''Rifiuto l’esercito come strumento di oppressione politica. Mi dichiaro pertanto obiettore di coscienza''. Giugno 1970
Grazie alla gentile concessione del Circolo Arci "La Lo. Co." di Osnago e naturalmente di Franco Zardoni proponiamo ai lettori il documento integrale con cui il cernuschese si dichiarò obiettore di coscienza. Uno dei primi obiettori in Italia che, per questo, dovette subire un processo penale e scontare tre mesi di reclusione nel carcere militare di Peschiera. Soltanto il 15 dicembre 1972, su proposta dell'on. Giovanni Marcora, leader della corrente di sinistra della Dc l'obiezione di coscienza, equiparata alla renitenza alla leva, fu ricompresa nell'ordinamento giuridico ponendo al giovane renitente, come alternativa, il servizio civile.
Io sottoscritto, Zardoni Franco, dichiaro che spontaneamente non mi sono presentato per prestare il servizio militare, per motivi politici. Dichiaro inoltre di aver rinunciato, intenzionalmente, a godere di qualsiasi beneficio di legge per il rinvio del servizio militare di leva, per poter concorrere personalmente - con il mio rifiuto - ad evidenziare tutti i motivi attraverso cui si manifestano con una incidenza più o meno diretta, i vari momenti della discriminazione di classe esistente nella nostra società.
Mi dichiaro pertanto obiettore di coscienza.
È mia ferma intenzione rendere pubbliche le considerazioni che hanno informato questa mia scelta, non tanto per giustificare il mio gesto nella sua configurazione di reato, quanto per farne motivo di crescita della coscienza popolare, intesa come acquisizione di una logica di classe che si fondi su una pratica di critica positiva che sappia sempre cogliere, al di là di ogni mistificazione pseudodemocratica e legalista, la unità di intenti che collega i vari momenti attraverso cui si esprime il processo discriminatorio della nostra realtà strutturale, e che, parimenti, sappia sempre opporre a questa una reale pratica rivoluzionaria coerente con gli obiettivi perseguiti.
Obiettivi che non possono assolutamente esaurirsi in una semplice alternativa di potere (di governo), ma che devono bensì rappresentare un mutamento radicale di quella che è la stessa struttura interiore dell’individuo (rivoluzione culturale quale rifiuto totale di tutti i valori borghesi - e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo) e di quella che è la dinamica stessa della struttura sociale. Le nostre scelte devono essere perciò estremamente chiare e non informarsi mai ad interessi ed opportunità. Anche scegliere di non scegliere, è scegliere di stare con chi è attualmente padrone della situazione. È scegliere di stare con gli oppressori.
IO RIFIUTO conseguentemente l’appartenenza ad ogni comunità giuridica nazionale e rivendico la mia unità non solo ideale ma anche politica, con coloro che in ogni parte del mondo si adoperano, più o meno clandestinamente, per la emancipazione degli sfruttati e dei lavoratori.
Ma non per perseguire la pace di chi, evadendo da ogni analisi socio-politica della realtà, si affretta solo a denunciarla, facendone un fatto culturale, una astrazione ideale, una teologia del XX secolo; ma la pace di chi, senza denunciarla, la persegue fattivamente negli atti. Non voglio la pace delle diplomazie, la pace delle Nazioni Unite, la pace dei Governi - che è la pace dei potenti - ma voglio una pace che sia conquista dei popoli: affermazione della loro volontà quale adesione a strutture socio-economiche radicalmente diverse. Per questo io ora rifiuto di rispondere ad un ordine quale la chiamata delle armi; ordine che mi viene impartito da una autorità che non riconosco, perché espressione di una volontà che non è quella della mia classe. Se il rapporto produttivo è fondato, all’interno della fabbrica, sullo sfruttamento, perché si fa del bisogno, che è di tutti, motivo di ricatto, parimenti la realtà statuale si informa a quei principi che sono propri della classe dominante: è infatti sullo sfruttamento o sul terrorismo che vive tutta la società occidentale; la guerra in essa non è un accidente, ma è solo il momento ultimo, inevitabile, di tutte le tensioni che presiedono agli equilibri esistenti. LA GUERRA È UN ATTO VOLUTO, RAZIONALE: è il presupposto stesso dell’esistenza della società capitalista, ma se anche il potere, nella vita civile, non si identifica in persone, ma in situazioni e in istituzioni anonime, è nostro dovere denunciarle e combatterle. Cercando soprattutto di rendere più evidenti i motivi di oppressione che anche in queste si nascondono.
Nel dichiararmi obiettore di coscienza intendo evitare subito un equivoco e denunciare a priori l’aspetto moralistico a cui è sottoposto l’interpretazione della obiezione stessa, e dalla parte della Magistratura e dalla parte di tutti i mezzi di informazione (i quali provvedono a fare dell’obiettore una figura esecranda - da istituto psichiatrico). La mia dichiarazione non offre motivi per essere presa sotto questo aspetto e intende essere giudicata per i suoi contenuti politici.
La mia colpa non è quella di non aver ottemperato, incidentalmente ad un ordine, ma quella di rifiutare ad ogni ordine che emana da un potere statuale borghese. Questa mia scelta evade da qualsiasi opportunismo tattico. Dove tattico, troppo spesso, significa semplicemente la nostra incapacità a pagare personalmente lo scotto della nostra testimonianza. È disonesto circoscrivere la nostra militanza solo a quelle esperienze che risultano essere più gratificanti: riducendole a mere terapie per la nostra alienazione politica.
Ogni militante deve adeguare le proprie scelte alla situazione storica in cui si esprime la sua realtà e non cercare pretese giustificazioni elitarie che sono veri funambolismi ideologici. Non si devono mai accettare compromessi con un sistema avverso che si fonda sulla violenza e sulla guerra. Ogni rapporto di mediazione è un atto di connivenza con la struttura capitalista, perché tende a conservare le cose come sono; di più, a renderle ancora più razionali, e perciò ancor più deleterie perché meno percepibili.
La nostra stessa legislazione riflette le discriminazioni presenti nel mondo d’oggi: gli oppressi sono diversamente trattati dagli oppressori: i reati comuni hanno sanzioni che sono, proporzionalmente, molto più alte di quelle comminate per i reati patrimoniali.
Le ragioni per cui mi dichiaro obiettore di coscienza sono diverse, ma hanno tutte una comune matrice politica. La mia stessa qualificazione di lavoratore-studente, mi esime da ogni costrutto intellettualistico per giustificare la mia scelta o le origini della mia militanza a fianco degli operai contro le strutture capitalistiche. Ritengo che l’Esercito Italiano, e in generale gli eserciti delle società occidentali, sia per la sua impostazione, la sua funzione, e la sua utilizzazione, una struttura su cui si fonda e si regge lo stato borghese. Pertanto rifiuto di entrare a far parte di questo strumento che viene usato, istituzionalmente, contro le masse popolari - e di qualsivoglia derivazione etnica -.
...Questa scelta è in primo luogo un rifiuto cosciente del principio di autorità per cui l'ordinamento dello stato, così come è voluto e costruito dalla classe dominante, è investito del potere di decisione sulle libertà dell'individuo. In secondo luogo rifiuto l'esercito in quanto strumento di oppressione militare, cioè di guerra.
Lo stato utilizza questo strumento per l'esercizio del dominio capitalistico: se anche questa concezione può apparire inattuale oggi, perché l'esercito appare più come strumento di difesa che di offesa, la realtà rimane sempre la stessa. Si tratterà sempre di difendere interessi capitalistici. L'integrazione dell'esercito italiano con quello americano attraverso la NATO, la presenza delle basi americane in Italia, l'appoggio diretto e indiretto che attraverso questi viene dato alle guerre capitaliste in Indocina (il recente intervento in Cambogia dopo averne pretestuosamente determinato il colpo di stato, ne è solo un esempio) e alla dittatura militare in Grecia - per fare solo un secondo esempio - sono la conferma che l'esercito è strumento di oppressione, giustificano la mia scelta e la rafforzano anche dal punto di vista morale.
In terzo luogo, rifiuto l'esercito come strumento di oppressione politica. Infatti l'esercito può trovare una sua utilizzazione all'interno del paese per reprimere le libertà conquistate dal popolo. E' noto da un lato che nell'esercito si viene addestrati anche alle cosiddette attività anti-sovversive, mentre dall'altro lato le vicende del SIFAR e del tentativo di colpo di stato del 1964 sono un chiaro esempio di una utilizzazione particolare del potere politico che l'esercito fornisce ai militari che lo comandano. Le implicazioni politiche dell'esercito sono però più vaste. Attraverso le forniture militari, l'esercito ha fortissimi legami economici con l'industria, tanto che si parla correntemente di «industria bellica». L'interesse economico e l'interesse politico a potenziare le strutture militari, trovano in questo modo un punto d'incontro: le forniture militari diventano essenziali per molta parte dell'industria, il potere militare diventa una sicurezza e una garanzia per la classe politica che detiene il potere.
In quarto luogo, rifiuto l'esercito come strumento di oppressione individuale. Nell'esercito i diritti dell'individuo sono negati, i concetti che vengono insegnati sono quelli della gerarchia e della disciplina, il potere è imposto dall'alto e la base - cioè la truppa - ha solo la funzione di obbedire. Non ha alcuna forma di partecipazione, non ha in alcun modo quei diritti civili che peraltro lo stato borghese dice di concedere.
L'esercito diviene così parte integrante e culmine di tutto quel processo formativo che si esprime anche nella scuola e che mira a fare di ogni soggetto un individuo funzionale a quello che è la struttura sociale e, in definitiva l'espressione stessa del rapporto economico-produttivo.
Nell'esercito si impara ad obbedire e si opera una prefigurazione di quello che sarà poi l'ordinamento della fabbrica: uguale l'ordinamento gerarchico, uguale la disciplina. Infine, l'obiezione di coscienza rappresenta un diritto civile che non può essere negato, perché consiste nel riconoscimento del diritto del singolo a non obbedire ad ordini che vadano contro i suoi convincimenti: e cioè una estensione della libertà di coscienza, cioè di un valore - la libertà individuale - che lo stato borghese pone a suo fondamento.
Se lo stato nega il diritto alla obiezione di coscienza, rinnega in realtà i principi su cui si fonda. Applicata al servizio militare, l'obiezione di coscienza consiste nel rifiuto di obbedire ad un ordine che è contrario ai miei convincimenti, cioè nel rifiuto di far parte di uno strumento che è oppressivo per tutto quanto ho già detto. Da ultimo, dichiaro che è mia intenzione consegnarmi entro breve tempo, al completo esaurimento di tutti quei compiti che ritengo connessi direttamente con quelli che sono i principi stessi della mia militanza e perciò all'origine del mio attuale rifiuto.
Giugno 1970
Mi dichiaro pertanto obiettore di coscienza.
È mia ferma intenzione rendere pubbliche le considerazioni che hanno informato questa mia scelta, non tanto per giustificare il mio gesto nella sua configurazione di reato, quanto per farne motivo di crescita della coscienza popolare, intesa come acquisizione di una logica di classe che si fondi su una pratica di critica positiva che sappia sempre cogliere, al di là di ogni mistificazione pseudodemocratica e legalista, la unità di intenti che collega i vari momenti attraverso cui si esprime il processo discriminatorio della nostra realtà strutturale, e che, parimenti, sappia sempre opporre a questa una reale pratica rivoluzionaria coerente con gli obiettivi perseguiti.
Obiettivi che non possono assolutamente esaurirsi in una semplice alternativa di potere (di governo), ma che devono bensì rappresentare un mutamento radicale di quella che è la stessa struttura interiore dell’individuo (rivoluzione culturale quale rifiuto totale di tutti i valori borghesi - e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo) e di quella che è la dinamica stessa della struttura sociale. Le nostre scelte devono essere perciò estremamente chiare e non informarsi mai ad interessi ed opportunità. Anche scegliere di non scegliere, è scegliere di stare con chi è attualmente padrone della situazione. È scegliere di stare con gli oppressori.
IO RIFIUTO conseguentemente l’appartenenza ad ogni comunità giuridica nazionale e rivendico la mia unità non solo ideale ma anche politica, con coloro che in ogni parte del mondo si adoperano, più o meno clandestinamente, per la emancipazione degli sfruttati e dei lavoratori.
Ma non per perseguire la pace di chi, evadendo da ogni analisi socio-politica della realtà, si affretta solo a denunciarla, facendone un fatto culturale, una astrazione ideale, una teologia del XX secolo; ma la pace di chi, senza denunciarla, la persegue fattivamente negli atti. Non voglio la pace delle diplomazie, la pace delle Nazioni Unite, la pace dei Governi - che è la pace dei potenti - ma voglio una pace che sia conquista dei popoli: affermazione della loro volontà quale adesione a strutture socio-economiche radicalmente diverse. Per questo io ora rifiuto di rispondere ad un ordine quale la chiamata delle armi; ordine che mi viene impartito da una autorità che non riconosco, perché espressione di una volontà che non è quella della mia classe. Se il rapporto produttivo è fondato, all’interno della fabbrica, sullo sfruttamento, perché si fa del bisogno, che è di tutti, motivo di ricatto, parimenti la realtà statuale si informa a quei principi che sono propri della classe dominante: è infatti sullo sfruttamento o sul terrorismo che vive tutta la società occidentale; la guerra in essa non è un accidente, ma è solo il momento ultimo, inevitabile, di tutte le tensioni che presiedono agli equilibri esistenti. LA GUERRA È UN ATTO VOLUTO, RAZIONALE: è il presupposto stesso dell’esistenza della società capitalista, ma se anche il potere, nella vita civile, non si identifica in persone, ma in situazioni e in istituzioni anonime, è nostro dovere denunciarle e combatterle. Cercando soprattutto di rendere più evidenti i motivi di oppressione che anche in queste si nascondono.
Nel dichiararmi obiettore di coscienza intendo evitare subito un equivoco e denunciare a priori l’aspetto moralistico a cui è sottoposto l’interpretazione della obiezione stessa, e dalla parte della Magistratura e dalla parte di tutti i mezzi di informazione (i quali provvedono a fare dell’obiettore una figura esecranda - da istituto psichiatrico). La mia dichiarazione non offre motivi per essere presa sotto questo aspetto e intende essere giudicata per i suoi contenuti politici.
La mia colpa non è quella di non aver ottemperato, incidentalmente ad un ordine, ma quella di rifiutare ad ogni ordine che emana da un potere statuale borghese. Questa mia scelta evade da qualsiasi opportunismo tattico. Dove tattico, troppo spesso, significa semplicemente la nostra incapacità a pagare personalmente lo scotto della nostra testimonianza. È disonesto circoscrivere la nostra militanza solo a quelle esperienze che risultano essere più gratificanti: riducendole a mere terapie per la nostra alienazione politica.
Ogni militante deve adeguare le proprie scelte alla situazione storica in cui si esprime la sua realtà e non cercare pretese giustificazioni elitarie che sono veri funambolismi ideologici. Non si devono mai accettare compromessi con un sistema avverso che si fonda sulla violenza e sulla guerra. Ogni rapporto di mediazione è un atto di connivenza con la struttura capitalista, perché tende a conservare le cose come sono; di più, a renderle ancora più razionali, e perciò ancor più deleterie perché meno percepibili.
La nostra stessa legislazione riflette le discriminazioni presenti nel mondo d’oggi: gli oppressi sono diversamente trattati dagli oppressori: i reati comuni hanno sanzioni che sono, proporzionalmente, molto più alte di quelle comminate per i reati patrimoniali.
Le ragioni per cui mi dichiaro obiettore di coscienza sono diverse, ma hanno tutte una comune matrice politica. La mia stessa qualificazione di lavoratore-studente, mi esime da ogni costrutto intellettualistico per giustificare la mia scelta o le origini della mia militanza a fianco degli operai contro le strutture capitalistiche. Ritengo che l’Esercito Italiano, e in generale gli eserciti delle società occidentali, sia per la sua impostazione, la sua funzione, e la sua utilizzazione, una struttura su cui si fonda e si regge lo stato borghese. Pertanto rifiuto di entrare a far parte di questo strumento che viene usato, istituzionalmente, contro le masse popolari - e di qualsivoglia derivazione etnica -.
...Questa scelta è in primo luogo un rifiuto cosciente del principio di autorità per cui l'ordinamento dello stato, così come è voluto e costruito dalla classe dominante, è investito del potere di decisione sulle libertà dell'individuo. In secondo luogo rifiuto l'esercito in quanto strumento di oppressione militare, cioè di guerra.
Lo stato utilizza questo strumento per l'esercizio del dominio capitalistico: se anche questa concezione può apparire inattuale oggi, perché l'esercito appare più come strumento di difesa che di offesa, la realtà rimane sempre la stessa. Si tratterà sempre di difendere interessi capitalistici. L'integrazione dell'esercito italiano con quello americano attraverso la NATO, la presenza delle basi americane in Italia, l'appoggio diretto e indiretto che attraverso questi viene dato alle guerre capitaliste in Indocina (il recente intervento in Cambogia dopo averne pretestuosamente determinato il colpo di stato, ne è solo un esempio) e alla dittatura militare in Grecia - per fare solo un secondo esempio - sono la conferma che l'esercito è strumento di oppressione, giustificano la mia scelta e la rafforzano anche dal punto di vista morale.
In terzo luogo, rifiuto l'esercito come strumento di oppressione politica. Infatti l'esercito può trovare una sua utilizzazione all'interno del paese per reprimere le libertà conquistate dal popolo. E' noto da un lato che nell'esercito si viene addestrati anche alle cosiddette attività anti-sovversive, mentre dall'altro lato le vicende del SIFAR e del tentativo di colpo di stato del 1964 sono un chiaro esempio di una utilizzazione particolare del potere politico che l'esercito fornisce ai militari che lo comandano. Le implicazioni politiche dell'esercito sono però più vaste. Attraverso le forniture militari, l'esercito ha fortissimi legami economici con l'industria, tanto che si parla correntemente di «industria bellica». L'interesse economico e l'interesse politico a potenziare le strutture militari, trovano in questo modo un punto d'incontro: le forniture militari diventano essenziali per molta parte dell'industria, il potere militare diventa una sicurezza e una garanzia per la classe politica che detiene il potere.
In quarto luogo, rifiuto l'esercito come strumento di oppressione individuale. Nell'esercito i diritti dell'individuo sono negati, i concetti che vengono insegnati sono quelli della gerarchia e della disciplina, il potere è imposto dall'alto e la base - cioè la truppa - ha solo la funzione di obbedire. Non ha alcuna forma di partecipazione, non ha in alcun modo quei diritti civili che peraltro lo stato borghese dice di concedere.
L'esercito diviene così parte integrante e culmine di tutto quel processo formativo che si esprime anche nella scuola e che mira a fare di ogni soggetto un individuo funzionale a quello che è la struttura sociale e, in definitiva l'espressione stessa del rapporto economico-produttivo.
Nell'esercito si impara ad obbedire e si opera una prefigurazione di quello che sarà poi l'ordinamento della fabbrica: uguale l'ordinamento gerarchico, uguale la disciplina. Infine, l'obiezione di coscienza rappresenta un diritto civile che non può essere negato, perché consiste nel riconoscimento del diritto del singolo a non obbedire ad ordini che vadano contro i suoi convincimenti: e cioè una estensione della libertà di coscienza, cioè di un valore - la libertà individuale - che lo stato borghese pone a suo fondamento.
Se lo stato nega il diritto alla obiezione di coscienza, rinnega in realtà i principi su cui si fonda. Applicata al servizio militare, l'obiezione di coscienza consiste nel rifiuto di obbedire ad un ordine che è contrario ai miei convincimenti, cioè nel rifiuto di far parte di uno strumento che è oppressivo per tutto quanto ho già detto. Da ultimo, dichiaro che è mia intenzione consegnarmi entro breve tempo, al completo esaurimento di tutti quei compiti che ritengo connessi direttamente con quelli che sono i principi stessi della mia militanza e perciò all'origine del mio attuale rifiuto.
Giugno 1970
FRANCO ZARDONI
in La Voce dei Poveri: La VdP settembre 1971, Settembre 1971
Ciclostilato in proprio dal “COMITATO D’INTERVENTO” via Monza, 30 - Cernusco L.
in La Voce dei Poveri: La VdP settembre 1971, Settembre 1971
Ciclostilato in proprio dal “COMITATO D’INTERVENTO” via Monza, 30 - Cernusco L.