La Merate che non c’è più/11: in Via Trento il panificio della sciura Bianca e di Paolo, rifornimento per il commando tedesco
In un botteghino di pochi metri quadrati all'imbocco di Via Trento c'era una rinomata rivendita di pane, che riforniva tutto il centro città, e dove era possibile acquistare anche generi alimentari sciolti.
Era il panificio di Paolo Perego che lo gestiva con la moglie Mariuccia, la suocera Bianca (per tutti la "sciura Bianca") e una aiutante, la signora Vittoria Mandelli (che oggi a oltre novant'anni replica l'attività nel negozio del nipote a Calco).
Ed è proprio lei a ricordare quella bottega dove l'odore e il sapore del pane si attaccavano ai vestiti, alla pelle e si usciva con quella fragranza naturale e inebriante che la michetta diventava il miglior alimento.
Il negozio si affacciava sulla stretta via, all'interno c'era un bancone e alle spalle le ceste di vimini dove veniva rovesciato il pane appena cotto. Nel retro c'era il forno con il magazzino e poi la cucina la sala dove il proprietario con la sua famiglia spesso ci viveva visto che il lavoro gli occupava buona parte del suo tempo.
Oltre al pane si vendevano generi alimentari sciolti, come il caffè, il riso, lo zucchero, la pasta. Il cliente entrava e poi in una specie di sacchetto veniva riversato il contenuto della merce, a seconda delle richieste. Non c'erano scatole già preconfezionate, al momento si stabiliva il "pacchetto". C'era chi pagava in contanti ma la maggior parte della gente, contadini che ricevevano il salario alla fine del mese, aveva un libretto dove venivano annotati gli acquisti e si pagava in un'unica tranche a periodi stabiliti.
Non c'erano giorni festivi, a parte Santo Stefano e Sant'Antonio del maiale, protettore dei prestinai che consentiva di lavorare fino a mezzogiorno per poi "santificare" il giorno.
All'alba il forno iniziava a scaldarsi e dalle 7 era possibile varcare la soglia e fare gli acquisti. "Impastavamo tutto a mano" ha ricordato la signora Vittoria "di macchine ce n'erano poche e così il lavoro era molto duro ma bello. C'era lo stampo per le michette ma la maggior parte del pane era lavorato a mano. Il forno andava continuamente. Mi ricordo che un inverno mancava la legna, si era in tempo di guerra, e così per far partire il fuoco Stefano (Galbusera, che per un certo periodo aveva fatto il garzone prima di aprire poi a Calco, ndr) aveva rotto il portone e ne aveva utilizzato le assi. Per tutti il periodo della permanenza dei tedeschi alla Villa Sala, in Viale Lombardia, eravamo stati scelti per rifornirli di pane e così io tutti i giorni caricavo sulla bicicletta diversi chili di pane, nella cesta, arrivavo al cancello, e con la testa bassa, dicendo solo buongiorno/buonasera, glieli consegnavo. Avevo una paura terribile: non fiatavo nemmeno, allungavo il pane e poi me ne andavo di fretta".
Tra i clienti del panificio c'erano anche i signori delle ville che arrivavano in centro in calesse e poi caricavano le sporte con il pane.
Il forno era rifornito dai mugnai che con i cavalli portavano la farina nei sacchi di juta da un quintale "Facevano il buco nel sacco con la testa, se lo caricavano fin su e poi camminavano senza fermarsi fino alla rivendita".
Tra gli strumenti del mestiere c'era il tazzone di rame: una grossa pentola dove veniva buttato il sale grosso che veniva pestato e poi utilizzato per insaporire la farina.
Negli anni Settanta, senza eredi che volessero continuare nell'attività, la famiglia Perego decise di chiudere. Vittoria si trasferì a Calco nell'attività di famiglia e in quell'angolo di Merate è rimasto, per i più anziani, solo il ricordo di questa bottega. Nemmeno più la fragranza del pane.
11/continua
Se qualcuno avesse del materiale (fotografie, ricordi, ritagli di giornale) per una "puntata" del nostro viaggio può chiamare il numero 328.30.58.341 e aiutarci così a ricostruire la mappa commerciale della Merate che non c'è più
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Era il panificio di Paolo Perego che lo gestiva con la moglie Mariuccia, la suocera Bianca (per tutti la "sciura Bianca") e una aiutante, la signora Vittoria Mandelli (che oggi a oltre novant'anni replica l'attività nel negozio del nipote a Calco).
Ed è proprio lei a ricordare quella bottega dove l'odore e il sapore del pane si attaccavano ai vestiti, alla pelle e si usciva con quella fragranza naturale e inebriante che la michetta diventava il miglior alimento.
Paolo Perego, il titolare
Il negozio si affacciava sulla stretta via, all'interno c'era un bancone e alle spalle le ceste di vimini dove veniva rovesciato il pane appena cotto. Nel retro c'era il forno con il magazzino e poi la cucina la sala dove il proprietario con la sua famiglia spesso ci viveva visto che il lavoro gli occupava buona parte del suo tempo.
Oltre al pane si vendevano generi alimentari sciolti, come il caffè, il riso, lo zucchero, la pasta. Il cliente entrava e poi in una specie di sacchetto veniva riversato il contenuto della merce, a seconda delle richieste. Non c'erano scatole già preconfezionate, al momento si stabiliva il "pacchetto". C'era chi pagava in contanti ma la maggior parte della gente, contadini che ricevevano il salario alla fine del mese, aveva un libretto dove venivano annotati gli acquisti e si pagava in un'unica tranche a periodi stabiliti.
Il negozio in Via Trento
Non c'erano giorni festivi, a parte Santo Stefano e Sant'Antonio del maiale, protettore dei prestinai che consentiva di lavorare fino a mezzogiorno per poi "santificare" il giorno.
All'alba il forno iniziava a scaldarsi e dalle 7 era possibile varcare la soglia e fare gli acquisti. "Impastavamo tutto a mano" ha ricordato la signora Vittoria "di macchine ce n'erano poche e così il lavoro era molto duro ma bello. C'era lo stampo per le michette ma la maggior parte del pane era lavorato a mano. Il forno andava continuamente. Mi ricordo che un inverno mancava la legna, si era in tempo di guerra, e così per far partire il fuoco Stefano (Galbusera, che per un certo periodo aveva fatto il garzone prima di aprire poi a Calco, ndr) aveva rotto il portone e ne aveva utilizzato le assi. Per tutti il periodo della permanenza dei tedeschi alla Villa Sala, in Viale Lombardia, eravamo stati scelti per rifornirli di pane e così io tutti i giorni caricavo sulla bicicletta diversi chili di pane, nella cesta, arrivavo al cancello, e con la testa bassa, dicendo solo buongiorno/buonasera, glieli consegnavo. Avevo una paura terribile: non fiatavo nemmeno, allungavo il pane e poi me ne andavo di fretta".
Tra i clienti del panificio c'erano anche i signori delle ville che arrivavano in centro in calesse e poi caricavano le sporte con il pane.
Il forno era rifornito dai mugnai che con i cavalli portavano la farina nei sacchi di juta da un quintale "Facevano il buco nel sacco con la testa, se lo caricavano fin su e poi camminavano senza fermarsi fino alla rivendita".
Il tazzone per polverizzare il sale
Tra gli strumenti del mestiere c'era il tazzone di rame: una grossa pentola dove veniva buttato il sale grosso che veniva pestato e poi utilizzato per insaporire la farina.
Negli anni Settanta, senza eredi che volessero continuare nell'attività, la famiglia Perego decise di chiudere. Vittoria si trasferì a Calco nell'attività di famiglia e in quell'angolo di Merate è rimasto, per i più anziani, solo il ricordo di questa bottega. Nemmeno più la fragranza del pane.
11/continua
Se qualcuno avesse del materiale (fotografie, ricordi, ritagli di giornale) per una "puntata" del nostro viaggio può chiamare il numero 328.30.58.341 e aiutarci così a ricostruire la mappa commerciale della Merate che non c'è più
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Saba Viscardi