Centro trombosi dell'Ao: la parola d'ordine è decentramento ma senza perdere qualità
"Centri trombosi ospedalieri, quale futuro?". Questa la domanda a cui è stata chiamata a rispondere, articolando un coinciso ma efficace intervento, la dottoressa Nicoletta Erba, principale relatore del convegno promosso nella mattinata di sabato dalla sezione lecchese dell'Aipa - l'associazione italiana pazienti anticoagulati - "in trasferta" presso la struttura comunale di piazza don Minzoni a Merate per incontrare e informare soci e simpatizzanti locali sulle problematiche esistenti inquadrate in "un panorama di grande cambiamento" come l'ha definito, fin dalle prime battute, la specialista, responsabile della divisione Emostasi e Trombosi dell'Azienda Ospedaliera della Provincia di Lecco, unica e integrata per il Manzoni e il Mandic che rappresentano dunque due punti d'accesso alla medesima struttura.
6.700 circa, al momento, i pazienti seguiti dal centro che, come altre 55 realtà lombarde (poco meno di 300 in tutta Italia) iscritte alla federazione, attende il riconoscimento dopo il documento del 2010 in cui la conferenza Stato-Regioni ha evidenziato l'importanza del trattamento anticoagulante e della sorveglianza del rischio, demandando alle organizzazioni territoriali l'istituzione di una vera e propria rete. "I centri trombosi come il nostro sono infatti strutture ospedaliere ma con un braccio o una gamba verso il territorio" ha argomentato la dottoressa Erba che non ha però mancato di sottolineare come "dal 2010 non è successo nulla", citando poi il tavolo tecnico aperto nel settembre 2014 da Regione Lombardia per fotografare quantomeno la situazione e tracciare poi un percorso in linea con i dettami della Riforma del sistema sociosanitario approvata solo il mese scorso.
"Sono previste delle Aziende, le Asst, che uniscono il ruolo ospedaliero al ruolo territoriale" ha spiegato sinteticamente il medico alla sua platea, non particolarmente nutrita e composta prevalentemente da pazienti dal capello brizzolato. "Si parla dunque di presidi ospedalieri territoriali in collegamento funzionale con le unità complesse di cure primarie, cioè le aggregazioni di medici di medicina generale. Noi abbiamo già compiuto tale integrazione" ha poi affermato, ricordando come il centro ospedaliero abbia saputo coinvolgere - in maniera coordinata - i distretti e i medici di famiglia. I primi per arrivare quantomeno al decentramento dei prelievi (il 22% dei quali viene effettuato addirittura a domicilio) e i secondi per "esternalizzare" la sorveglianza.
Si è così superato quota mille utenti (tanti ma ancora pochi rispetto al totale) seguiti direttamente dal proprio medico il quale, indubbiamente, "conosce sicuramente meglio la storia clinica di ogni paziente, specialmente di quelli più critici" ha proseguito la professionista rimarcando come delegare ai colleghi di base il dosaggio della terapia per i loro "clienti" abbia permesso di mantenere una qualità ottimale del servizio, raggiungendo livelli molto buoni. Per il futuro - ormai prossimo - "dovremo consolidare il modello in rete con i medici di famiglia ma dobbiamo essere noi a governare questo processo per mantenere gli standard che abbiamo". In altre parole "decentralizzare sì ma garantendo qualità" per evitare di fare la fine di una realtà non troppo lontana dalla nostra che da un giorno all'altro si è trovata a scaricare i propri utenti sui medici di base, di punto in bianco. "Occorre fare in modo che ciò che facciamo con alcuni si allarghi a tutti i colleghi. Dobbiamo però fornire loro competenze o che si organizzino tra di loro per passaggi di saperi".
Il tutto mentre anche il panorama terapeutico si sta modificando con l'introduzione dei nuovi farmaci anticoagulanti, che non richiedono prelievi periodi per il dosaggio, ma che chiaramente al momento vanno comunque "controllati". E l'associazione? "Deve capire dove è ora il paziente. Deve aiutare a mettere da parte la visione ospedalocentrica per capire che è sul territorio. Deve dunque rivedere i propri interlocutori: non solo l'ospedale ma anche le strutture territoriali".
6.700 circa, al momento, i pazienti seguiti dal centro che, come altre 55 realtà lombarde (poco meno di 300 in tutta Italia) iscritte alla federazione, attende il riconoscimento dopo il documento del 2010 in cui la conferenza Stato-Regioni ha evidenziato l'importanza del trattamento anticoagulante e della sorveglianza del rischio, demandando alle organizzazioni territoriali l'istituzione di una vera e propria rete. "I centri trombosi come il nostro sono infatti strutture ospedaliere ma con un braccio o una gamba verso il territorio" ha argomentato la dottoressa Erba che non ha però mancato di sottolineare come "dal 2010 non è successo nulla", citando poi il tavolo tecnico aperto nel settembre 2014 da Regione Lombardia per fotografare quantomeno la situazione e tracciare poi un percorso in linea con i dettami della Riforma del sistema sociosanitario approvata solo il mese scorso.
"Sono previste delle Aziende, le Asst, che uniscono il ruolo ospedaliero al ruolo territoriale" ha spiegato sinteticamente il medico alla sua platea, non particolarmente nutrita e composta prevalentemente da pazienti dal capello brizzolato. "Si parla dunque di presidi ospedalieri territoriali in collegamento funzionale con le unità complesse di cure primarie, cioè le aggregazioni di medici di medicina generale. Noi abbiamo già compiuto tale integrazione" ha poi affermato, ricordando come il centro ospedaliero abbia saputo coinvolgere - in maniera coordinata - i distretti e i medici di famiglia. I primi per arrivare quantomeno al decentramento dei prelievi (il 22% dei quali viene effettuato addirittura a domicilio) e i secondi per "esternalizzare" la sorveglianza.
La dottoressa Nicoletta Erba
Si è così superato quota mille utenti (tanti ma ancora pochi rispetto al totale) seguiti direttamente dal proprio medico il quale, indubbiamente, "conosce sicuramente meglio la storia clinica di ogni paziente, specialmente di quelli più critici" ha proseguito la professionista rimarcando come delegare ai colleghi di base il dosaggio della terapia per i loro "clienti" abbia permesso di mantenere una qualità ottimale del servizio, raggiungendo livelli molto buoni. Per il futuro - ormai prossimo - "dovremo consolidare il modello in rete con i medici di famiglia ma dobbiamo essere noi a governare questo processo per mantenere gli standard che abbiamo". In altre parole "decentralizzare sì ma garantendo qualità" per evitare di fare la fine di una realtà non troppo lontana dalla nostra che da un giorno all'altro si è trovata a scaricare i propri utenti sui medici di base, di punto in bianco. "Occorre fare in modo che ciò che facciamo con alcuni si allarghi a tutti i colleghi. Dobbiamo però fornire loro competenze o che si organizzino tra di loro per passaggi di saperi".
Il tutto mentre anche il panorama terapeutico si sta modificando con l'introduzione dei nuovi farmaci anticoagulanti, che non richiedono prelievi periodi per il dosaggio, ma che chiaramente al momento vanno comunque "controllati". E l'associazione? "Deve capire dove è ora il paziente. Deve aiutare a mettere da parte la visione ospedalocentrica per capire che è sul territorio. Deve dunque rivedere i propri interlocutori: non solo l'ospedale ma anche le strutture territoriali".
A. M.