La Merate che non c'è più/29: dal 1908 ''Mandelli ul calzular''. Lesna, sumenzin, colla e pesa erano gli strumenti da lavoro
Il calzolaio. Quel mestiere che pareva dimenticato e che oggi, stante la crisi e anche una certa moda vintage, pare essere tornato in auge o comunque apprezzato. Ci vogliono passione, manualità, abilità nel giostrare coltelli e tagliare pezzi di cuoio e poi tanta, tanta pazienza.
A Merate maestro di quest'arte era Enrico Mandelli che poi passò la bottega al nipote Luciano Passoni (saltando una generazione, ndr) e infine al figlio di quest'ultimo, Marco, tuttora in attività in Via Manzoni. Ma per tutti, nonostante il cambio di cognome, si tratta sempre del "Mandel, ul calzular".
La prima bottega fu aperta, presumibilmente, nel 1908 da Enrico (1977-1953) in Piazza Prinetti, dove si trova attualmente il negozio di ottica. Si trattava di un locale unico, con un bancone in legno a dividere tra l'area dei clienti e il calzolaio che riceveva la merce sul tavolo, la esaminava e poi la faceva passare sotto le sue abili mani. Ai lati cassettiere dove si trovavano stringhe, chiodini, colle, pezzi di cuoio o di tela utilizzati per i rammendi delle scarpe e delle suole.
L'afflusso di clienti era notevole. Le scarpe non si cambiavano, tranne quando la lunghezza lo imponeva. Si consumavano e poi si portavano dal calzolaio a far risuolare.
La scarpa veniva appoggiata su una specie di piccolo "treppiede" dove, in base all'intervento, l'artigiano la adagiava (tacco, punta, interno) e la lavorava. Tra gli strumenti utilizzati c'era un affilatissimo coltello che tagliava e rifiniva il bordo della nuova suola.
La stessa suola veniva incollata dopo che, con la "lesna", si facevano i buchi a corona della scarpa entro i quali prima si metteva lo spago (generalmente preparato dal garzone che lo "spalmava" con la "pesa", una sorta di cera, che lo rendeva più scorrevole e resistente), infilandolo con la setola, infine con i "sumenzin" (i chiodini) si fissava la nuova suola al fondo della scarpa.
Per dare colore e per chiudere bene i forellini si metteva poi una specie di lacca che veniva scaldata e spalmata sulla scarpa.
Ma Mandelli non era solo una bottega di riparazione al minuto. Per quei tempi era anche una sorta di "grossista" che faceva da rifornimento per gli altri negozi del territorio. Con l'amico Giuseppe Ravanelli, che gli faceva da "autista", a bordo di una Fiat 509 chiudeva il negozio e poi partiva carico di pezzi di cuoio che portava dai vari clienti che, a loro volta, lo utilizzavano poi per le riparazioni e che, avendo minori possibilità di spostamento, si affidavano a lui per i rifornimenti.
La tradizione si è portata avanti, da nonno a nipote e poi di padre in figlio.
A seguito del rinnovo dello stabile nel 1989 il negozio si trasferisce da Piazza Prinetti in Via Manzoni, dove si trova attualmente con la medesima strutturazione interna: un banco da lavoro e poi tanti cassetti in legno e l'immancabile odore di cuoio e colle.
Continua/29
Se qualcuno avesse del materiale (fotografie, ricordi, ritagli di giornale) per una "puntata" del nostro viaggio può chiamare il numero 328.30.58.341 e aiutarci così a ricostruire la mappa commerciale della "Merate che non c'è più".
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A Merate maestro di quest'arte era Enrico Mandelli che poi passò la bottega al nipote Luciano Passoni (saltando una generazione, ndr) e infine al figlio di quest'ultimo, Marco, tuttora in attività in Via Manzoni. Ma per tutti, nonostante il cambio di cognome, si tratta sempre del "Mandel, ul calzular".
Enrico Mandelli
La prima bottega fu aperta, presumibilmente, nel 1908 da Enrico (1977-1953) in Piazza Prinetti, dove si trova attualmente il negozio di ottica. Si trattava di un locale unico, con un bancone in legno a dividere tra l'area dei clienti e il calzolaio che riceveva la merce sul tavolo, la esaminava e poi la faceva passare sotto le sue abili mani. Ai lati cassettiere dove si trovavano stringhe, chiodini, colle, pezzi di cuoio o di tela utilizzati per i rammendi delle scarpe e delle suole.
L'afflusso di clienti era notevole. Le scarpe non si cambiavano, tranne quando la lunghezza lo imponeva. Si consumavano e poi si portavano dal calzolaio a far risuolare.
La scarpa veniva appoggiata su una specie di piccolo "treppiede" dove, in base all'intervento, l'artigiano la adagiava (tacco, punta, interno) e la lavorava. Tra gli strumenti utilizzati c'era un affilatissimo coltello che tagliava e rifiniva il bordo della nuova suola.
La lesna
La stessa suola veniva incollata dopo che, con la "lesna", si facevano i buchi a corona della scarpa entro i quali prima si metteva lo spago (generalmente preparato dal garzone che lo "spalmava" con la "pesa", una sorta di cera, che lo rendeva più scorrevole e resistente), infilandolo con la setola, infine con i "sumenzin" (i chiodini) si fissava la nuova suola al fondo della scarpa.
I sumenzin
Per dare colore e per chiudere bene i forellini si metteva poi una specie di lacca che veniva scaldata e spalmata sulla scarpa.
Ma Mandelli non era solo una bottega di riparazione al minuto. Per quei tempi era anche una sorta di "grossista" che faceva da rifornimento per gli altri negozi del territorio. Con l'amico Giuseppe Ravanelli, che gli faceva da "autista", a bordo di una Fiat 509 chiudeva il negozio e poi partiva carico di pezzi di cuoio che portava dai vari clienti che, a loro volta, lo utilizzavano poi per le riparazioni e che, avendo minori possibilità di spostamento, si affidavano a lui per i rifornimenti.
Da sinistra Arturo Gerosa, Ambrogio Viscardi e Luciano Passoni
La tradizione si è portata avanti, da nonno a nipote e poi di padre in figlio.
A seguito del rinnovo dello stabile nel 1989 il negozio si trasferisce da Piazza Prinetti in Via Manzoni, dove si trova attualmente con la medesima strutturazione interna: un banco da lavoro e poi tanti cassetti in legno e l'immancabile odore di cuoio e colle.
Continua/29
Se qualcuno avesse del materiale (fotografie, ricordi, ritagli di giornale) per una "puntata" del nostro viaggio può chiamare il numero 328.30.58.341 e aiutarci così a ricostruire la mappa commerciale della "Merate che non c'è più".
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Saba Viscardi