Eugenio Mascheroni: ho dedicato 50 anni della mia vita alla pubblica amministrazione, una scelta che mi ha condizionato ma che rifarei. Montevecchia e il Parco sono il mio orgoglio
Dal pianoro del "Butto" lo sguardo si perde nella vallata sottostante scorrendo lungo le balze coltivate a vigneti e cosparse di piante da frutta. Un tempo la cascina era abitata da vecchi contadini, poi ha rischiato di diventare una palazzina di lusso, oggi è la sede del Parco regionale della valle del Curone e di Montevecchia. Un Ente che ha festeggiato i 30 anni nel 2016 mentre quest'anno sarà il trentennale per le Gev, le guardie ecologiche volontarie e le squadre antincendio. Ma l'anniversario più importante è quello di uno dei "padri" fondatori della Riserva che il 19 novembre prossimo festeggerà i 50 anni ininterrotti di impegno nella pubblica amministrazione. Un record di fedeltà e competenza al servizio dei cittadini tutti, che risiedano a Montevecchia o in qualunque paese della Brianza lecchese e milanese. Perché se la collina, o Monte delle vedette, è ancora verde, se 2.700 ettari di prati e boschi sono sotto regime di tutela ambientale lo si deve in gran parte a lui, a Eugenio Mascheroni. Pochi sindaci, forse solo Giovanni Maldini, hanno lasciato un'eredità tanto vasta alle future generazioni, ai giovani che percorrono i sentieri del parco e frequentano il centro sportivo, senza conoscerne la storia né come una quarantina di frazioni sparse su 6 chilometri quadrati, siano diventate una comunità vivace inserita in una ambiente di grande bellezza e suggestione. Eugenio Mascheroni, classe 1938, commercialista in Monza ha vissuto i primi anni di vita a Montevecchia e a Montevecchia è tornato con la neo sposa dalla quale ha avuto sei figli. Nonostante offerte di lavoro estremamente allettanti, Mascheroni ha preferito rimanere a Cascina San Bernardo e guidare il piccolo Comune piuttosto che trasferirsi a Milano e lavorare per grandi multinazionali. In questi 50 anni ci sono la vita privata di Eugenio Mascheroni, la storia recente di Montevecchia e la nascita e lo sviluppo del Parco del Curone.
Il dr. Eugenio Mascheroni
Gliela vogliamo raccontare ai nostri ragazzi la storia di Montevecchia?
"Cominciamo col dire che col regio decreto 389 del 1927 in pieno periodo fascista duemila comuni furono costretti a fondersi, e tra loro anche Montevecchia con Cernusco. I due comuni tornarono indipendenti nel 1966 e l'anno successivo si svolsero le prime elezioni del nuovo corso. Montevecchia contava oltre 40 frazioni, non era un vero e proprio paese e non aveva conosciuto ancora l'impatto industriale avvenuto a Missaglia piuttosto che a Cernusco. I vecchi montevecchini erano tutti contadini, aiutati dai figli che però di giorno lavoravano in fabbrica. Le cascine erano in gran parte prese in affitto per cui chi poteva comperava un appartamento nei paesi vicini e se ne andava. Questo era il quadro che ho trovato quando mi fu proposto di candidarmi a sindaco con una lista Dc contro la civica del "Campanile" guidata dal mitico dottor Capponi. Una sfida impossibile data la straordinaria notorietà del capolista avversario, peraltro sostenuto, credo, da numerosi anziani iscritti alla stessa Dc. Ma sei mesi prima delle elezioni quest'uomo che tanto aveva fatto per il paese morì. Vincemmo noi con appena 12 voti di scarto. La Dc di Cernusco ci appoggiò in maniera molto blanda, forse perché se non contraria almeno non del tutto favorevole all'indipendenza di Montevecchia.
Ma a parte il ruolo della Dc di Cernusco e la prematura scomparsa del dottor Capponi altri motivi avranno favorito la vittoria. . .
"Posso soltanto ipotizzare che ci fu un altro motivo, ma, a parte la vittoria, prove non ce ne sono e non si trovano quasi mai esplorando le intenzioni di voto. La lista civica col Campanile nel logo aveva un programma chiaro: portare le industrie nella parte bassa del paese e sviluppare l'edilizia privata sulla collina. Il nostro programma era altrettanto chiaro: sviluppare l'edilizia al piano e tutelare la collina. Intorno c'erano già altri paesi a vocazione industriale che creavano posti di lavoro e traevano dallo sviluppo delle imprese robuste risorse da investire in opere pubbliche. Noi di risorse ne avevamo poche ma abbiamo sfruttato tutte le possibilità di ottenere contributi statali riuscendo a quadrare i bilanci senza distruggere nulla. La nostra campagna elettorale fu condotta porta a porta per presentare il nostro programma e noi stessi".
Una scelta urbanistica che ha segnato l'intero territorio diversamente da quanto è accaduto, per esempio, a Paravino o al Monte Robbio.
"Direi di sì, a maggior ragione perché allora lo sviluppo edilizio aveva il vento in poppa e, anche giustamente, tutti i Comuni non esitavano a imponenti cambi d'uso pur di favorire le costruzioni. Con l'occhio di oggi è facile applaudire la nostra scelta ma all'epoca le resistenze furono durissime".
Ma c'era fervore allora per l'indipendenza da Cernusco?
"Diciamo che c'erano persone che ancora ricordavano Montevecchia autonoma ma a tenere alta la bandiera dell'indipendenza furono soprattutto il già citato dottor Capponi e il parroco don Lorenzo che anche prima dell'apertura del Municipio svolgeva in paese un po' tutte le funzioni, compresa quella di.....sindaco".
Dal 1967 al 2001, 34 anni, ben 7 mandati conquistati con consensi popolari dal 70% in su. Si è mai chiesto le ragioni di tanto successo?
"Quando siamo partiti, allora tutti molto giovani, avevamo messo giù un programma che poteva essere realizzato in trent'anni, tante erano le cose che avevamo in mente. Montevecchia non aveva nulla, neppure il gas e neanche l'acquedotto, non va dimenticato. Beh, credo che in quei 34 anni abbiamo realizzato molto di più di quanto avevamo previsto nel 1967. Alla prima seduta pubblica, tra tanti applausi c'erano anche persone che dicevano "..in trop giuin, faran nigot..." questi sono troppo giovani non riusciranno a fare nulla. Eravamo giovani e per di più il nuovo Comune era senza soldi. Ma avevamo idee, passione e voglia di fare. E anche un po' di fantasia che non gusta pure in politica. Il tutto poggiato su una pietra angolare: il coinvolgimento della popolazione in tutte le scelte importanti. Quando abbiamo individuato l'area per le nuove scuole anziché operare soltanto sulla variante di Prg abbiamo organizzato due grandi feste popolari su quei terreni chiedendo ai partecipanti, cioè a quasi tutti i montevecchini, tra una costoletta e un piatto di cassoela se la zona andasse bene per le scuole elementari e un centro sportivo. Avuto il consenso abbiamo negoziato col conte Lurani proprietario di tutte quelle terre: noi ti rendiamo edificabile un pezzetto lungo la strada provinciale e tu ci cedi gratuitamente le aree. E così è stato. Oggi la zona della casetta è diventata un centro vitale per tutte le manifestazioni sportive, culturali, sociali e politiche".
Metodo uguale per acqua e gas?
"Per l'acqua, che mancava in alta collina, c'era solo un serbatoio a San Bernardo e la gente teneva i bidoni in soffitta, andai di persona dall'ing.Terranini a concordare l'ampliamento della rete a tutto il paese. La vicenda del gas, invece, ricalca quella delle scuole. Un giorno passando da Missaglia vidi operai che stavano mettendo dentro allo scavo le tubature. Chiesi per chi lavoravano, una società che distribuiva gas metano. Chiamai i titolari, fecero uno studio approfondito che metteva in risalto la difficoltà e il costo di collegare cascine, con solo due o tre unità famigliari, molto distanti fra loro. La società si era detta disponibile a stendere le reti ma la spesa di 200 milioni era insostenibile per il Comune. Quindi chiamammo tutte le famiglie facendo loro questa proposta: 100 milioni li mette il Comune, 400mila lire ciascun proprietario di appartamento e 700mila lire per i proprietari di villette. Aderirono praticamente tutte le famiglie e l'opera fu realizzata. Insomma il metodo era ed è sempre stato quello della condivisione con la popolazione. Quando realizzi qualcosa che la gente desidera diventa automatico ottenere al voto il 75% dei consensi. Ma bisogna uscire dal palazzo e anche quando si è in aula non guastano battute in sano dialetto montevecchino con, al termine della seduta, una fetta di torta di pane e latte".
Alberto Ravot e Giovanni Maldini
Dunque un sindaco operativo a fronte di tanti primi cittadini che demandavano la quotidianità e spesso anche la programmazione al segretario comunale...
"E' così, spesso i sindaci abitavano altrove, venivano in paese, penso a Cernusco ad esempio, il sabato o la domenica mattina per firmare documenti e parlare con la gente. Poi affidavano al segretario le richieste e ripartivano. Il primo sindaco di Cernusco veramente decisionista fu Alberto Ravot. Lo conobbi quando ancora Montevecchia era con Cernusco. Mi arrivò un accertamento dell'imposta di famiglia che ritenevo non corretto. Andai da lui, diede appena un'occhiata alla cartella poi mi disse: "senti tu dovrai fare il sindaco di Montevecchia, quindi paga e non discutere. Avrai ben altro cui pensare". E' stato un grandissimo sindaco Ravot. Come Giovanni Maldini di Casatenovo, che mentre quasi tutti i sindaci pensavano a far crescere il proprio paese lui già immaginava la città Brianza. Lui che era un emiliano. Se il destino gli avesse concesso più tempo Casatenovo avrebbe oscurato del tutto Merate".
Merate ha perso il suo ruolo centrale?
"Credo che l'ultimo sindaco che ha avuto una visione territoriale e la consapevolezza del ruolo di Merate sia stato Dario Perego. I successori hanno sicuramente ben operato ma stando dentro i confini della città."
Veniamo al Parco del Curone
"Un gioiello, me lo lasci dire. Istituito con legge regionale del 1983 la numero 77 con una dotazione di 1.722 ettari è diventato operativo nel 1986 con l'insediamento del Consorzio di gestione che nella seduta del 23 maggio mi ha conferito l'incarico di presidente. Con me c'erano Enrico Maggioni, Alessandro Colombo, Giampaolo Cagliani, Giordano Crippa, Sergio Limonta, Valentino Pelucchi, Venanzio Panzeri e Amelio Galbusera. Nell'87abbiamo attivato il servizio di vigilanza ecologica, nell'89 abbiamo iniziato a ristrutturare Ca' Soldato, terminata nel 1990 che, da allora, è il fulcro della riserva ecologica. Nel 2008 la regione ha approvato i nuovi confini del Parco che oggi comprende ben 2.741 ettari. Io sono stato presidente da allora con una sola parentesi di 5 anni durante i quali l'incarico fu ricoperto da Riccardo Piccolo, già direttore generale dell'ospedale di Merate; parentesi dovuta a una norma regionale che sanciva l'incompatibilità tra il ruolo e la carica di sindaco".
Oggi come sta di salute il Parco?
"Nel complesso bene, con tutti i volontari che danno una mano il parco è diventato meta di turismo soprattutto scolastico di cui andiamo tutti fieri. Ora si parla di queste macroaree, nove in Lombardia, di cui ancora non si conosce l'evoluzione degli ambiti ecosistemici. Noi abbiamo scelto un unico ambito con il parco del Monte Barro, inglobando il Plis di Olgiate e la Riserva Lago di Sartirana".
Come funziona il finanziamento della regione al sistema parchi?
"Va detto che il metodo di contribuzione regionale è quanto mai suggestivo. Ci sono una serie di parametri per stabilire quanto viene utilizzata l'area. Più alto è l'indice più elevati sono i contributi. Inglobando il Plis di Olgiate che è un'area protetta ma non particolarmente attrezzata e quindi frequentata finisce che l'indice cala e con esso i contributi proprio quando allargando i confini operativi le spese inevitabilmente crescono. Comunque i processi di aggregazione sono stimolati con l'aumento dei contributi nella misura del 40% per 4 anni. Oggi Montevecchia e il Barro ricevono 250 mila euro l'anno ciascuno, l'aggregazione porterà ad un buon aumento del finanziamento".
Dunque anche qui una permanenza fuori dalla media: oltre 25 anni alla testa del Consorzio. Fino a quando?
"Questa è una bella domanda. Con la Legge 28 la Regione doveva deliberare i nuovi ambiti, dopodichè, in base all'art.6 i Consorzi di gestione avrebbero dovuto riorganizzarsi e quindi quelli in carica decadere. Però la delibera ancora non c'è per cui, supponiamo che la Regione la emani a settembre, in teoria noi restiamo in carica fino a marzo 2018. Ci si può sempre dimettere, è vero, ma con le trasformazioni in atto crediamo tutti che sia più opportuno non provocare vuoti nella governance".
Ma 34 anni da sindaco e 25, ormai 26 da presidente del parco, quanto hanno inciso nella vita privata sua e della sua famiglia?
"Le rispondo con una battuta di mia moglie: noi siamo una famiglia allargata e gli altri componenti sono i montevecchini. Battute a parte non solo ha inciso, ha anche proprio determinato alcune scelte a partire dall'ambito professionale. Le offerte di aprire uno studio a Milano e diventare consulente di fiducia di aziende internazionali sono state numerose ma accettarne una avrebbe voluto dire cambiare radicalmente la mia quotidianità. E poi vede le feste di paese sono un momento di ritrovo dove le mogli vanno in cucina e i mariti preparano le tavolate. Si sta tutti assieme, la comunità è viva e cresce in armonia. E questo ripaga di tutte le rinunce. Tengo ancora i calendari che scandivano la giornata di commercialista, presidente del parco e sindaco: ore 7 in Comune, ore 9 in ufficio a Monza, ore 16 di nuovo in comune, ore 21 al Parco; sabato mattina in Comune, pomeriggio al parco; domenica mattina comune, messa, comune; pomeriggio casa".
E alla luce di tutto ciò..........
"No, non mi faccia la solita domanda banale: sì rifarei tutto da capo. Mi basta affacciarmi dalla finestra di cascina Butto, guardare le balze con i filari d'uva, i pianori coltivati a rosmarino e salvia per dirmi: Eugenio, hai fatto la scelta giusta......"
Claudio Brambilla