Calco: missionario sino alla fine del Mondo, Padre Bruno ha vissuto violenza e povertà e quel giorno fuori dalla chiesa...

L'unico continente dove non è (ancora) approdato è l'Africa. Per il resto il mondo l'ha girato in lungo e in largo, passando dalla povertà estrema con profondo senso di spiritualità che spesso sfocia in superstizione alla ricchezza che porta a raccogliere 50mila dollari di offerte a settimana ma dove le emergenze sono quelle sociali.

Padre Bruno Piccolo alla casa del Pime della Grugana di Calco

Padre Bruno Piccolo, classe 1940, padovano di Loreggia, è entrato nel seminario del PIME che era ancora un "bambino" a 11 anni. Terminati gli studi nel 1965 viene ordinato negli Stati Uniti dove nel frattempo si era trasferito per la Teologia e nel 1969 parte per le Filippine dove vi rimane fino al 1977. Da quel momento di chilometri in volo ne ha macinati a migliaia così come di kmq di terra ne ha calpestati tantissimi: America, Chicago (8 anni), Los Angeles (4 anni), Detroit (10 anni), Australia, Hong-Kong, Messico/Acapulco (un anno), Napoli, Lucania.

Il giorno dell'ordinazione sacerdotale a Memphis il 12 giugno 1965

Negli Stati Uniti la missione ha significato soprattutto formazione e organizzazione di una parrocchia ben strutturata, più simile a un'impresa che a un gregge smarrito, dove terminata la fase di recessione le famiglie erano nelle condizioni di spendere e quindi generose verso la Chiesa (che fatturava anche gli oboli che riceveva).


Se a Los Angeles Padre Bruno ha avuto a che fare con il quartiere ispanico, particolarmente a rischio e soggetto a storie di violenza quotidiana, ad Acapulco si è trovato traghettato in un universo totalmente differente. La sua quotidianità era tra gli indigeni e per arrivare ai villaggi ci volevano almeno 4 ore di viaggio, dalla montagna dove si trovava la casa madre. Qui strade, educazione, servizi medici non c'erano e alcolismo, superstizione, violenza erano invece il pane quotidiano. Tutti i battezzati erano anche "pitturati", cioè con i segni "tribali" sul volto a significare come per loro la religione non volesse dire abbandonare i loro culti.

Una processione in Messico nel 1977 con la Statua di Sant'Alberico Crescitelli


"Sotto la statua della Madonna, un giorno ho trovato degli amuleti" ha raccontato Padre Bruno, attualmente alla Grugana di Calco e pronto a tornare in America per una sostituzione a fine giugno "un giorno sono stato chiamato a prestare conforto a un ammalato. Quando mi sono avvicinato al giaciglio ho messo il piede sulla stuoia e sono sprofondato con la gamba in una buca. All'interno c'erano il guscio di un uomo e foglie bruciate, tipici dei loro riti. Quando non c'era più niente da fare...chiamavano il prete". In queste terre di missione la pastorale assumeva una sembianza più di assistenza umanitaria e di cooperazione allo sviluppo tanto che assieme alla chiesa i religiosi si erano adoperati per costruire un depuratore.

Uno scorcio di Tondo, a Manila, negli anni Settanta


Nelle Filippine la situazione era di estrema povertà. "A Tondo avevo una parrocchia che faceva parte di un comprensorio di altre 7 per un totale di 500mila persone" ha raccontato "non c'era nulla, quando scendevo dal letto immergevo i piedi nell'acqua fino alle caviglie. Erano i tempi di Marcos il dittatore, c'era grande rispetto per i missionari ma era anche un periodo di grande violenza. Mi è capitato di andare a sedare delle lotte, una volta ho anche tolto la pistola di mano a un delinquente".

La gente sfiancata dalla mancanza di casa, di lavoro, di cibo era disperata e quindi cadere nella rete dell'illegalità era un passo semplice, verrebbe da dire quasi scontato. Nella parte sud del Paese la guerriglia dilagava con atti di ferocia inaudita, con rapimenti e uccisioni, e gli scontri tra musulmani e governo si facevano sempre più radicati e ingestibili. I soldati giravano per le case con i mitra a tracolla, incuranti della presenza di bambini e anziani, al collo come talismani portavano delle bottigliette d'olio, le razzie di galline, animali, prodotti agricoli sfinivano le popolazioni già azzerate dalla miseria che vivevano così di "pane e terrore". "Alla fine del mese di maggio, dopo una serie di incontri con i bambini avevamo deciso di organizzare un rinfresco" ha proseguito Padre Bruno "eravamo tutti contenti e così l'idea era quella, terminata la preghiera, di spostarci in oratorio per fare un po' di festa. Stavamo uscendo dalla cappella e, non mi dimenticherò mai quando ho aperto la porta, cosa ci siamo trovati davanti: c'era un palo con conficcato in cima la testa di un giovane musulmano che i soldati avevano decapitato perchè non si era arreso alla lotta che andava avanti da tempo. Terribile. E con noi c'erano anche i bambini".

La chiesa di Detroit dove c'erano 22 nazionalità


Se a Los Angeles non c'era la povertà, lo stesso non si può dire della violenza tanto che lo stesso Padre Bruno l'aveva sperimentata sulla propria pelle venendo rapinato ma riuscendo anche a riconoscere il delinquente e a farlo arrestare.
Se la prima missione, quella nelle Filippine, gli è rimasta nel cuore certo è che un filo conduttore in tutti questi anni ha fatto da sfondo alle sue esperienze: toccare con mano i livelli, molto spesso bassissimi, di povertà, violenza e dolore cui può arrivare l'animo umano. E al tempo stesso la sua capacità di rialzarsi, di trovare una speranza, di aggrapparsi a una fede, a un Dio.
"Il 15 agosto del 1968 ho incontrato il movimento dei Focolarini e quel giorno ho capito che la ruota della bicicletta gira bene se, al centro, c'è il perno giusto".
Una convinzione che da quel momento non l'ha più lasciato e ora lo accompagnerà nella prossima avventura: New York.
S.V.
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