Pd: l'insegnamento di un giorno speciale
Ho ritenuto mio dovere partecipare a Roma alle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità, prima al Pantheon per l’omaggio al primo Re d’Italia poi in aula alla Camera all’intervento ufficiale del Presidente della Repubblica, con una dedica e un ricordo personale: proprio cinque anni fa di questi tempi scomparve Giorgio Rumi, grande storico, colui che come docente mi aveva guidato e appassionato alla storia contemporanea del nostro Paese e che mi era rimasto maestro e amico anche nell’esperienza politica. Ancora una volta le parole del Presidente Napolitano sono state un richiamo autorevole a ricercare le ragioni profonde che ci uniscono e ci hanno richiamato, senza retorica, al diritto-dovere di essere cittadini e protagonisti di un Paese che amiamo. Peccato per le numerose assenze tra i parlamentari, soprattutto quelle evidenti, annunciate e vantate di molti deputati e senatori della Lega Nord che verranno motivate in nome delle diversità regionali o più semplicemente di opportunità elettorali, ma dalla prossima settimana, quando si tornerà a discutere delle importanti nomine governative in scadenza a livello nazionale, la Lega tornerà un “normale” partito di potere romano. È un’assenza, questa, che umilia il contributo di tanti uomini del Nord protagonisti del raggiungimento dell’Unità (d’altra parte non parla qualcuno di “piemontesizzazione” dell’Italia?), che umilia la presenza massiccia di lombardi (bergamaschi in particolare) tra i garibaldini, e che umilia, in particolare per noi lecchesi, la straordinaria figura del patriota Alessandro Manzoni, a cui non casualmente la mostra sul Risorgimento in Senato ha riservato un ruolo particolare tra i “precursori”. Manzoni non è solo il grande letterato che, “sciacquando i panni in Arno”, si preoccupa che il suo sia innanzitutto un grande romanzo nazionale e che non a caso nel 1862 avrebbe rivestito il ruolo di Presidente della Commissione Nazionale per la lingua italiana, accettando l’incarico di Senatore del Regno, lui cattolico con la questione romana e il problema di Roma capitale aperto, Manzoni è anche il patriota dell’ode “Marzo 1821”, “liberata” solo durante i moti del 1848, giustamente ripresa in prima pagina dal più autorevole quotidiano nazionale, e i cui versi ci ricordano il miracolo di un Paese che, nonostante oltre un millennio di invasioni, domini stranieri e divisioni, ha conservato la stessa cultura, la stessa lingua, la stessa religione. Perché la bugia leghista si fonda sull’ignoranza che l’idea della nazione italiana, la sua cultura, precede di secoli l’unità politica: basterebbe richiamare il ruolo dell’Accademia della Crusca per la lingua, la “Canzone all’Italia” di Petrarca, i canti VI, i “canti politici” di Dante nella Divina Commedia, le ambizioni de “Il Principe” di Machiavelli. In un bel saggio scritto subito dopo la disfatta del 1870, “Che cos’è una nazione”, Renan spiegò ai cittadini francesi che “una nazione è l’insieme dei sacrifici compiuti e di quelli che si è ancora disposti a compiere insieme”. Fare memoria di un anniversario così importante per il nostro Paese significa allora chiederci quali sono i sacrifici che siamo disposti a compiere insieme, affinché non sia solo l’emozione di un giorno; significa costruire un federalismo vero, che affronti il nodo delle Regioni a Statuto speciale e che sia in grado di unire e non dividere; significa capire nelle difficoltà drammatiche di tante famiglie provate dalla crisi e di tanti giovani senza lavoro, che chi li governa ha programmi e partiti diversi, ma valori comuni. Sventoliamo anche domani con lo stesso orgoglio, insieme alla nostra storia, il tricolore.
Antonio Rusconi