La Merate che non c'è più/38: Giovanni Ripamonti il sarto dei nobili. Completi e cappotti su misura, grembiuli ricamati
L'origine di questa bottega di sartoria risale ai primi trent'anni del Novecento e se ne ha traccia ormai solamente nei ricordi dei più anziani. Non ci sono fotografie del negozio, che a quei tempi non erano in voga, né carte intestate o attrezzi del mestiere visto che l'ultimo anno di attività in paese fu il 1936.
Ma per chi a quei tempi c'era Giovanni Ripamonti era un sarto d'élite, uno di quelli che a occhio erano in grado di "prenderti le misure", realizzarti a pennello il vestito e fare delle cuciture di pregio.
Membro di una famiglia numerosa (due sorelle e sei fratelli), Giovanni aveva preso in moglie Irma una signora veneziana e si era poi stabilito con il laboratorio nella frazione di Novate, al pian terreno della cascina denominata "ul castel" in Via Vittorio Veneto.
L'ingresso era composto da una porta in legno che ne precedeva un'altra con un vetro smerigliato. Il laboratorio fatto da un locale con un grande tavolo sul quale si appoggiavano le stoffe da tagliare, poi c'erano un manichino utilizzato per le prove e infine gli appendiabiti alle pareti e un armadio. Sul retro la cucina e ai piani superiori le stanze. Giovanni aveva imparato il mestiere dal "sartin" di Merate, che si trovava vicino al negozio di Gigia Palonca la fruttivendola di Via Sant'Ambrogio. Nel suo negozio il lavoro era incalzante e come aiuto aveva un garzone di Imbersago e una ragazza che lo aiutava a "sorfilare" (punto a zig zag) e a stirare.
Le cuciture dei pantaloni si facevano rigorosamente a mano e quindi i tempi per la realizzazione dei capi si allungavano.
C'erano completi interi giacca e pantaloni con tanto di gilet, cappotti, camicie realizzati a partire da stoffe acquistate in base ai gusti del cliente o dal committente stesso. Giovanni eseguiva anche le riparazioni e i rammendi e per le donne confezionava dei graziosi grembiuli con ricami.
Nel 1936 la sorella maggiore decise di seguire il nuovo marito, una volta rimasta vedova, alle "dipendenze" come sacrestano di un sacerdote destinato a Luino. Giovanni, che fino a quel momento era stato il sarto di lusso dei signori meratesi, iniziava a subire il peso dei vestiti già pronti che si andavano diffondendo e decise così di cambiare "piazza". A Luino si specializzò nella realizzazione di divise per i militari e per la guardia di finanza. Poi arrivò la pensione e la fine definitiva della sua arte, che non fu tramandata ad alcuno.
Ma per chi a quei tempi c'era Giovanni Ripamonti era un sarto d'élite, uno di quelli che a occhio erano in grado di "prenderti le misure", realizzarti a pennello il vestito e fare delle cuciture di pregio.
Da sinistra Teresa (residente in curt della volp), Giulia (Cernusco), Carolina (Luino), Giovanni (in prima fila nella foto),
Giacomo (residente al castel de Nua), Ida (residente al castel de Nua), Angioletta (Luino), Maria (Luino)
Giacomo (residente al castel de Nua), Ida (residente al castel de Nua), Angioletta (Luino), Maria (Luino)
Membro di una famiglia numerosa (due sorelle e sei fratelli), Giovanni aveva preso in moglie Irma una signora veneziana e si era poi stabilito con il laboratorio nella frazione di Novate, al pian terreno della cascina denominata "ul castel" in Via Vittorio Veneto.
L'ingresso era composto da una porta in legno che ne precedeva un'altra con un vetro smerigliato. Il laboratorio fatto da un locale con un grande tavolo sul quale si appoggiavano le stoffe da tagliare, poi c'erano un manichino utilizzato per le prove e infine gli appendiabiti alle pareti e un armadio. Sul retro la cucina e ai piani superiori le stanze. Giovanni aveva imparato il mestiere dal "sartin" di Merate, che si trovava vicino al negozio di Gigia Palonca la fruttivendola di Via Sant'Ambrogio. Nel suo negozio il lavoro era incalzante e come aiuto aveva un garzone di Imbersago e una ragazza che lo aiutava a "sorfilare" (punto a zig zag) e a stirare.
La cascina come si presenta oggi e dove, nel tondo, un tempo c'era la porta di ingresso al laboratorio
Le cuciture dei pantaloni si facevano rigorosamente a mano e quindi i tempi per la realizzazione dei capi si allungavano.
C'erano completi interi giacca e pantaloni con tanto di gilet, cappotti, camicie realizzati a partire da stoffe acquistate in base ai gusti del cliente o dal committente stesso. Giovanni eseguiva anche le riparazioni e i rammendi e per le donne confezionava dei graziosi grembiuli con ricami.
Nel 1936 la sorella maggiore decise di seguire il nuovo marito, una volta rimasta vedova, alle "dipendenze" come sacrestano di un sacerdote destinato a Luino. Giovanni, che fino a quel momento era stato il sarto di lusso dei signori meratesi, iniziava a subire il peso dei vestiti già pronti che si andavano diffondendo e decise così di cambiare "piazza". A Luino si specializzò nella realizzazione di divise per i militari e per la guardia di finanza. Poi arrivò la pensione e la fine definitiva della sua arte, che non fu tramandata ad alcuno.
Saba Viscardi