Mandic, Del Boca: ''Sulle morti di mamme in gravidanza, ci sono dati statistici. Oggi la sfida dell'ostetricia è coniugare naturalità e sicurezza. E basta demonizzare il taglio cesareo''
Brescia, Torino, Verona, Bassano del Grappa. Sono gli ospedali dove cinque mamme in attesa di dare alla luce il loro bimbo sono morte in circostanze ancora senza spiegazione. E poi Modena e Sanremo dove invece a trovare la morte sono stati i neonati. Drammi che si sono susseguiti in un lasso di tempo ristretto e che hanno scosso nel profondo l'opinione pubblica tanto da chiedersi se si sia trattato di una tragica casualità oppure ci sia un filo che unisce questi eventi, lontani nello spazio ma vicini per modalità e tempistica. Abbiamo chiesto al primario di Ostestricia Ginecologia del Mandic di Merate, dr. Gregorio Del Boca, cosa sta succedendo e come questi fatti possono essere interpretati alla luce delle casistiche.
"In medicina esiste un fenomeno le cui ragioni spesso sfuggono che si definisce "cluster" di patologie: una concentrazione in uno stretto arco temporale di eventi clinici che poi non manifestano così alta incidenza" ha spiegato il primario meratese "Dagli anni Sessanta in poi, quando è iniziata la cultura del parto in ospedale, la percentuale di morte materna e/o del feto in gravidanza ha subito fortunatamente un graduale declino. Questo trend virtuoso negli ultimi anni è andato arrestandosi". Il fenomeno, visto con i numeri, parla di 500mila donne che ogni anno muoiono nel mondo per complicazioni durante il periodo della gravidanza e di cui una parte molto rilevante è nei paesi sottosviluppati. Nei Paesi invece sviluppati, invece, il fenomeno è meno marcato ma non raro: il tasso di mortalità della madre è di 10/13 casi ogni 100mila e quello del feto di tre/quattro morti ogni 1000 nascite. Come ha spiegato il dr. Del Boca ci sono cause dirette, dipendenti esclusivamente dalla gravidanza (emorragia post partum, embolia, sepsi, preeclampsia, gestosi) e cause indirette legate a situazioni cliniche precedenti alla gestazione che porta a un aggravio delle condizioni della donna fino al suo decesso. Se l'Italia era stata classificata dalla rivista scientifica Lancet tra i Paesi nel mondo a più bassa mortalità materna durante la gravidanza, una successiva revisione dello studio ha dimostrato che i numeri erano frutto di una raccolta di informazioni non precisa. Tanto da portare a una realtà decisamente peggiore. Alla domanda, legittima e umanamente comprensibile, delle pazienti che si sentono angosciate e preoccupate "Come è possibile che ancora oggi accadano queste morti?", la risposta è semplice seppur deludente: "un certo numero di morti sono inevitabili e non sarà mai possibile azzerare il numero dei decessi". Diverso invece l'approccio dei medici al problema: "Quante morti riflettono un errore medico e-o una carenza di organizzazione sanitaria?"
"Un'inchiesta svolta nel Regno Unito dimostrò che in circa il 50% dei casi l'evento sarebbe stato evitato con una condotta clinica più attenta e qualificata" ha spiegato Del Boca "Da anni la comunità scientifica cerca di trovare soluzioni per comprimere il numero di queste morti evitabili. Anche il nostro Ministero della Salute ha approntato Linee guida, politiche di risk management, al fine di arginare tale fenomeno. Il piano di riorganizzazione dei punti nascita prevede la chiusura dei reparti con meno di 500 nascite/anno che in Italia sono ancora 98. Personalmente non ho soluzioni taumaturgiche da proporre ma la più che trentennale quotidiana frequentazione della sala parto mi consente di esprimere alcune considerazioni. Di per sé il numero dei parti non riflette automaticamente la qualità dell'assistenza ostetrica. Fondamentale è l'organizzazione del reparto: oggi non possono più esistere ospedali dove il ginecologo, il pediatra e l'anestesista non siano in guardia attiva ma in reperibilità. Queste tre figure professionali devono essere in guardia attiva 24 ore su 24 per potere garantire l'emergenza. Pochi minuti in ostetricia possono fare la differenza tra la vita e la morte" A volte, però, anche l'organizzazione di base, che resta comunque indispensabile, può non essere sufficiente e lo dimostrano i recenti tragici eventi avvenuti in reparti attrezzati e con livelli di attività elevati. Capita che questi grandi centri si trovi a gestire contemporaneamente un numero di eventi che impedisce il rapporto 1:1, l'assistenza one to one, fondamentale per cogliere i segnali di allarme. All'organizzazione sanitaria efficiente, presupposto principe, deve affiancarsi una cultura e un'attenzione ai rischi sanitari che la gravidanza oggi comporta. "La popolazione ostetrica sta cambiando" ha proseguito Del Boca "le pazienti con età maggiore ai 35 anni sono quasi il 25 %; un altro 25 % è rappresentato da popolazione con basso stato socioeconomico che rappresenta un fattore di rischio significativo. Trovo paradossale che la risposta alla gestante con questo maggiore rischio sia oggi andare nella direzione della demedicalizzazione, del ritorno alla naturalità dell'evento ...desideri sacrosanti e legittimi delle pazienti che però a volte possono andare a discapito della sicurezza. Anche questa continua politica di demonizzazione del taglio cesareo condiziona la libertà terapeutica dei medici. E' vero che spesso vi si ricorre in eccesso, non curanti dei potenziali rischi...ma non bisogna dimenticare che la riduzione della mortalità e della morbilità materna e fetale si è ottenuta nella storia grazie anche alla pratica del taglio cesareo. La grande sfida dell'ostetricia dunque è coniugare naturalità e sicurezza. Purtroppo non sempre queste imperative esigenze vanno nella stessa direzione. Quando ciò accade è del tutto evidente che la sicurezza debba essere privilegiata". E sui medici e il loro ruolo, Del Boca non ha dubbi "Negli ultimi tempi constato una eccessiva sottovalutazione, che arriva alla banalizzazione, del rischio ostetrico come se la forze naturali fossero improvvisamente divenute un meccanismo perfetto... Questo insinua anche nei medici un incauto ottimismo che li induce all'astensionismo terapeutico. Sono consapevole di fare un'affermazione forte e poco popolare ma sono convinto che i medici si debbano riappropriare della loro autorevolezza, accrescere la loro cultura per essere pronti ad affrontare il rischio ostetrico. Consci che nonostante tutto potranno sempre accadere eventi sfavorevoli potremo avere la consapevolezza di avere fatto tutto il possibile".
Il dottor Gregorio Del Boca mentre visita una paziente
"Un'inchiesta svolta nel Regno Unito dimostrò che in circa il 50% dei casi l'evento sarebbe stato evitato con una condotta clinica più attenta e qualificata" ha spiegato Del Boca "Da anni la comunità scientifica cerca di trovare soluzioni per comprimere il numero di queste morti evitabili. Anche il nostro Ministero della Salute ha approntato Linee guida, politiche di risk management, al fine di arginare tale fenomeno. Il piano di riorganizzazione dei punti nascita prevede la chiusura dei reparti con meno di 500 nascite/anno che in Italia sono ancora 98. Personalmente non ho soluzioni taumaturgiche da proporre ma la più che trentennale quotidiana frequentazione della sala parto mi consente di esprimere alcune considerazioni. Di per sé il numero dei parti non riflette automaticamente la qualità dell'assistenza ostetrica. Fondamentale è l'organizzazione del reparto: oggi non possono più esistere ospedali dove il ginecologo, il pediatra e l'anestesista non siano in guardia attiva ma in reperibilità. Queste tre figure professionali devono essere in guardia attiva 24 ore su 24 per potere garantire l'emergenza. Pochi minuti in ostetricia possono fare la differenza tra la vita e la morte" A volte, però, anche l'organizzazione di base, che resta comunque indispensabile, può non essere sufficiente e lo dimostrano i recenti tragici eventi avvenuti in reparti attrezzati e con livelli di attività elevati. Capita che questi grandi centri si trovi a gestire contemporaneamente un numero di eventi che impedisce il rapporto 1:1, l'assistenza one to one, fondamentale per cogliere i segnali di allarme. All'organizzazione sanitaria efficiente, presupposto principe, deve affiancarsi una cultura e un'attenzione ai rischi sanitari che la gravidanza oggi comporta. "La popolazione ostetrica sta cambiando" ha proseguito Del Boca "le pazienti con età maggiore ai 35 anni sono quasi il 25 %; un altro 25 % è rappresentato da popolazione con basso stato socioeconomico che rappresenta un fattore di rischio significativo. Trovo paradossale che la risposta alla gestante con questo maggiore rischio sia oggi andare nella direzione della demedicalizzazione, del ritorno alla naturalità dell'evento ...desideri sacrosanti e legittimi delle pazienti che però a volte possono andare a discapito della sicurezza. Anche questa continua politica di demonizzazione del taglio cesareo condiziona la libertà terapeutica dei medici. E' vero che spesso vi si ricorre in eccesso, non curanti dei potenziali rischi...ma non bisogna dimenticare che la riduzione della mortalità e della morbilità materna e fetale si è ottenuta nella storia grazie anche alla pratica del taglio cesareo. La grande sfida dell'ostetricia dunque è coniugare naturalità e sicurezza. Purtroppo non sempre queste imperative esigenze vanno nella stessa direzione. Quando ciò accade è del tutto evidente che la sicurezza debba essere privilegiata". E sui medici e il loro ruolo, Del Boca non ha dubbi "Negli ultimi tempi constato una eccessiva sottovalutazione, che arriva alla banalizzazione, del rischio ostetrico come se la forze naturali fossero improvvisamente divenute un meccanismo perfetto... Questo insinua anche nei medici un incauto ottimismo che li induce all'astensionismo terapeutico. Sono consapevole di fare un'affermazione forte e poco popolare ma sono convinto che i medici si debbano riappropriare della loro autorevolezza, accrescere la loro cultura per essere pronti ad affrontare il rischio ostetrico. Consci che nonostante tutto potranno sempre accadere eventi sfavorevoli potremo avere la consapevolezza di avere fatto tutto il possibile".
S.V.