Merate: Elena per cinque anni in Thailandia come volontaria in un centro disabili racconta le sue giornate di fatica e di amore

Terza da sinistra Elena Panzeri con amici e parenti


Un sorriso gigantesco e due occhi che brillano di una luce non comune, non appena incomincia a parlare del suo viaggio in Thailandia. Anzi, più che un viaggio, quella di Elena Panzeri è una missione. Come ci sia finita lì non sa bene nemmeno lei, però è successo. Tutto ha avuto inizio due anni e mezzo fa, quando un padre del PIME le ha chiesto se avesse voglia di mettersi in gioco facendo la volontaria in un centro per disabili in Thailandia. Per cinque anni. Non pagata. Lasciare la vita che si era costruita qui in Italia e i propri affetti, per approdare in una terra così lontana per distanza e tradizioni. Lavorava al Granello, l'associazione meratese che si occupa della vendita di prodotti equosolidali. Era persino stata nominata vicepresidente. E poi l'Asia neanche la affascinava più tanto.

Era stata precedentemente in missione in Tanzania e da allora si era innamorata: se mai avesse dovuto partire per una missione, avrebbe scelto senz'altro l'Africa. Però, spesso, le occasioni non te le scegli. Ti si piazzano davanti e con una gran faccia tosta ti chiedono "quindi, hai voglia di metterti alla prova o no?". A questa sfida, Elena ha risposto "sì". "Quando il padre del PIME mi ha chiamata, io ero praticamente decisa a rifiutare. Sono andata da lui a informarmi più per gentilezza che per interesse personale. Quando ha incominciato a mostrarmi il centro per disabili, però, in me è scattato qualcosa. Ho sentito il padre raccontare e ho capito che era quello il posto per me. Il posto in cui avrei potuto giocarmi il tutto per tutto. Perché valori come l'importanza dell'altro, la voglia di stare insieme, il sentirsi accolti... Sono tutti assodati persino in terre come la Tanzania, nonostante la povertà che graffia quelle popolazioni. Perché, in fondo, la ricchezza più grande è avere qualcuno da amare. In Thailandia, invece, questi valori vengono repressi, nascosti. Spesso si finge che neanche esistano. Che non siano importanti. È stato a quel punto che mi sono convinta: avrei messo la mia professionalità e la mia personalità a disposizione di quelle persone, per dimostrare loro che non è poi così male sentirsi amati."


E così è partita. Con la valigia piena di tanta buona volontà e di un coraggio grande così, si è messa in viaggio. "Il primo impatto con la Thailandia è stato di certo inaspettato. Ho passato il primo periodo a Bangkok per imparare il thailandese. Penso che Bangkok sia un po' un misto, un riassunto, una sintesi dell'intera Thailandia. È una città enorme, una vera e propria megalopoli... Milano sembra minuscola a confronto. La cosa più assurda è però l'enorme divario che si riscontra semplicemente camminando per le sue strade: a enormi grattaceli si affiancano logore baraccopoli. Un misto di sfarzo e degrado, ricchezza e povertà. E poi tanta, tantissima gente: in Thailandia le persone passano pochissimo tempo in casa. Preferiscono senz'altro invadere le strade delle loro città, stare all'aperto. Il risultato è una città che non si addormenta mai, che non spegne mai la voce. La cosa stupenda è che hai sempre l'occasione di incontrare moltissime persone così diverse tra loro e soprattutto così diverse da te... ma allo stesso tempo così simili! Bangkok è un po' questo, un'antifrasi grande quanto un'intera capitale."


La sua vera avventura ha però avuto inizio quando da lì si è spostata a Phrae, una realtà piccola e contadina che, come tutte le altre città della Thailandia (ad eccezione di Bangkok) basa la sua sopravvivenza sull'agricoltura e sul commercio. E se a Bangkok sono presenti numerosissimi grattaceli, Phrae è costituita soprattutto dalle tipiche case thailandesi, generalmente in legno, piccole e disposte su due piani: il piano terra è adibito alla conservazione del cibo e al riposo, mentre il più vissuto è il secondo piano. "Il centro in cui lavoro è il St. Joseph a Phrae, che si occupa di disabili soprattutto fisici, anche se in questo ultimo periodo sta riservando alcuni servizi anche per i disabili psichici. Sono subito stata travolta dai ritmi frenetici delle mie giornate. La mia giornata-tipo include una fantastica sveglia alle 5.00, orario che per i thailandesi rappresenta la normalità: a causa del grande caldo si cerca di sfruttare la mattina, unico momento in cui si riesce a godere un po' di frescura. Alterno il tempo coi ragazzi nelle attività di laboratorio, insegnamento e assistenza alle lezioni di thailandese, che continuo a frequentare per due giorni a settimana."


Con il passare dei mesi, Elena ha imparato a conoscere quella che sarebbe stata la sua terra da lì a cinque anni, con tutti i misteri di cui è intrisa. "La Thailandia è un Paese per il 99,9% buddhista. Il buddhismo theravada è una corrente molto antica che accoglie al suo interno diversi elementi della tradizione indù. Una delle loro principali credenze è quella legata alla fortuna, che si esprime sotto forma di beni materiali. In poche parole: sei qualcuno solo se sei ricco e sano. Basti pensare ai loro sfarzosi templi, tutti ricoperti d'oro e preziosità. Facile immaginare, dunque, quale sia la concezione del povero e del disabile all'interno di questa società così complessa. Vengono quasi sempre malvisti dalla società o, peggio, ignorati. Vengono confinati ai margini, perché secondo la loro concezione la disabilità è una punizione divina. Ecco spiegata la forte carenza di servizi rivolti ai più deboli. Ecco perché io sono giunta fino a Phrae."


Il centro St. Joseph accoglie ragazzi disabili dall'età dell'asilo (5 anni circa) fino alla fine della scolarizzazione (di solito a 20 anni, ma molto spesso prosegue ben oltre a causa della difficoltà che hanno molti insegnanti a comprendere i problemi di questi ragazzi). "I ragazzi non seguono le lezioni al centro, ma vengono accompagnati quotidianamente da uno dei responsabili alla scuola del paese" ha spiegato Elena. "La figura dell'assistente scolastico così come la intendiamo noi per i ragazzi con disabilità non era contemplata fino a poco tempo fa: è presente una persona che segue il ragazzo soltanto per ciò che riguarda gli spostamenti, l'accompagnamento ai servizi e la consumazione del pasto. Solo ultimamente - e solo per i casi più gravi - sono stati introdotti degli assistenti che seguano il ragazzo anche in aula. Un'eccezione viene fatta per i ragazzi con disabilità cognitive: essi sono sempre iscritti alla scuola, ma seguono le lezioni in altra sede, seguiti da un educatore e da un insegnante."


Oltre alla scuola, una parte della giornata dei ragazzi è rappresentata dalla fisioterapia. Il centro, infatti, offre la possibilità di svolgere delle sedute fisioterapiche sia presso di esso, per tutti i ragazzi che ospita, sia a domicilio. "Le visite a domicilio sono rivolte a bambini e ad adulti che non possono spostarsi. Oltre alla fisioterapia, sono previsti servizi di ascolto e di dialogo. Le persone con qualche disabilità, infatti, in Thailandia hanno pochissime possibilità di trovare un'occupazione. Nonostante il centro offra un piccolo sostegno economico a queste persone, spesso ciò si rivela insufficiente e di conseguenza le persone sono afflitte da molte preoccupazioni. Anche in quest'ottica, il St. Joseph ha cercato di avviare un programma rivolto agli adulti per recuperare gli anni scolastici e per apprendere un mestiere. I laboratori del centro sono infatti gestiti da una signora che ha avuto esperienze di insegnamento nelle carceri. Secondo me è una fortuna averla tra noi, perché nell'insegnamento del mestiere lei ricerca la dignità del prodotto finito. A suo parere, il fatto che una persona sia disabile non implica che il prodotto che lui realizza debba essere disabile a sua volta: un cliente deve comprarlo perché pensa sinceramente che sia un bel prodotto e non perché prova pena per il disabile. I prodotti realizzati al centro vengono poi venduti nei mercati locali oppure in Italia. Oltre a ciò, esiste un programma di terapia occupazionale rivolto ai nostri ragazzi: consiste nell'insegnamento dell'utilizzo della carrozzina, dell'walker, del bagno e di come cucinare un pasto. Tutti modi per acquisire maggiore autonomia e, di conseguenza, maggiore dignità. Siamo convinti che sia questo il modo migliore per permettere loro di essere integrati nella società: dimostrare che è possibile vivere una vita dignitosa nonostante la disabilità. Per poterlo fare, però, occorre che il ragazzo esca dal centro e metta piede fuori, in mezzo alla gente: è il modo migliore per abbattere i muri e le barriere, per rompere quella rigida mentalità dilagante in Thailandia. Alle volte girando per il paese siamo persino riusciti a trovare persone che hanno offerto qualche aiuto. Ultimamente stiamo organizzando sempre più attività mirate all'integrazione: tanto per cominciare, facciamo in modo che tutti i ragazzi buddhisti possano frequentare tutte le festività buddhiste. Inoltre, ci teniamo molto a partecipare agli eventi organizzati in paese, come le feste nei templi o i mercati serali. Nell'ultimo periodo abbiamo anche organizzato qualche gita: una volta siamo andati tre giorni al mare insieme ai nostri ragazzi e alle loro famiglie. Per i genitori, questa era la prima volta che partecipavano a una gita insieme ai propri figli. Anzi, non avevano proprio idea di come comportarsi nei loro confronti e spesso ci chiedevano aiuto per gestire la situazione. È stata davvero una bella occasione per intrecciare un legame tra loro, per dare inizio a una sana relazione genitore-figlio."


Al termine della presentazione del centro St. Joseph, Elena ci ha mostrato il suo modo di vedere la Thailandia. La sua Thailandia sono tutte le persone che ha conosciuto, i cui volti ci ha mostrato fieramente, uno dopo l'altro. "Questi sono i miei ragazzi", ci ha detto, con il suo solito sorriso a trentadue denti. Questo popolo così diverso da noi, così distante per cultura e abitudini, ha rubato il cuore di Elena.


Le ha dimostrato che l'amore può tutto, persino qui. Che l'uomo è uomo ovunque, e i desideri sono gli stessi: una vita piena, bella, felice. Insomma, Elena si è innamorata. E proprio con l'amore finisce la sua presentazione, attraverso le parole di J. Vanier che, proiettate sul grande schermo, a caratteri cubitali recitano: "L'amore è fare cose ordinarie con tenerezza".

Benedetta Ghezzi
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