretata rispetto alla priorità. Il carico di lavoro per patologie che necessitano di un trattamento rapido finisce inevitabilmente per comprimere lo spazio per l'attività elettiva minore. E poi c'è sempre da fare i conti con la penuria di anestesisti. In ogni caso penso che l'ospedale pubblico debba dare la precedenza a tipologie di intervento importanti; per quelle minori ci sono le strutture private accreditate più piccole che non costano al paziente e lavorano su economie di scala".


Ma si lavora molto anche con la Day surgery.

"Certo e oggi è molto bene organizzata ed è diventata interdisciplinare con altre specialità chirurgiche: oculistica, Otorino, Ortopedia, Urologia, Endoscopia complessa ecc. Nei primi anni duemila abbiamo iniziato il percorso della chirurgia ambulatoriale con una o al massimo due notti di ricovero. E abbiamo introdotto il concetto del pre-ricovero, molto utile per i pazienti che dopo essersi sottoposto agli esami necessari torna a casa e viene richiamato in ospedale soltanto il giorno dell'intervento o al più il giorno prima. Ciò riduce di molto la spedalizzazione a tutto vantaggio sia del paziente che della sanità pubblica".



Intanto è proseguita l'attività scientifica.

"Quella non si è mai fermata perché come dicevo prima aggiornamento e innovazione sono i cardini del mio lavoro e di riflesso della mia equipe. Siamo presenti in congressi nazionali e internazionali spesso come relatori, moderatori e presidente di sessione. Facciamo formazione ai giovani chirurghi e abbiamo un buon numero di pubblicazioni scientifiche. Alcuni collaboratori sono molto attivi su questo fronte come Andrea Locatelli spesso all'estero e Alessandro Cadeo reduce da un soggiorno in Germania presso il Centro Pancreatico Europeo di Heidelberg, una delle istituzioni leader per la diagnostica e il trattamento delle malattie del pancreas, in modo particolare per la cura del cancro della ghiandola pancreatica, diretto dal professor Marcus Buchler. Personalmente sono stato per un triennio coordinatore dei chirurghi lombardi e il reparto è convenzionato con l'università statale di Milano, convenzione che mi dà il titolo di professore a contratto e consente la didattica universitaria che svolgo regolarmente. Grazie a questa convenzione possiamo disporre a rotazione di specializzandi in chirurgia, oggi ne abbiamo ben tre in reparto".  




Che cosa consiglia al Direttore generale per valorizzare il Mandic?

"Innanzitutto che lo ponga sullo stesso piano del Manzoni di Lecco, presidi entrambi di primo livello....".



Scusi oggi non è così?

"No, non lo è e su questo credo che Paolo Favini debba lavorare molto. E poi consiglio di mantenere e implementare le nuove tecnologie e, soprattutto, di favorire in ogni modo l'integrazione dei due ospedali valorizzando le singole competenze in particolare per le patologie a basso volume di interventi, fegato, pancreas, esofago, stomaco. Chi sa fare meglio deve operare senza distinzione per Merate e per Lecco, senza prevaricazioni né favoritismi. Competenze molto elevate ci sono da noi e a Germanedo, si tratta di integrarle al meglio. Nell'ottica moderna o si sposta l'equipe o si centralizza il paziente. L'esempio concreto e la Breast unit della dottoressa Magni che opera nei due presidi con ottimi risultati in collaborazione col dottor Tommaso Guzzetti, mi creda una vera eccellenza per la parte ricostruttiva con intervento innovativi mediante l'utilizzo di protesi, rotazione dei lembi e così via che io giudico di grande valore e, se mi posso permettere, con risultati per alcuni aspetti anche unici nel loro genere".

 


Quale futuro per la chirurgia in generale e del Mandic in particolare?

"Partiamo dal presupposto già detto che le sale operatorie dell'ospedale di Merate sono tecnologicamente tra le più avanzate con tutta la strumentazione necessaria e di alta gamma per diverse tipologie di intervento. Il futuro è nella chirurgia laparoscopica 4 K e 3D con i coloranti vitali per la visualizzazione delle strutture vascolari e biliari. In generale sarà sempre più chirurgia miniinvasiva, gentile come la chiamo io, personalizzata sul paziente, quasi sartoriale che migliorerà sempre più i risultati in termini di sopravvivenza e guarigione anche in ambito oncologico. L'altra tecnologia che fa capolino e che diventerà sempre più necessaria e la realtà virtuale: immaginare la ricostruzione esatta anatomica tridimensionale dei nostri organi con sovrapposizione al campo chirurgico. Capitolo a parte è la chirurgia robotica con l'arrivo di nuove apparecchiature meno costose e più performanti che necessitano di training di formazione più brevi rispetto alla chirurgia laparoscopica. E, infine, l'avvento di strumenti sempre più sofisticati che permetteranno la sensazione tattile, cioè strumenti che permettono al chirurgo di avere la stessa sensazione come se a toccare la parte anatomica fossero le dita stesse e non lo strumento".



Da mercoledì scorso lei è in pensione. Che succederà ora al Mandic?

"E' stato varato il bando per il primariato e mi aspetto partecipazioni di spessore e nel contempo la direzione generale nominerà un facente funzioni. Lascio comunque un team di medici e infermieri di ottime capacità in grado di operare in autonomia. Certo su qualche intervento di elevata complessità se fosse possibile essere presente sia pure solo in veste di consulente sarebbe una cosa utile. Si vedrà".



Ma non va davvero in pensione, non la vedremo in piazza Prinetti col giornale in mano e la borsa della spesa.

"Beh, quello non lo escluda ma no, non vado in pensione nel senso di lasciare la professione. Dal 1° febbraio vado in una struttura privata convenzionata accreditata di Lecco dove avrò la responsabilità del reparto di chirurgia e dove continuerò a svolgere la mia attività calibrata ovviamente alle risorse della struttura. Manterrò la convenzione universitaria, la didattica e l'insegnamento negli ambiti di formazione dei nuovi chirurghi, oltre a continuare a partecipare alle attività congressuali".


Semel medicus, semper medicus...

"Già, una volta medico, sempre medico. Ai giovani ricordo sempre le parole di Alexis Carrel, premio Nobel per la Medicina: molto ragionamento e poca osservazione conducono all'errore, molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità. Bisogna far tesoro di questo assunto. E li esorto ad avere il coraggio di essere innovatori. Nel Principe Machiavelli scrive: Non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più pericolosa a maneggiare, che farsi capo ad introdurre nuovi ordini". Chiediamoci se quello che abbiamo fatto oggi, dobbiamo continuare a farlo domani o forse dobbiamo cambiare. La risposta sta nella disponibilità al cambiamento, attraverso studio e ricerca. Solo con l'innovazione continua, l'umanità progredisce".  
Claudio Brambilla
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