IL VOLTO DEL BUROCRATE SAGGIO, GIUSTO E GENTILE

La dottoressa Letizia Rao
Questa è una di quelle piccole e belle storie che avrei voluto scrivere più spesso perché riconciliano con la vita. E' ottobre 2014 o giù di lì. Squilla il telefono nella mia casetta in Sicilia. E' una signora che ha lavorato per me, italiana, ma di nazionalità albanese. E' disperata e mi chiede consiglio. Il racconto è breve, sa di ansia e paura. Sono, le sue, parole pronunciate con dolore, di quelle che fanno male nel momento stesso che le pronunci. Devo interromperla e chiederle di ripetere. La storia. I suoi genitori sono in Italia dall'inizio degli anni '90. Il padre è diabetico, la madre fa qualche lavoro occasionale. Vive di voucher. Vivono a Merate in un piccolo appartamento, ma sono in ritardo con i pagamenti del canone di locazione e delle spese. L'aiuto arriva da tre figli che vivono nell'hinterland meratese  e sono bene inseriti nella società italiana. Hanno famiglia e lavoro. Lo sfratto per morosità però è sempre in agguato. Tre anni fa si decide di chiedere l'assegnazione di un alloggio Aler. Inizia l'iter della modulistica, dei certificati. Si tratta di ottenere un buon punteggio per entrare in classifica. La pratica è a nome del padre, ultrasessantenne e invalido. Questo uomo assieme ai pregi ha un difetto: pur giunto in Italia si è sempre rifiutato di apprendere bene la lingua italiana. Capisce i termini più comuni, ma la parla poco e male. Allora è la figlia che s'incarica di seguire la pratica. E' lei che ha i contatti con l'Ufficio del Comune di Merate che si occupa dell'assistenza agli adulti in difficoltà o a rischio di emarginazione. La graduatoria finale del Bando 12, pubblicata nell'aprile 2014, vede l'anziano albanese  all'undicesimo posto della lista di attesa. Bisogna solo che si renda disponibile l'alloggio e stipulare il contratto. Accade però che il Comune di Merate lo convoca con urgenza perché c'è ancora un ultimissimo documento da firmare. Ci dovrebbe andare con la figlia, ma quest'ultima è al lavoro e l'impiegato comunale insiste per l'urgenza. Xhevdet - questo è il suo nome - ci va, intimorito come tutti gli anziani che non sanno nulla del fascino perverso della burocrazia. E' a questo punto, mi racconta al telefono Angela - la figlia - che accade l'imprevedibile. L'impiegato è gentile, spiega  che si tratta di autocertificare la  personale situazione reddituale in base alla quale L'Aler quantificherà il canone mensile di locazione. L'impiegato non immagina che l'anziano albanese poco comprende della lingua e lui si vergona e non glielo dice. Alla domanda se ha un reddito risponde di non averlo e firma. E non dice il vero perché un " reddito" ce l'ha. E' un assegno mensile di invalidità che l'Inps gli eroga nella misura di 280 euro. Non è un reddito nel senso vero della parola, ma un'indennità per incapacità lavorativa che il modello che ha firmato chiedeva fosse comunque  indicato. In quell'ufficio, quella mattina, il burocrate e il cittadino non si capiscono. L'anziano se ne va tranquillizzato. Non immagina  che il risultato di quella incomprensione - che l'Aler impiega un attimo ad accertare - lo fa decadere dal beneficio dell'alloggio con obbligo di denuncia  penale. Ma perché, chiedo ad Angela, telefoni a me? Perché, mi risponde, il Comune mi ha convocato per dirmi di dire a mio padre che è stato cancellato dalla graduatoria e che deve ricominciare tutto daccapo. Nel frattempo ha ricevuto lo sfratto esecutivo e a giorni arriva l'ufficiale giudiziario. Che devo fare? Mi dia un consiglio.

Che consiglio dare? Uno solo. Dico ad Angela di andare dall'assistente sociale, di ricordarle che è sempre stata lei ad occuparsi della pratica perché il genitore capisce poco e parla male l'italiano e che quella mattina una minore fretta avrebbe evitato il devastante equivoco. Le dico anche di non attendersi un riscontro positivo. Difficile che un impiegato pubblico riconosca di avere contribuito, sia pure in perfetta buona fede, alla formazione di un falso. La firma è sempre personale, come il reato. Se uno non capisce lo dice e non firma. Ma qualcosa di rassicurante deve averlo detto l'impiegato per indurre l'anziano a firmare all'istante. Solo loro due sanno che cosa si sono detti e che cosa hanno vicendevolmente capito. Ci deve essere un rimedio. Non si può ricominciare daccapo quando si è tagliato il traguardo. Si tratta di un piccolo alloggio popolare dove andranno a passare gli anni della vecchiaia una coppia di sposi economicamente disagiati. Ci deve essere un rimedio. Dico ad Angela, se le viene detto che non c'è, di dire all'assistente sociale che si rivolgerà alla stampa e a un legale.

Ma non ce n'è bisogno. L'impatto immediato non è dei migliori. Si respira aria di reciproca diffidenza. Poi le due donne s'intendono. L'assistente sociale è la dottoressa Maria Letizia Rao che riconosce Angela, ascolta senza pregiudizio, verifica senza indugio, si rende conto del problema linguistico che è alla base del pasticcio e promette due interventi: quello verso l'Aler perché l'Istituto abbia consapevolezza che non d'imbroglio si è trattato, ma di  spiegabile disguido e quello verso l'Ufficiale Giudiziario del Tribunale civile di Lecco perché proroghi lo sfratto dall'appartamento in cui i due anziani vivono. Non garantisce il buon senso dell'Aler, ma assicura il suo impegno personale.

Era l'ottobre 2014. Il 25 febbraio 2015 l'Aler assegna a Xhevdet l'alloggio in via Sant'Ambrogio. Il Comune di Merate per il tramite di un proprio funzionario dirigente si è fatto carico del futuro di due anziani disorientati e ne ha rasserenato l'orizzonte. Poteva finire male perché la burocrazia sa come giustificare i propri errori, ma non esita a sanzionare quelli degli altri. Solo dovere? Qualcosa di più. Giustizia.

Questa piccola e bella storia che vi ho raccontato ha dimostrato il contrario. Merito di un burocrate, saggio, giusto e gentile di cui la citta di Merate e la sua amministrazione possono andare fieri. Che sia donna, come uomo, mi secca un pò. Preciso: non è rimprovero, è invidia.
Alberico Fumagalli
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