Parco del Curone: la mappatura delle superfici di amianto presenti nei confini. Dal pollaio fino alle aziende dismesse
Il Parco di Montevecchia e della Valle del Curone è un gioiello naturalistico e una risorsa di valore inestimabile per il nostro territorio. Gli incantevoli paesaggi, agricoli e boschivi, la qualità dei prodotti delle sue aziende e la tutela delle specie animali e vegetali presenti, uniti ad una gestione attenta sia a livello politico che tecnico, ne fanno un'area attrattiva - com'è noto - che richiama visitatori ed escursionisti da tutta la Lombardia.
A stridere con questa premessa e, soprattutto, con la vocazione alla salvaguardia ambientale da parte dell'Ente è la presenza entro i confini del parco di strutture con estensioni significative di coperture in eternit: case, capannoni o altri manufatti minori.
A segnalarlo è la consulta ecologia, ambiente, territorio e urbanistica del Comune di Montevecchia, che in questi anni ha portato avanti un approfondito lavoro di censimento e segnalazione delle costruzioni in amianto-cemento sul territorio comunale. "Un'analisi visiva, coadiuvata dall'osservazione di fotografie aeree, eseguite da terreno pubblico, ha evidenziato che a Montevecchia ci sono più di una trentina di coperture (dalla baracca, al pollaio, alla casa abitata, sino ai capannoni industriali) per una superficie stimata di oltre 6000 metri quadrati. Dati in linea con quanto emerso dalle autodenunce dei privati e con il censimento del 2013 del Comune che ha registrato 6929 mq di amianto, il 68% del quale in buono stato, secondo le segnalazioni, e il 32% da rimuovere. Fino a maggio 2015 ne è stato rimosso però soltanto il 6,3%", ha spiegato Carlo Cavenaghi, componente della consulta e chimico industriale che da 40 anni si occupa del tema.
Dal punto di vista sanitario l'amianto è un materiale cancerogeno, ciò significa che non vi sono valori o "quantità minime" necessarie per determinare l'insorgere della malattia. Potenzialmente, anche un contatto sporadico potrebbe bastare a fare ammalare di mesotelioma pleurico: l'unico tipo di tumore sicuramente legato all'amianto, provocato dall'inalazione delle fibre più sottili, estremamente volatili, che compongono questo minerale. La caratteristica di questo tumore è la lunga latenza: dal momento della contaminazione a quello della manifestazione dei primi sintomi possono passare anche 30 o 40 anni.
Secondo le rilevazioni statistiche, ogni anno la "fibra killer" causa nel nostro paese più morti (4000) rispetto agli incidenti stradali e soltanto nella nostra provincia, secondo i dati dell'Asl, si registrano dai 15 ai 20 casi di mesotelioma pleurico. Esistono, peraltro, ulteriori malattie non tumorali causate dall'inalazione di fibre di amianto (asbestosi, placche pleuriche), e nel caso del tumore polmonare il suo coinvolgimento resta un importante fattore di rischio soprattutto se combinato con il fumo.
La quantità di fibre che una lastra di amianto è in grado di rilasciare nel corso di un anno è di 3 grammi per metro quadro.
Il potenziale pericolo resta dunque legato anche alla superficie totale di amianto che esiste in una certa area, e il Parco di Montevecchia, entro i suoi confini, ha un triste primato rispetto al territorio del meratese.
"Come consulta ecologia - ha aggiunto Carlo Cavenaghi - è nostro interesse occuparci non solo del territorio comunale ma anche delle immediate vicinanze in quanto le fibre di amianto si diffondono nell'ambiente anche a diversi chilometri dalla fonte, rendendo necessaria una bonifica completa del territorio. A Nord di Montevecchia ci sono aree fortemente critiche come l'ex industria di laterizi in località Fornace e l'ex allevamento di Pianezzo: per la prima l'estensione delle coperture in amianto-cemento è di 18mila mq, mentre per la seconda di circa 8mila, sommandole abbiamo un rilascio approssimato di circa 86 kg all'anno di fibre. A sud del territorio comunale, a Lomagna, lo stabilimento dismesso da pochi anni della RDB ha una copertura di 13mila mq che ne rilascia invece 45 kg l'anno. Queste tre grosse estensioni da sole portano un contributo di fibre di amianto superiore a quanto liberato nel territorio di Montevecchia dai circa 7000 mq di superfici. Tuttavia, il pericolo maggiore è costituito dalla prossimità di questo materiale ai luoghi della vita di tutti i giorni; e in questo senso la tettoia del nonno inconsapevole che insegna al nipote a coltivare l'orticello rappresenta un rischio da non sottovalutare".
La distribuzione di questi manufatti, secondo una mappatura parziale recentemente realizzata proprio da Carlo Cavenaghi, copre diffusamente tutta l'estensione del Parco, con concentrazioni tra Ostizza e Lomaniga, in Valle Santa Croce, in Val Fredda a Montevecchia, in località Monte a Rovagnate e, appunto, in località Fornace, a Pianezzo e a Lomagna.
Di fronte a questa situazione l'Ente Parco è impotente, o meglio non ha le competenze per agire direttamente come ha spiegato il direttore Michele Cereda: "Il Parco ha lo scopo di tutelare la salvaguardia ambientale mentre il pericolo amianto rientra più nell'aspetto della salute pubblica, e gli enti preposti a tale compito sono i comuni e la Provincia. Arrivataci la segnalazione di presenza amianto non possiamo fare altro che girarla agli uffici del comune interessato perché la questione non è di nostra competenza e non rientra negli incarichi delle nostre guardie ecologiche".
"Ci sono altre situazioni, altrettanto rilevanti, la cui presenza sul territorio è in contrasto con lo scopo di un'area naturale: il versamento di liquami o gli scarichi fognari abusivi. Queste, ad esempio, sono esclusivamente di nostra competenza e prevedono uno sforzo di monitoraggio non indifferente", ha continuato il dottor Cereda. "Detto questo la commissione paesaggio del Parco si esprime in modo vincolante sulle trasformazioni del territorio e la sistemazione dei tetti in amianto riguarda la maggior parte degli interventi autorizzati".
La Legge Regionale n. 14 del 31 luglio 2012 ha introdotto una sanzione per chi non segnala la presenza di amianto nei propri edifici o nei propri terreni. Dall'emanazione della legge, il primo passo per far fronte al problema è spettato ai comuni con la realizzazione di un censimento, svolto a livello comunale, per determinare la quantità di materiale presente sul territorio e il suo stato di conservazione. Determinati i diversi livelli di degrado, indicati dalla consistenza delle superfici, dalla presenza di fessurazioni e di stalattiti, dalla ventilazione e dalla vetustà del materiale (che se risalente a prima degli anni '80 moltiplica di 4 volte il suo fattore di rischio), le amministrazioni hanno un ruolo di mediazione tra l'Azienda Sanitaria, che coordina gli interventi, e le ditte specializzate incaricate dello smaltimento per ridurre il più possibile i costi fissi, legati alla rimozione e al trasporto dei materiali, a carico dei proprietari ai quali spetta il compito di segnalare (ogni due anni se non rimosso) la presenza di amianto e monitorarne costantemente lo stato di conservazione.
"Il Comune di Montevecchia sta raccogliendo offerte dalle ditte specializzate per la rimozione e lo smaltimento dell'amianto con l'intento di minimizzare il costo a carico dei cittadini", ha segnalato Cavenaghi. "In una situazione con un numero ancora così elevato di manufatti presenti sul territorio, il coordinamento con i comuni vicini e soprattutto con il Parco sarebbe però fondamentale".
A breve la consulta ecologia proporrà alcuni appuntamenti per sostenere l'iniziativa del Comune e per aumentare la consapevolezza del rischio amianto tra i cittadini, con la testimonianza di esperti e con il supporto dell'associazione "Gruppo Aiuto Mesotelioma" di Lecco.
A stridere con questa premessa e, soprattutto, con la vocazione alla salvaguardia ambientale da parte dell'Ente è la presenza entro i confini del parco di strutture con estensioni significative di coperture in eternit: case, capannoni o altri manufatti minori.
A segnalarlo è la consulta ecologia, ambiente, territorio e urbanistica del Comune di Montevecchia, che in questi anni ha portato avanti un approfondito lavoro di censimento e segnalazione delle costruzioni in amianto-cemento sul territorio comunale. "Un'analisi visiva, coadiuvata dall'osservazione di fotografie aeree, eseguite da terreno pubblico, ha evidenziato che a Montevecchia ci sono più di una trentina di coperture (dalla baracca, al pollaio, alla casa abitata, sino ai capannoni industriali) per una superficie stimata di oltre 6000 metri quadrati. Dati in linea con quanto emerso dalle autodenunce dei privati e con il censimento del 2013 del Comune che ha registrato 6929 mq di amianto, il 68% del quale in buono stato, secondo le segnalazioni, e il 32% da rimuovere. Fino a maggio 2015 ne è stato rimosso però soltanto il 6,3%", ha spiegato Carlo Cavenaghi, componente della consulta e chimico industriale che da 40 anni si occupa del tema.
Dal punto di vista sanitario l'amianto è un materiale cancerogeno, ciò significa che non vi sono valori o "quantità minime" necessarie per determinare l'insorgere della malattia. Potenzialmente, anche un contatto sporadico potrebbe bastare a fare ammalare di mesotelioma pleurico: l'unico tipo di tumore sicuramente legato all'amianto, provocato dall'inalazione delle fibre più sottili, estremamente volatili, che compongono questo minerale. La caratteristica di questo tumore è la lunga latenza: dal momento della contaminazione a quello della manifestazione dei primi sintomi possono passare anche 30 o 40 anni.
Secondo le rilevazioni statistiche, ogni anno la "fibra killer" causa nel nostro paese più morti (4000) rispetto agli incidenti stradali e soltanto nella nostra provincia, secondo i dati dell'Asl, si registrano dai 15 ai 20 casi di mesotelioma pleurico. Esistono, peraltro, ulteriori malattie non tumorali causate dall'inalazione di fibre di amianto (asbestosi, placche pleuriche), e nel caso del tumore polmonare il suo coinvolgimento resta un importante fattore di rischio soprattutto se combinato con il fumo.
La quantità di fibre che una lastra di amianto è in grado di rilasciare nel corso di un anno è di 3 grammi per metro quadro.
Il potenziale pericolo resta dunque legato anche alla superficie totale di amianto che esiste in una certa area, e il Parco di Montevecchia, entro i suoi confini, ha un triste primato rispetto al territorio del meratese.
"Come consulta ecologia - ha aggiunto Carlo Cavenaghi - è nostro interesse occuparci non solo del territorio comunale ma anche delle immediate vicinanze in quanto le fibre di amianto si diffondono nell'ambiente anche a diversi chilometri dalla fonte, rendendo necessaria una bonifica completa del territorio. A Nord di Montevecchia ci sono aree fortemente critiche come l'ex industria di laterizi in località Fornace e l'ex allevamento di Pianezzo: per la prima l'estensione delle coperture in amianto-cemento è di 18mila mq, mentre per la seconda di circa 8mila, sommandole abbiamo un rilascio approssimato di circa 86 kg all'anno di fibre. A sud del territorio comunale, a Lomagna, lo stabilimento dismesso da pochi anni della RDB ha una copertura di 13mila mq che ne rilascia invece 45 kg l'anno. Queste tre grosse estensioni da sole portano un contributo di fibre di amianto superiore a quanto liberato nel territorio di Montevecchia dai circa 7000 mq di superfici. Tuttavia, il pericolo maggiore è costituito dalla prossimità di questo materiale ai luoghi della vita di tutti i giorni; e in questo senso la tettoia del nonno inconsapevole che insegna al nipote a coltivare l'orticello rappresenta un rischio da non sottovalutare".
La distribuzione di questi manufatti, secondo una mappatura parziale recentemente realizzata proprio da Carlo Cavenaghi, copre diffusamente tutta l'estensione del Parco, con concentrazioni tra Ostizza e Lomaniga, in Valle Santa Croce, in Val Fredda a Montevecchia, in località Monte a Rovagnate e, appunto, in località Fornace, a Pianezzo e a Lomagna.
Di fronte a questa situazione l'Ente Parco è impotente, o meglio non ha le competenze per agire direttamente come ha spiegato il direttore Michele Cereda: "Il Parco ha lo scopo di tutelare la salvaguardia ambientale mentre il pericolo amianto rientra più nell'aspetto della salute pubblica, e gli enti preposti a tale compito sono i comuni e la Provincia. Arrivataci la segnalazione di presenza amianto non possiamo fare altro che girarla agli uffici del comune interessato perché la questione non è di nostra competenza e non rientra negli incarichi delle nostre guardie ecologiche".
"Ci sono altre situazioni, altrettanto rilevanti, la cui presenza sul territorio è in contrasto con lo scopo di un'area naturale: il versamento di liquami o gli scarichi fognari abusivi. Queste, ad esempio, sono esclusivamente di nostra competenza e prevedono uno sforzo di monitoraggio non indifferente", ha continuato il dottor Cereda. "Detto questo la commissione paesaggio del Parco si esprime in modo vincolante sulle trasformazioni del territorio e la sistemazione dei tetti in amianto riguarda la maggior parte degli interventi autorizzati".
La Legge Regionale n. 14 del 31 luglio 2012 ha introdotto una sanzione per chi non segnala la presenza di amianto nei propri edifici o nei propri terreni. Dall'emanazione della legge, il primo passo per far fronte al problema è spettato ai comuni con la realizzazione di un censimento, svolto a livello comunale, per determinare la quantità di materiale presente sul territorio e il suo stato di conservazione. Determinati i diversi livelli di degrado, indicati dalla consistenza delle superfici, dalla presenza di fessurazioni e di stalattiti, dalla ventilazione e dalla vetustà del materiale (che se risalente a prima degli anni '80 moltiplica di 4 volte il suo fattore di rischio), le amministrazioni hanno un ruolo di mediazione tra l'Azienda Sanitaria, che coordina gli interventi, e le ditte specializzate incaricate dello smaltimento per ridurre il più possibile i costi fissi, legati alla rimozione e al trasporto dei materiali, a carico dei proprietari ai quali spetta il compito di segnalare (ogni due anni se non rimosso) la presenza di amianto e monitorarne costantemente lo stato di conservazione.
"Il Comune di Montevecchia sta raccogliendo offerte dalle ditte specializzate per la rimozione e lo smaltimento dell'amianto con l'intento di minimizzare il costo a carico dei cittadini", ha segnalato Cavenaghi. "In una situazione con un numero ancora così elevato di manufatti presenti sul territorio, il coordinamento con i comuni vicini e soprattutto con il Parco sarebbe però fondamentale".
A breve la consulta ecologia proporrà alcuni appuntamenti per sostenere l'iniziativa del Comune e per aumentare la consapevolezza del rischio amianto tra i cittadini, con la testimonianza di esperti e con il supporto dell'associazione "Gruppo Aiuto Mesotelioma" di Lecco.
M.F.