Accadeva 30 anni fa/61, 1-31 ottobre: San Michele illuminato. A Paderno iniziano i festeggiamenti per i cento anni del ponte


Questa puntata sarà tutta dedicata al ponte di Paderno. Il 3 ottobre 1987 iniziarono i festeggiamento per i 100 anni dall’avvio dei lavori. Festeggiamenti che andarono avanti fino al maggio 1989, in coincidenza con il centesimo anniversario dell’inaugurazione della straordinaria opera di ingegneria. Intanto partiamo proprio dal nome, San Michele e dal paese che identifica il manufatto, Paderno (e non Calusco). Dall’alveo del fiume sporgeva un grosso ceppo in pietra dedicato a San Michele. Parve ovvio dedicare anche il ponte al Santo protettore, anche se prima di questa decisione le polemiche furono furibonde. Paderno invece rivendicò il diritto di comparire ovunque accanto alla descrizione del ponte in quanto il letto dell’Adda  apparteneva tutto all’ex ducato milanese. La repubblica Veneta aveva per confine solo la sponda dalla sua parte. Così ora, alle province di Lecco e Milano appartiene tutto il letto dell’Adda e le province di Bergamo e Cremona non arrivano che in riva al fiume. Perciò tutto il ponte è sito nel comune di Paderno  ad esclusione di un pilastro sul comune di Calusco.

 
QUINDICI  FARI SULLA STORIA DEL SAN MICHELE


 
E veniamo alla festa. Alle 20,20 del 3 ottobre 1987 alla presenza dei sindaci di Paderno Arturo Villa e di Calusco Albertino Cattaneo scattò l’interruttore e come per incanto 10 fari da 400 watt e cinque da 250 watt si accesero illuminando il ponte e il canyon sottostante dando vita ad uno spettacolo di straordinaria bellezza. Cinquemila persone partecipavano alla cerimonia dell’illuminazione del San Michele, estasiati dalla scenografia pervasa dalle note del Bolero da Maurice Ravel. Officiante, l’on. Gianni Rivera, assistito dai colleghi parlamentari Pierluigi Polverari e Daniela Mazzuconi, dall’assessore regionale ai trasporti Giovanni verga, dal presidente della provincia di Como Giuseppe Orsenigo e da un codazzo di autorità civile, militari e religiose.

Gianni Rivera tra Daniele Piombi, i due sindaci e l'assessore Verga


Il ponte era già stato illuminato una volta, nel 1963con settemila lampadine installate a 25 centimetri di distanza l’una dall’altra dalla ditta Galbiati di Cornate e anche allora lo spettacolo aveva suscitato grande suggestione nelle migliaia di persone che vi avevano partecipato.
 



UN TRONCO FERROVIARIO PER UNIRE L’ALTA LOMBARDIA E IL VENETO CON LA LINEA DEL GOTTARDO


Le ferrovia era lo strumento principale per unificare l’Italia geografica dopo l’unificazione politica. Tra le linee indicate dalla Direzione Governativa ai trasporti si era pensato di congiungere la Bergamo-Lecco alla Monza-Como unendo le stazioni di Ponte San Pietro e Usmate. I tronchi erano già stati tracciati ma il problema era superare quel canyon verde tra le province di Como e Bergamo in un punto in cui le sponde non fossero troppo distanti. Il luogo ideale era subito apparso quello tra Calusco e Paderno arroccati su due distese pianeggianti poste a oltre 80 metri sopra il livello del fiume. Il primo progetto risale al 1885 ed è firmato dalla Direzione Governativa che però, saggiamente, ritenne di doverlo mettere a confronto con altre soluzioni. La prima a farsi avanti fu la Società nazionale delle Officine di Savigliano che già il 17 marzo 1886 presentò il proprio ardito progetto: un viadotto in ferro costruito su una sola arcata di 145 metri di corda (allargata poi a 150), sorretto da due grandi spalloni in pietra. A questo progetto si unirono un altro di una società privata che prevedeva una struttura mista pietra-ferro e un quarto della Direzione lavori delle strade ferrate Meridionali, tutta in pietra. Prevalse il progetto dei torinesi di Savigliano sia per il minor costo e sia per il tempo ridotto di costruzione: 2 anni dall’inizio dei lavori. Lo stesso tempo impiegato dall’Amministrazione comunale di Merate per riparare venti metri di via del Calendone franato causa pioggia.

 

TEMPI, MATERIALI E COSTI DELLA GRANDE OPERA


Il contratto per la realizzazione della grande opera fu siglato il 22 gennaio 1887 a Roma tra il commendator Di Lenna, ispettore generale delle strade ferrate e rappresentante del Governo e l’ingegner Ottavio Moreno, direttore generale delle Officine Nazionali di Savigliano. Alla società torinese, l’incarico di costruire la struttura in ferro e i basamenti dell’arco e delle pile metalliche dietro corresponsione di un importo di 1 milione e 850mila lire. Oltre alla formazione delle trincee di accesso al ponte per una somma forfetaria di 128.717, 50 lire. Tempo concesso per la realizzazione dell’opera: 18 mesi. Il progetto fu messo a punto dall’ingegner Giulio Rothlisberger, svizzero, classe 1851. Il materiale predisposto si può riassumere – nei grandi numeri – in queste cifre: 5mila metri cubi di pietra di Moltrasio, 1.200 di granito di Baveno, 1.800 di abete di Baviera per realizzare il “ponteggio”, 1.320 tonnellate di ferro per l’arco, 245 per le pile e 950 per la travata e oltre 100mila chiodi e bulloni. Perfezionato il progetto, vidimato dall’ispettore del Governo, a maggio 1887 partirono i lavori.


A marzo 1888 il ponte di legno di servizio era ultimato. L’imponente acquisto di pietra e granito aveva fatto lievitare i prezzi per cui l’azienda torinese dovette negoziare molto con i produttori – perdendo così tempo prezioso – prima di veder arrivare il materiale da Lecco a Paderno a bordo di barconi. A ottobre di 130 anni fa prendevano il via i lavori alla muratura, completati nel maggio del 1888 dopo 50 giorni di sosta per l’inverno, allora particolarmente rigido. I lavori subirono un ulteriore ritardi a causa della mancata fornitura nei tempi prestabiliti di pezzi in acciaio fuso per le imposte dell’arco. I pezzi dell’arcata venivano predisposti nelle officine e poi montati in cantiere con una precisione assoluta. E finalmente a maggio 1889 l’opera poteva dirsi conclusa.

 

IL CIELO E’ VELATO DI NEBBIA…
 

“E’ una giornata né bella né brutta. Il cielo è velato di nebbia…..”. Iniziava così la cronaca di un giornalista accorso per l’inaugurazione dell’imponente ponte in ferro, il terzo in Europa, per ampiezza con una sola arcata. Le prove di tenuta furono rigidissime: dapprima sulla travata stradale furono trasportate 103.600 tonnellate di terra. Poi 6 locomotive da 85 tonnellate ciascuna, modello 260 a quattro assi accoppiati, furono fatte transitare e sostare non meno di dieci minuti su ogni campata del ponte. Infine le stesse sei locomotive furono fatte transitare prima a 15, poi a 20, poi a 30 chilometri l’ora e, al termine, alla massima velocità possibile (45 km/h). Tutte le prove si conclusero felicemente. Il ponte subiva oscillazioni, ed è proprio questa la sua vera forza, l’elasticità del ferro che ha assicurato lunga vita al San Michele. Oscillazioni minime: 7 millimetri in ampiezza e 11 in abbassamento. Le prove si svolsero tra il 12 e il 19 maggio 1889. Il 20 maggio la linea ferroviaria veniva ufficialmente aperta al traffico. Restava invece la questione della strada. Soprattutto dalla parte di Paderno. Al ponte si accedeva attraverso un budello che impediva il passaggio dei mezzi pesanti. E già allora si registrò lo scontro tra i comuni e le province, con accuse reciproche di chi fosse la competenza stradale.
 



Oggi a distanza di 130 anni dall’inizio dei lavori, ci sono in programma soltanto manutenzioni straordinarie. Di un nuovo ponte a valle dell’attuale se ne parla dal 1964 in coincidenza col primo tracciato pedemontano, ma nulla è stato fatto ne progettato. E con i tempi attuali c’è solo da sperare che il San Michele resti in servizio per altri 20 o 30 anni. Un’ultima annotazione: l’ingegnere Rothlisberger morì nel 1911. Tanto basta per sfatare la leggenda che il progettista preso dal panico per le oscillazioni dell’arcata si gettò nel fiume.


61/continua
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