Merate: conoscere per vivere con umana dignità la morte. Ne parlano tre esperti ''Cure palliative per stare meglio''
"All'Hopital Charles Nicolle di Rouen, dove sono responsabile delle cure palliative, abbiamo pazienti che vengono da noi da sei anni. Uno di loro da oltre dieci".
"Ci siamo chiesti perchè i pazienti arrivano a "Il Nespolo", Hospice di Airuno, solo quando hanno pochi giorni di vita".
La prima dichiarazione è di Marco Gambirasio, in Francia da oltre cinque anni. La seconda di Domenico Basile, presidente della Fabio Sassi, associazione che assiste i malati inguaribili e ha costruito l'Hospice locale.
Ai molti meratesi che martedì sera, hanno ascoltato il dottor Gambirasio, nonchè Mauro Marinari, già primario rianimatore al Mandic fino ad un anno fa direttore sanitario dell'Hospice, e Laura Formenti psicologa che insegna all'Università Bicocca di Milano, è stato facile capire i motivi di tanta differenza.
Nell'incontro che "La Semina", "Il Nespolo" e la "Fabio Sassi", avevano promosso nell'aula magna del liceo scientifico Agnesi e del Viganò, si doveva discutere di "Consapevolezza, autodeterminazione, accompagnamento per vivere con umana dignità anche la morte". Al centro della conferenza, la relazione del dottor Gambirasio sulla legge Leonetti, ovvero sulle norme relative al fine vita che, da dieci anni, hanno cambiato, in Francia, l'approccio al malato morente.
"Vi vedo numerosi, è questo è importante - ha esordito Marinari - i problemi relativi al fine vita e alla cure palliative devono essere affrontati con delicatezza. In Francia questo è accaduto, ma è stato preceduto da un lungo percorso. Non a caso la legge Leonetti era stata votata all'unanimità. L'aggiornamento recente, a larga maggioranza". "Qualche anno fa - ha continuato il fondatore delle cure palliative nel meratese - con Eluana Englaro, l'hospice di Airuno era circondato, si viveva un clima da guerra di religione. Poi, improvvisamente è calato il silenzio, e da tempo non si sente più nulla. Nessuno che faccia una proposta civile che possa essere accettata da tutti. In Francia si è invece votata una legge che migliorato la situazione del fine vita. Dopo aver inutilmente tentato in Italia, Marco Gambirasio, medico nutrizionista che si era formato anche sui corsi della Fabio Sassi e coi master dell'Hospice, si è fermato in Francia, dove è responsabile della cure palliative all'Hopital Charles Nicolle di Rouen".
"L'idea di raccontare e di riprendere un dibattito sul fine vita - ha detto invece Gambirasio - è necessario. In Francia la legge Leonetti ha cambiato il nostro approccio con momenti non facili da affrontare. Abbiamo l'impressione di essere sostenuti. La legge ci guida. Non siamo soli a decidere. Possiamo seguire le linee legislative tracciate, che sono peraltro frutto di un lungo periodo di riflessione".
Il dottor Gambirasio ha ricostruito il percorso storico del dibattito facendo risalire le sue origini al primo impegno di Jeanne Garnier del 1842. Altre tappe, l'apertura, nel 1967 a Londra con Cecile Sander, del primo Hospice. Il riconoscimento in Francia, nel 1985, delle cure palliative. La legge, ancora francese, che nel 1999 stabiliva i diritti fondamentali del malato. "Dove si riconosceva al paziente la possibilità di rifiutare alcune cure". Nel 2002 è poi cominciato il dibattito che ha portato all'approvazione, il 22 aprile 2005, della legge Lio Leonetti, votata all'unanimità. "Devo però dirvi - ha sottolineato Gambirasio - che il 54% dei francesi non conosce ancora queste norme. Delle quali gli stessi magistrati hanno dato un buon giudizio. Tra gli articoli, uno definisce l'accanimento terapeutico quale atto o terapia inutile o sproporzionata, perchè non ha altro fine che mantenere in vita la persone. Non solo. La legge Leonetti rende obbligatoria la presa in carico di malati che hanno bisogno di cure palliative. Introduce poi un amministratore di sostegno (in francese persone de confiance che mi sembra un po' più appropriato) che può sostituire il paziente nel caso questi non sia più in grado di esprimersi. Precisa infine in contenuti del testamento biologico (directive anticipées) valido finora per tre anni, ma che può essere modificato in ogni momento, anche in condizioni estreme. Le legge dice che dobbiamo tenerne conto, ma non c'è l'obbligo di seguirlo alla lettera. Introduce infine la sedazione, spiegando al paziente, che come effetto indesiderato, potrebbe abbreviarne la sopravvivenza. Se il dolore è troppo forte (ovvero è interessato da quello che viene definito sintomo refrattario) da diventare insopportabile, e questo è evidente, la legge dice ancora che può essere applicata la sedazione, anche se questa dovesse abbreviare la vita di una persona. Il nostro obiettivo è fare in modo che il paziente non soffra. La sedazione è un modo per alleviare il dolore esasperato di un paziente, per creare conforto, ma chiariamolo subito, non potremo mai accettare che il malato decida di chiedere di modo unilaterale, come farsi curare. Voglio dire che nessun medico che si occupi di cure palliative accetterà mai l'eutanasia. Ovvero un atto volontario per mettere fine alla vita. Certo se esiste un sintomo refrattario, molto forte, la sedazione potrebbe abbreviare la vita, ma la è solo perchè questa sia comunque di migliore qualità. Tra sedazione e morte non c'è la relazione causa-effetto". "Se un paziente mi avesse chiesto l'eutanasia - ha detto anche Marinari - gli avrei detto; l'hospice non è quello che cerchi. Se vuoi puoi trovare Paesi in cui questo può accadere".
"Quelle ascoltate sono situazioni che ci toccano, tutti e direttamente - ha aggiunto Laura Formenti "Mi rifaccio alle tre parole indicate nel titolo. Consapevolezza. Abbiamo bisogno di interrogarci, di riflettere, come stasera Marco e Mauro ci hanno aiutato a fare. Autodeterminazione. Non significa che il paziente possa imporre la sua sola volontà. In Francia hanno cominciato a discutere già con l'Illuminismo. E' necessaria l'autodeterminazione dialogante". "E' quella che noi chiamiamo "Alleanza terapeutica" ha aggiunto Marinari. Infine l'accompagnamento. "La relazione col medico curante - ha sottolineato la Formenti - è fondamentale. Io le definirei accompagnamento reciproco. Le parole ascoltate questa sera ci hanno insegnato molto. E' necessario un forte coordinamento". "Sembra che tra un istituzione e l'altra, ma a volte anche tra i reparti di uno stesso ospedale - hanno detto un po' tutti - a volte non si parlino".
"In hospice non si entra per morire - ha detto ancora Gambirasio - ma quando si ha bisogno di cure e assistenza. Ci sono persone che vengono da noi da sei anni. Grazie alle cure palliative, si vive più a lungo e meglio.
"Le cure palliative - ha concluso Marinari - sono tutto quello che c'è da fare quando non c'è più niente da fare". Ovvero moltissimo.
Molti gli interventi, soprattutto di volontari. "Ci siamo chiesti - ha detto infine Domenico Basile presidente della Fabio Sassi - perchè oltre il cinquanta per cento dei pazienti che arriva all'hospice, lo fa solo negli ultimi cinque giorni di vita, in pratica quando possiamo fare ben poco. L'approccio, come avevamo detto quando dieci anni fa siamo nati e ripetiamo ora, deve essere diverso. L'hospice è una casa di accoglienza per chi, ammalato grave, non può rimanere solo o assistito dai soli familiari. Gli stessi medici che ci circondano nelle istituzioni sanitarie o sul territorio, forse non hanno ben compreso che l'hospice può essere un grande aiuto. Mi hanno raccontato di medici che in ospedali dicevano "Perchè vuole andare all'hospice. Crede forse che qui non potremmo fare le stesse cose? Non si tratta di concorrenza, ma di aiuto reciproco". Per un unico fine: la qualità della vita del malato.
"Ci siamo chiesti perchè i pazienti arrivano a "Il Nespolo", Hospice di Airuno, solo quando hanno pochi giorni di vita".
La prima dichiarazione è di Marco Gambirasio, in Francia da oltre cinque anni. La seconda di Domenico Basile, presidente della Fabio Sassi, associazione che assiste i malati inguaribili e ha costruito l'Hospice locale.
Ai molti meratesi che martedì sera, hanno ascoltato il dottor Gambirasio, nonchè Mauro Marinari, già primario rianimatore al Mandic fino ad un anno fa direttore sanitario dell'Hospice, e Laura Formenti psicologa che insegna all'Università Bicocca di Milano, è stato facile capire i motivi di tanta differenza.
Pierangelo Marucco presidente della Semina, il dottor Mauro Marinari,
la psicologa Laura Formenti, il dottor Marco Gambirasio
la psicologa Laura Formenti, il dottor Marco Gambirasio
Nell'incontro che "La Semina", "Il Nespolo" e la "Fabio Sassi", avevano promosso nell'aula magna del liceo scientifico Agnesi e del Viganò, si doveva discutere di "Consapevolezza, autodeterminazione, accompagnamento per vivere con umana dignità anche la morte". Al centro della conferenza, la relazione del dottor Gambirasio sulla legge Leonetti, ovvero sulle norme relative al fine vita che, da dieci anni, hanno cambiato, in Francia, l'approccio al malato morente.
"Vi vedo numerosi, è questo è importante - ha esordito Marinari - i problemi relativi al fine vita e alla cure palliative devono essere affrontati con delicatezza. In Francia questo è accaduto, ma è stato preceduto da un lungo percorso. Non a caso la legge Leonetti era stata votata all'unanimità. L'aggiornamento recente, a larga maggioranza". "Qualche anno fa - ha continuato il fondatore delle cure palliative nel meratese - con Eluana Englaro, l'hospice di Airuno era circondato, si viveva un clima da guerra di religione. Poi, improvvisamente è calato il silenzio, e da tempo non si sente più nulla. Nessuno che faccia una proposta civile che possa essere accettata da tutti. In Francia si è invece votata una legge che migliorato la situazione del fine vita. Dopo aver inutilmente tentato in Italia, Marco Gambirasio, medico nutrizionista che si era formato anche sui corsi della Fabio Sassi e coi master dell'Hospice, si è fermato in Francia, dove è responsabile della cure palliative all'Hopital Charles Nicolle di Rouen".
"L'idea di raccontare e di riprendere un dibattito sul fine vita - ha detto invece Gambirasio - è necessario. In Francia la legge Leonetti ha cambiato il nostro approccio con momenti non facili da affrontare. Abbiamo l'impressione di essere sostenuti. La legge ci guida. Non siamo soli a decidere. Possiamo seguire le linee legislative tracciate, che sono peraltro frutto di un lungo periodo di riflessione".
Il dottor Gambirasio ha ricostruito il percorso storico del dibattito facendo risalire le sue origini al primo impegno di Jeanne Garnier del 1842. Altre tappe, l'apertura, nel 1967 a Londra con Cecile Sander, del primo Hospice. Il riconoscimento in Francia, nel 1985, delle cure palliative. La legge, ancora francese, che nel 1999 stabiliva i diritti fondamentali del malato. "Dove si riconosceva al paziente la possibilità di rifiutare alcune cure". Nel 2002 è poi cominciato il dibattito che ha portato all'approvazione, il 22 aprile 2005, della legge Lio Leonetti, votata all'unanimità. "Devo però dirvi - ha sottolineato Gambirasio - che il 54% dei francesi non conosce ancora queste norme. Delle quali gli stessi magistrati hanno dato un buon giudizio. Tra gli articoli, uno definisce l'accanimento terapeutico quale atto o terapia inutile o sproporzionata, perchè non ha altro fine che mantenere in vita la persone. Non solo. La legge Leonetti rende obbligatoria la presa in carico di malati che hanno bisogno di cure palliative. Introduce poi un amministratore di sostegno (in francese persone de confiance che mi sembra un po' più appropriato) che può sostituire il paziente nel caso questi non sia più in grado di esprimersi. Precisa infine in contenuti del testamento biologico (directive anticipées) valido finora per tre anni, ma che può essere modificato in ogni momento, anche in condizioni estreme. Le legge dice che dobbiamo tenerne conto, ma non c'è l'obbligo di seguirlo alla lettera. Introduce infine la sedazione, spiegando al paziente, che come effetto indesiderato, potrebbe abbreviarne la sopravvivenza. Se il dolore è troppo forte (ovvero è interessato da quello che viene definito sintomo refrattario) da diventare insopportabile, e questo è evidente, la legge dice ancora che può essere applicata la sedazione, anche se questa dovesse abbreviare la vita di una persona. Il nostro obiettivo è fare in modo che il paziente non soffra. La sedazione è un modo per alleviare il dolore esasperato di un paziente, per creare conforto, ma chiariamolo subito, non potremo mai accettare che il malato decida di chiedere di modo unilaterale, come farsi curare. Voglio dire che nessun medico che si occupi di cure palliative accetterà mai l'eutanasia. Ovvero un atto volontario per mettere fine alla vita. Certo se esiste un sintomo refrattario, molto forte, la sedazione potrebbe abbreviare la vita, ma la è solo perchè questa sia comunque di migliore qualità. Tra sedazione e morte non c'è la relazione causa-effetto". "Se un paziente mi avesse chiesto l'eutanasia - ha detto anche Marinari - gli avrei detto; l'hospice non è quello che cerchi. Se vuoi puoi trovare Paesi in cui questo può accadere".
"Quelle ascoltate sono situazioni che ci toccano, tutti e direttamente - ha aggiunto Laura Formenti "Mi rifaccio alle tre parole indicate nel titolo. Consapevolezza. Abbiamo bisogno di interrogarci, di riflettere, come stasera Marco e Mauro ci hanno aiutato a fare. Autodeterminazione. Non significa che il paziente possa imporre la sua sola volontà. In Francia hanno cominciato a discutere già con l'Illuminismo. E' necessaria l'autodeterminazione dialogante". "E' quella che noi chiamiamo "Alleanza terapeutica" ha aggiunto Marinari. Infine l'accompagnamento. "La relazione col medico curante - ha sottolineato la Formenti - è fondamentale. Io le definirei accompagnamento reciproco. Le parole ascoltate questa sera ci hanno insegnato molto. E' necessario un forte coordinamento". "Sembra che tra un istituzione e l'altra, ma a volte anche tra i reparti di uno stesso ospedale - hanno detto un po' tutti - a volte non si parlino".
"In hospice non si entra per morire - ha detto ancora Gambirasio - ma quando si ha bisogno di cure e assistenza. Ci sono persone che vengono da noi da sei anni. Grazie alle cure palliative, si vive più a lungo e meglio.
"Le cure palliative - ha concluso Marinari - sono tutto quello che c'è da fare quando non c'è più niente da fare". Ovvero moltissimo.
Molti gli interventi, soprattutto di volontari. "Ci siamo chiesti - ha detto infine Domenico Basile presidente della Fabio Sassi - perchè oltre il cinquanta per cento dei pazienti che arriva all'hospice, lo fa solo negli ultimi cinque giorni di vita, in pratica quando possiamo fare ben poco. L'approccio, come avevamo detto quando dieci anni fa siamo nati e ripetiamo ora, deve essere diverso. L'hospice è una casa di accoglienza per chi, ammalato grave, non può rimanere solo o assistito dai soli familiari. Gli stessi medici che ci circondano nelle istituzioni sanitarie o sul territorio, forse non hanno ben compreso che l'hospice può essere un grande aiuto. Mi hanno raccontato di medici che in ospedali dicevano "Perchè vuole andare all'hospice. Crede forse che qui non potremmo fare le stesse cose? Non si tratta di concorrenza, ma di aiuto reciproco". Per un unico fine: la qualità della vita del malato.
- La relazione del dr. Gambirasio CLICCA QUI
Segio Perego