Merate: a 25 anni da Mani Pulite, il pool torna a far parlare. Corruzione dall'alto al basso, delegittimazione, 'toghe rosse'

Un auditorium senza più posti a sedere e con una platea variegata è stato quello che ha accolto martedì sera il primo appuntamento del progetto Legalità, organizzato dall'associazione Bang, e che ha visto riuniti i tre magistrati del pool Mani Pulite, a 25 anni dall'inchiesta Tangentopoli che scosse il mondo della politica e dell'imprenditoria.

Da sinistra Piercamillo Davigo, Piero Colaprico, Roberto Romagnano, Piero Calabrò, Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo


Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Antonio Di Pietro si sono ritrovati a parlare di quella che non fu solo un'inchiesta ma segnò un'epoca storica, provocando terremoti da lasciare segni immediati e che, al tempo stesso, non cancellò quel fenomeno tutt'oggi radicato, ora con forme e apparenze diverse: la corruzione.

I magistrati Piero Calabrò, Nicola Preteroti, Dario Colasanti e Federica Trovò


Introdotti da Roberto Romagnano, da Piero Colaprico giornalista di Repubblica che allora seguì tutta l'inchiesta e dall'ex magistrato lecchese Piero Calabrò, i tre pubblici ministeri di allora si sono alternati al microfono in un botta e risposta che ha strappato più volte applausi e sorrisi, certo non per il contenuto dei dialoghi quanto per la forma che ha mantenuto integro lo spirito di stima, collaborazione e sintonia, pur con pensieri diversi, che oggi come allora ne contraddistingueva i rapporti.

Piero Calabrò, Antonio Di Pietro e Gherardo Colombo

Per tutta la durata della conferenza, infatti, i tre ospiti si sono mostrati proprio come Calabrò li aveva tratteggiati: Gherardo Colombo organizzato e riflessivo, con fare posato e magistrale; Antonio Di Pietro più nostrano, dalla battuta pronta, schietto, senza giri di parole e che al ministro che gli si presentò per primo in aula ad apertura di processo, suo conterraneo, salutandolo "buongiorno paesano", rispose "si sieda paesano"; Piercamillo Davigo, appellato dottor sottile, ottimo oratore e arringatore di folle, ficcante e diretto, dal taglio giustizialista.

L'avvocato Roberto Romagnano che con Bang ha organizzato questo ciclo di incontri

Piero Colaprico

Davanti a un parterre di autorità politiche, militari, avvocati, magistrati del foro lecchese, avvocati, rappresentati di istituzioni, la serata non poteva che partire dalla domanda su cosa è stata Mani Pulite e cosa ne è rimasto oggi.
Ad aprire il "giro tavolo" è stato Gherardo Colombo, non nuovo all'istituto Villoresi che ha ospitato la serata. "Mani pulite ci ha fatto vedere che la corruzione che sta in alto esiste perchè in basso c'è la disponibilità di tanti a pensare e fare la stessa cosa. Dopo tanti anni mi sento di dire che si può fare qualcosa con la formazione, con il cambio di mentalità più che con la giustizia penale. L'inchiesta è arrivata in un momento in cui esisteva una esasperazione da parte della popolazione verso il mondo politico ed è stato proprio in quegli anni che la credibilità della magistratura ha subito un impennata. Poi c'è stata una gran confusione, ci sono state delegittimazioni di reati a cui anche i cittadini stessi non si sono ribellati. E via via che si scopriva che la corruzione era anche della parte bassa, la gente ha iniziato a smettere di indignarsi e il gradimento della magistratura è crollato".

 

Primo a destra il procuratore capo Antonio Chiappani,
accanto il pubblico ministero Nicola Preteroti, al centro il presidente del tribunale Ersilio Secchi


Diretto, con la sua voce possente che anche in aula ha dimostrato di ottenere silenzio e attenzione, è intervenuto Antonio Di Pietro. "Mani pulite è andata a colpire il cuore del sistema, ha smantellato il patto di omertà tra corrotto e corruttore. L'attività del magistrato arriva un po' come quella del becchino, quando ormai ci è scappato il morto, e fa un po' come un chirurgo che opera per togliere un tumore a una persona e non all'intero sistema: non risolve il problema sulla questione sociale e sui reati ma può servire a guarire parecchie situazioni".

 
Presidente dell'associazione nazionale magistrati, Davigo ha invece puntato sulla "categoria" e su come essa ne abbia anche tratto beneficio in termini di immagine e autorevolezza. "Se pensiamo che la politica, che vive di consenso e ne è alla ricerca, sia arrivata al 6% in quanto ad apprezzamento da parte della popolazione e la magistratura, che invece vive di tutt'altro, abbia toccato il 44% non posso che dirmi soddisfatto, lo trovo sorprendente e incantevole".


Non poteva mancare il tentativo di spiegare il perchè delle accuse di avere protetto il partito comunista, meritandosi così l'appellativo di "toghe rosse", definizione rispedita al mittente perchè senza fondamento ("Il partito che ha avuto più indagati e imputati a Milano è stato quello comunista" ha stigmatizzato Di Pietro).

Gherardo Colombo

 

Se Gherardo Colombo ha ripercorso il sistema di spartizione delle mazzette per la metropolitana di Milano con l'attribuzione percentuale, con tanto di decimali, fra i differenti partiti facendo alcuni esempi di personaggi di spicco del partito comunista citati a giudizio, Antonio Di Pietro ha puntato sul sistema delle cooperative che, con altre aziende riunite in ATI (associazioni temporanee di imprese), partecipavano al "cartello" per accedere alla commessa. Se a livello locale i partiti si limitavano appunto a queste mazzette tra i "protagonisti" dell'ultimo gradino della scala, a livello nazionale il sistema corrotto garantiva la sostenibilità del partito stesso.

Piercamillo Davigo

 

Mani pulite, secondo Davigo, ha mostrato l'efficacia delle tecniche di neutralizzazione per dare una giustificazione a quanto accade. E citando il memorabile discorso di Craxi in parlamento che diede un notevole impatto mediatico dell'inchiesta, ha ricordato: "Quel giorno quando Craxi si è alzato e ha detto "quello che ho fatto io, qui lo hanno fatto tutti", è stato il peggiore giorno da cittadino italiano, perchè su 630 deputati nessuno si è sentito di alzarsi e dire: no, non ci riguarda. E questo è stata la prova per quelli onesti che nulla sapevano di cosa accadeva dentro il proprio partito".

Penultimo a sinistra il dr. Dario Colasanti giudice delegato della sezione fallimentare, accanto la dottoressa Federica Trovò

 
Sulla volontà di fermare le indagini, trovando qualunque modo per sgonfiarne non solo la prosecuzione ma anche gli effetti con una sorta di scia retroattiva, i tre ospiti si sono trovati concordi. Tentativi di delegittimazione a livello personale, leggi che servivano a destituire e a ridurre l'efficacia della stessa inchiesta ancor prima che dell'azione penale, impossibilità a utilizzare strumenti indispensabili all'attività, eliminazione del falso in bilancio e del reato di concussione per induzione o di corruzione ambientale.

Antonio Di Pietro


Non sono mancate note di colore a rendere ancora più avvincente il tratteggio di questa parentesi di storia. Come il milione e mezzo di pagine che componevano l'inchiesta, reso più "consultabile" grazie all'utilizzo, per la prima volta, dell'informatica (e questo partendo dalle nozioni imparate alle scuole superiori da Antonio Di Pietro) oppure come la frase sibillina detta da Antonio Di Pietro all'avvocato dell'ing. Mario Chiesa "L'acqua minerale è finita...lo dica al suo cliente" (riferendosi ai conti in Svizzera che lo stesso deteneva chiamati Levissima e Fiuggi e che il magistrato aveva scoperto), oppure il bluff fatto sempre da Tonino a un indagato sui faldoni contenenti materiale scottante, che indussero la persona a confessare, e che invece erano "ripieni" solo di carta di giornale.

Piercamillo Davigo, Piero Colaprico e Roberto Romagnano


E se da una parte Di Pietro ha concluso affermando che "un po' di caverna non guasta mai", mostrando il suo lato di uomo delle forze dell'ordine, che andava anche di persona a fare le perquisizioni, dall'altra Davigo ha riaffermato il concetto che "i magistrati non si muovono per obiettivi da raggiungere ma per reati da perseguire. La prima repubblica non l'ha fatta cadere Mani pulite ma i ladri".

Piero Calabrò e Antonio Di Pietro con il prefetto di Monza, sua eccellenza Giovanna Vilasi

A sinistra l'avvocato Marilena Guglielma, durante il suo intervento


Colombo ha invece sottolineato nuovamente la necessità di cambiare cultura, partendo anche da processi veloci senza necessità di aumentare i termini di prescrizione, e iniziando a smettere di esimersi, come cittadini, dalle proprie responsabilità.

Piero Calabrò


Linea di pensiero condivisa anche da Piero Calabrò che ha insistito molto sulla necessità da parte dei magistrati di dare un esempio alla cittadinanza che guarda con fiducia e attesa all'autorità e sull'importanza di formazione nelle scuole, con un cambio di cultura. "E' un processo più lungo che non dà risultati immediati ma quando arrivano sono duraturi".
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.