Merate: 20 anni fa chiudeva la storica ''Tessitura Serica Spa''. Fondata nel ‘22 aveva occupato migliaia di operai e impiegati

L’ultima relazione sulla gloriosa “Tessitura di Merate Spa” porta la firma del geometra Paolo Vitali ed è datata 1996. Più un promemoria personale che un documento aziendale. Perché due mesi dopo la stesura del testo, a marzo, la proprietà portava i libri in tribunale con la richiesta di concordato preventivo. Finiva così un’avventura imprenditoriale, iniziata 74 anni prima, che aveva dato lustro al territorio e lavoro a migliaia di persone. Vent’anni esatti dopo, di quell’azienda sono rimasti alcuni segni, archeologia industriale si dice oggi: la ciminiera utilizzata per innalzare i ripetitori, una parte del capannone ancora occupato da decine e decine di telai ormai ferri vecchi, spogliati dai ladri dalle parti in rame e qualche interrato che conserva strumenti del passato, pese, tubolari, quadri elettrici, materiale vario. Il resto è stato riadattato e destinato ad altre attività professionali, commerciali e ludiche compresa la villa padronale, un tempo riservata al direttore amministrativo – negli anni settanta il ragionier Cavalli – che ospita un ristorante.

Da quel cancello che si apriva direttamente sulla statale sono entrati e usciti migliaia di operai e impiegati, chi dalle 8 e alle 12 e poi dalle 13.30 e alle 17.30; chi dalle 6 alle 14; chi dalle 14 alle 22; e chi, ancora, dalle 22 alle 6 del mattino successivo. Eh sì, perché negli anni ruggenti gran parte dei telai girava 24 ore su 24, sabato compreso e i camion diretti alle stamperie e tintorie di Como andavano e venivano in continuazione. Oggi di quel mondo non è rimasto praticamente nulla, anche le grandi aziende comasche hanno chiuso i battenti. Era un mondo che chiedeva molto alle maestranze ma assicurava loro il lavoro, il posto fisso, lo stipendio sicuro.

La storia della “Tessitura Serica di Merate” è simile a quella di tante altre importanti realtà produttive, soprattutto tessili, che hanno accompagnato la crescita economica delle famiglie, riempiendo armadi, cassettoni e credenze prima vuoti. Fatturati alle stelle, lavoro per tutti. Poi con i guardaroba finalmente pieni e la concorrenza dell’Est è iniziato il declino. Inarrestabile. La storia che raccontiamo inizia nel 1898 con la costruzione di un opificio serico da parte della ricca famiglia Gavazzi. La denominazione sociale era "Egidio e Pio Gavazzi" società anonima. L'azienda avvia l'attività e acquista vaste porzioni di terreni in comune di Sabbioncello. La fase dell'espansione più marcata, però, si verifica con il conferimento delle attività da parte della famiglia Gavazzi nella "Tessitura serica di Merate", costituita giovedì 9 febbraio 1922, nella casa in Milano di via Meravigli, 14, davanti al notaio Innocente Arnaboldi. Compaiono all'atto il commendatore ingegner Pio Gavazzi, legale rappresentante della società anonima "Egidio & Pio Gavazzi" con capitale sociale di lire 15 milioni, il signor Wehrli Giovanni Ludovico, nato e residente a Zurigo e il signor Siber Gustavo, nato a Zurigo e residente a Schonenberg.  I tre costituiscono la "Tessitura Serica di Merate" avente per oggetto l'esercizio della tessitura della seta e la prima durata al 31 dicembre 1952, prorogabile. Il capitale sociale è di lire 1 milione e 500mila suddiviso in tremila azioni. L'ingegner Gavazzi conferisce l'azienda e i terreni per un valore complessivo di 1 milione 300mila lire in cambio di 2.600 azioni della nuova società. Il patrimonio sito in comune di Sabbioncello, provincia di Como è costituito da terreni per 27.910 mq. da una villa di 15 vani in tre piani con portineria di 4 vani in due piani e dall'opificio. Ai signori Siber e Wehrli vanno 200 azioni ciascuno al prezzo di 100mila lire. Il primo Consiglio di amministrazione risulta composto da Enrico Fisch, presidente, Enrico Wild, Vittorio Mazzuchelli, Victor Rahn, Giovanni Vitelli. Il primo Collegio sindacale è composto da Arnold Hohermuth, Eugenio Greco e Massimo Hartmann; sindaci supplenti Attilio De marchi e Teodoro Hurlimaun. In quegli anni la Tessitura dispone di ben 350 telai e dà lavoro a 440 operai di cui 350 donne. La produzione è destinata in gran parte all'esportazione. Arrivano gli anni della guerra ma i telai continuano a girare. Max Eberle, indimenticato direttore generale cui si deve il grande sviluppo della Tessitura negli anni della ricostruzione, introduce continue migliorie pur tenendo sempre d'occhio il conto economico. Per ridurre il costo della bolletta energetica, fa arrivare due motori di sommergibili della Franco Tosi e li impiega come gruppi elettrogeni.

Negli anni sessanta la Tessitura è una delle più importanti realtà produttive di tutta la zona. Dispone oltre che della vasta area su cui sorge l'opificio e la villa - costruita nella seconda metà dell'ottocento da un notaio di Milano - di due case per gli operai e i tecnici in via Ceppo di 20 e 27 vani, di due alloggi per gli impiegati in Via San Dionigi 6 di 9 vani, della villa Lavinia in via Cornaggia, sempre abitata da dipendenti, di 25 vani e di vaste aree agricole. In tutto, al censimento del 1970 risultano fabbricati per 10.745 mq. e terreni per 39mila mq.
Nel frattempo, tra il 1947 e il 1948, era stato realizzato anche il corpo di fabbrica numero 2, destinato a magazzino e reparto spedizioni. L’azienda a metà degli anni sessanta cambia la ragione sociale in “Siber & Wehrli Zurigo”, controllata ormai dagli svizzeri.

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A Max Eberle viene affiancato il giovane, aspirante direttore generale Herman Spitz, poi tragicamente scomparso. I reparti lavorano sui tre turni sotto lo sguardo vigile di dirigenti e capi reparto: gli svizzeri Wisling e Bamert, gli italiani Airoldi, Prati, Pozzoni, Vitali, Albertini, Ferrari, Cavalli. Su tutti si staglia la figura inflessibile, temuta ma rispettata della "dama di ferro”, la giunonica signorina Novati, sempre pronta a rimproverare un'inefficienza e al tempo stesso a dare una mano a chiunque avesse bisogno.
I sintomi della prima crisi si fanno sentire a metà degli anni settanta. L'azienda ottiene l'esercizio provvisorio, e continua a produrre e a vendere, tramite "l'ufficio di Como" dove si trova la direzione commerciale. Anni dopo gli Svizzeri cedono le azioni al valore simbolico di una lira ai dipendenti. Si forma un gruppo dirigente che tenta di vendere l’azienda alla “Prini”.


La trattativa, però, non va in porto ed arriva un nuovo investitore, la famiglia Sorella. Le azioni vengono ricomprate ad un prezzo nettamente inferiore a quello di carico. L'attività procede a fatica; i dipendenti sono ormai scesi a 80. A fine '95, scomparso il dottor Sorella, la situazione precipita nonostante alcuni "vertici" convocati dall'allora sindaco Mario Gallina con dirigenti e sindacati. Il declino è inarrestabile e a fine marzo 1996 l'azienda chiude definitivamente i battenti. Non ci sono altri tentativi di salvataggio. Forse nessuno, nemmeno il sindacato, ha più la volontà di tenere in vita un'azienda gloriosa ma, probabilmente, non competitiva. Gli operai vanno in cassa integrazione, qualcuno, più fortunato ottiene il prepensionamento. Il grande cancello resta chiuso, la portineria abbandonata, gli impianti ancora installati, destinati alla ruggine.
Per quattro anni il silenzio si stende sulla gloriosa fabbrica. Poi il 15 settembre 2000, con i soli voti della maggioranza di “Merate al Centro” guidata dal dottor Dario Perego, viene approvato il piano di riconversione, classificato P.E. 8150.

Il piano, in realtà, era stato adottato, in variante al Piano Regolatore Generale in base alla legge regionale n.23 del 23 giugno 1997, nel corso della seduta consiliare del 26 giugno. Nei 30 giorni in cui è stato depositato e negli altri 30 entro i quali si potevano presentare delle osservazioni, nulla era pervenuto pertanto il piano veniva approvato  com' era stato adottato. La variante al piano regolatore generale è stata determinata dalla necessità di individuare all'interno del comparto le aree standard (spazi di manovra e parcheggi) in quanto gran parte della destinazione d'uso è commerciale. Il nuovo centro, infatti, appare ben servito quanto a parcheggi ma ciò ha ridotto gli introiti comunali a circa 96 milioni in quanto sono state monetizzate aree standard soltanto per circa 740 metri quadrati a 130mila lire il mq.
Ed ecco i numeri “finali” di ciò che è stato realizzato sulle macerie della “Tessitura Serica di Merate”
Area totale di proprietà: 18.444 metri quadrati; di questi, 7.565 asserviti ad uso pubblico e 797 ceduti della provinciale 342 dir.
Destinazione commerciale: La superficie lorda di pavimento ad uso commerciale è di 7.816 mq. di cui 148 di nuova costruzione e 7.668 già esistente. La volumetria utile è di 445 metri cubi di nuova costruzione; 21.288 mc. area vendita e 6.476 mc. di spazi seminterrati o interrati.
Destinazione produttiva: La superficie lorda di pavimento ad uso produttivo artigianale è di 2.430 mq. La volumetria è pari a 6.678 metri cubi più altri 2.280 mc. di spazi seminterrati o interrati.

Storia delle industrie meratesi - 3/ continua


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