Alessandro Ghislandi
Al momento non sono molti i donatori di sangue lecchesi che hanno chiesto informazioni in merito, ma per gli avisini prossimi alla pensione ci potrebbe essere una brutta sorpresa nel momento in cui dovranno “fare i conti”, è proprio il casi di dirlo, con le giornate di lavoro dedicate a effettuare le donazioni di sangue o plasma. La riforma Fornero ha infatti escluso diverse prestazioni assimilate al lavoro effettivo (come le assenze per l’assistenza ad un familiare con handicap grave, i congedi parentali, alcune invalidità e, appunto, i permessi per donare il sangue) per la corresponsione della pensione, il che significa che le giornate trascorse in ospedale non saranno più conteggiate come retribuite ma andranno recuperate, pena una riduzione dell’assegno previdenziale. Sul tema istituzioni e associazioni si stanno muovendo da diverse settimane, e nella giornata di martedì 8 ottobre in consiglio regionale è stata approvata una mozione volta a ripristinare una serie di diritti pensionistici azzerati dal Ministro Fornero. La sezione Avis di Merate, che raggruppa i donatori dei comuni dell’area che fa capo all’ospedale Mandic per la donazione, sta valutando la redazione di un documento che spieghi ai donatori l’evoluzione della questione.
“Qualcuno ci ha chiesto informazioni” ha spiegato il presidente Avis Merate Alessandro Ghislandi
“ma per la maggior parte dei donatori il problema non è recepito, poiché riguarda coloro che vanno in pensione e, allo stato attuale, non si vedrà riconosciute le giornate in cui si è assentato dal lavoro per donare il sangue. Al momento l’azienda ospedaliera rilascia l’attestato di avvenuta donazione come prima, ma sarà con l’azienda il problema quando si dovranno valutare i contributi per la pensione”.Il centro trasfusionale in ospedale
Il contatto tra le diverse sedi Avis e il direttivo nazionale è costante, e l’associazione ha chiesto alle Istituzioni di intervenire in tempi rapidi per porre fine a una grave situazione che, penalizzando i donatori dal punto di vista pensionistico, non ne riconosce il grande valore sociale e umano. La questione riguarda centinaia di donatori anche nel meratese, dove l’Avis conta circa 2200 iscritti.
“Non sappiamo con esattezza quanti dei nostri donatori potrebbero essere coinvolti, cioè principalmente i lavoratori dipendenti” ha spiegato Ghislandi.
“Non possediamo informazioni precise sulle singole situazioni lavorative, e in un mercato del lavoro come quello attuale la situazione è molto variabile. Seguiamo con attenzione l’evolversi della questione, è probabile che predisporremo una informativa specifica da fornire ai donatori”. Il provvedimento governativo potrebbe determinare in alcuni di loro la rinuncia alla donazione di sangue. L’Italia in realtà rappresenta una anomalia da questo punto di vista, mentre in altri Paesi europei non è prevista una giornata lavorativa retribuita per chi dona.
“Qualche donatore ha chiesto informazioni al centro di Lecco, ma non molti” ha spiegato il dottor Daniele Prati, direttore della struttura di Medicina trasfusionale lecchese.
“Una soluzione potrebbe essere quella di ripensare gli orari in cui è possibile effettuare il servizio, questa normativa ha scosso l’opinione pubblica perché in un periodo già difficile si va a colpire una atto di donazione volontaria in aiuto al prossimo”. Il rischio di una rinuncia alla donazione a causa del provvedimento potrebbe essere scongiurato offrendo ai donatori opportunità diverse.
“In molti Paesi europei i lavoratori dipendenti si assentano solo alcune ore per la donazione, che è una procedura che non rende inabili al lavoro” ha spiegato il dirigente medico Alessandro Gerosa.
“Con possibilità orarie diversificate il rischio di rinuncia potrebbe essere evitato”. Le istituzioni a livello nazionale e locale sono state chiamate a rivedere il provvedimento, per far sì che l’atto volontario del dono non influisca negativamente sulla propria pensione.