Giovani Democratici: l’intero centrosinistra “riparta” dal 25 aprile
Le giornate per l’elezione del Presidente della Repubblica, solitamente uno dei momenti più alti e importanti della vita democratica del nostro Paese, sono state segnate dalla rabbia e dalla delusione provate da molti giovani italiani e soprattutto dai giovani di centrosinistra, che hanno visto fallire e frantumarsi il loro principale partito di riferimento, il Partito Democratico.
La delusione è iniziata mercoledì 17 quando il Segretario Pierluigi Bersani ha presentato all’assemblea dei “grandi elettori” e a tutto il popolo di centrosinistra la candidatura di Franco Marini, indicandolo come il nome condiviso con le forze parlamentari di centro e di centrodestra. Peccato che quello di Marini fosse un nome tutt’altro che condiviso all’interno del nostro schieramento.
Allo stupore è ben presto seguito un forte dissenso manifestato dagli stessi “grandi elettori”, i quali in un’assemblea molto tesa ed agitata hanno dichiarato apertamente di essere contrari alla candidatura di Marini, non per le qualità e le capacità della persona rispettabilissima (ex Presidente del Senato e tra i fondatori del PD), bensì per il metodo perseguito dal gruppo dirigente e per la linea politica che il nome implicava. Tre o quattro persone “davanti ad un caminetto” hanno deciso alcuni nomi e li hanno poi presentati al centrodestra affinché scegliesse fra questi, senza che su tale “rosa di nomi” vi fosse stata alcuna verifica di condivisione e apprezzamento da parte del nostro schieramento. Non bastasse il dissenso e il segnale degli stessi grandi elettori, di cui in quella assemblea una gran parte è uscita, si è astenuta o ha votato contro la candidatura presentata, da quel momento la base di iscritti, militanti ed elettori del PD ha iniziato a farsi sentire nelle piazze e nelle sedi del PD, alcune delle quali sono state anche simbolicamente occupate. In molte parti d’Italia i Giovani Democratici sono stati protagonisti di queste azioni, per mandare il segnale che il Partito non è fatto dai dirigenti, dai loro tatticismi o dai loro accordi sottobanco, ma da tutto il suo popolo, dalla base, dai giovani militanti.
Alla prima votazione si è corso paradossalmente il “rischio” che un Presidente della Repubblica, teoricamente presentato da noi, venisse eletto invece da tutto il centrodestra compatto e da solo una piccola parte del centrosinistra. Insomma, un Presidente condiviso da tutti, fuorché fra di noi. Ciò fortunatamente non è avvenuto perché molti parlamentari, coerentemente con quanto espresso durante l’assemblea del giorno prima, hanno votato “scheda bianca” o Stefano Rodotà, personalità di altissimo livello e certamente di area di centrosinistra (ex Presidente del PDS), sostenuto apertamente da M5S e SeL.
Dal nostro punto di vista è importante sottolineare come molti dei parlamentari che si sono opposti alla candidatura di Marini (ribadiamo ancora una volta, per il metodo che l’ha prodotta) sono giovani, eletti con le primarie, i quali hanno sentito e capito che quella non poteva essere la soluzione, ma che bisognava trovare un nome condiviso in tutto il centrosinistra e apprezzato dalla nostra base. A conferma della scelta infelice della dirigenza del Partito è significativo che anche alcuni esponenti di primo piano fra cui Moretti, Puppato, Civati, oltre agli alleati Vendola e Tabacci, non hanno votato Marini, criticando apertamente sia la scelta che il metodo. Anche i parlamentari lecchesi Gian Mario Fragomeli e Veronica Tentori hanno subito dichiarato di aver votato rispettivamente “scheda bianca” e Stefano Rodotà: scelte di cui siamo stati orgogliosi.
Subito sono apparsi evidenti i problemi all’interno del partito: 1) la profonda spaccatura tra chi preferiva l’accordo (anche di governo?) con il PdL e chi invece lo avrebbe preferito all’opposto con il M5S, tutti consapevoli che questa elezione del Capo dello Stato fosse strettamente legata al futuro governo da far nascere; 2) l’enorme distanza della classe dirigente del partito dalle richieste e dai desideri del suo popolo, che da mesi in ogni sede manifestava tutta la contrarietà ad un accordo con il PdL, e l’incapacità della stessa di interpretare il volere dei parlamentari, anch’essi in gran parte spiazzati e contrari come l’assemblea ha palesato.
Ma la vera spaccatura del Partito e la più grande delusione è venuta poi, secondo noi. Dopo questo mezzo disastro, infatti, l’assemblea degli elettori si era ricompattata e aveva votato all’unanimità di candidare Romano Prodi, forse l’unico nome che poteva davvero mettere d’accordo tutti. Non passano neanche 12 ore che il Fondatore dell’Ulivo, ex Presidente del Consiglio, ex Presidente dell’UE e Inviato dell’ONU in Africa viene bruciato, impallinato nel peggiore dei modi dal suo stesso Partito. Qui lo sdegno e la rabbia di tutto il popolo del centrosinistra sono stati unanimi: più di 100 grandi elettori hanno tradito e per di più in modo vigliacco, perché hanno votato contro dopo esser stati a favore in assemblea la stessa mattina!
Tutto questo si è verificato per uno sporco gioco di correnti, di rivincite personali e di diatribe interne fra una classe dirigente, squallidamente apparsa attaccata a giochi di potere e personalismi, che ha lasciato in secondo piano l’elezione del Presidente della Repubblica e l’unità e la stabilità del Partito. Ancora una volta siamo invece orgogliosi degli Onorevoli Fragomeli e Tentori che hanno convintamente votato per Prodi.
Convergere alla fine sulla rielezione di Giorgio Napolitano era l’unica soluzione possibile dal momento che Stefano Rodotà, candidatura anche da noi apprezzata, non avrebbe mai avuto i voti necessari per essere eletto e perché dopo ciò che era successo nessun altro nome avrebbe riunito il PD ed era impossibile tergiversare ritardando l’elezione del Capo dello Stato. Riteniamo profondamente deludente quanto avvenuto, perché non è accettabile che la politica e l’istituzione parlamentare in cui crediamo non siano stati in grado di indicare una nuova figura con l’autorevolezza del Presidente Napolitano e che al tempo stesso interpretasse e sapesse rappresentare i segnali di necessario cambiamento, inviati dal Paese in ogni occasione possibile.
La frattura nel Partito è emersa con chiarezza così come le enormi responsabilità del suo gruppo dirigente, che prima non ha saputo intercettare le istanze della nostra base e dello stesso Partito, proponendo un metodo ed una candidatura per nulla condivisi, dimostrando di non avere il polso della situazione, e poi, ancora più gravemente, facendo fare una indegna e immeritata figura ad una persona come Romano Prodi, senza capire e controllare assolutamente tutte le logiche di corrente, i tatticismi e i personalismi che si erano scatenati e che stavano portando all’autolesionismo. Le dimissioni del Segretario Bersani, del Presidente Bindi e degli altri membri della Segreteria sono l’ammissione di questo fallimento.
Vorremmo immediatamente i nomi e le dimissioni anche dei famosi “100 traditori” e di chi li ha manovrati per i propri interessi, ma ancora una volta notiamo che purtroppo prevale la viltà.
Queste giornate hanno scritto la pagina forse più brutta della vita del Partito Democratico, per la sua spaccatura, il tradimento di alcuni parlamentari e il fallimento del suo gruppo dirigente. Noi siamo i primi delusi, come giovani amanti della politica e come organizzazione giovanile del PD, e immaginiamo quanti nostri elettori in questo momento possano aver perso fiducia ed essere tentati di guardare verso altri partiti o movimenti.
Come Giovani Democratici ci sentiamo però di ribadire con forza che il PD non è fatto (o quantomeno non solo) dai suoi dirigenti, bensì dai suoi iscritti, dai suoi amministratori locali, dai suoi elettori e dai suoi militanti: da tutti coloro che si riconoscono nei valori e negli ideali fondanti del PD. Questo è stato il senso dell’iniziativa “occupyPD”, portata avanti da tanti GD e non solo, in molte parti d’Italia. Non sono i giovani, con la speranza, la responsabilità e la possibilità concreta di cambiare il Partito a dover abbandonare la nave, ma è invece chi ci ha portato a questo punto a doversi fare da parte. Questo è il momento in cui ripartire con un cambio di rotta netto. Tutta l’attuale classe dirigente deve lasciare spazio alla nuova generazione che ha già dimostrato di essere più compatta e probabilmente molto più vicina alle istanze dei territori, delle federazioni e dell’elettorato.
A coloro i quali hanno fondato il Partito Democratico siamo grati, ma non permetteremo loro di distruggerlo. A tutti i Giovani Democratici e ai giovani tesserati o elettori del PD diciamo che la loro rabbia e la loro delusione sono anche le nostre, ma che questo non è il momento di bruciare le tessere o perdere la speranza, bensì di organizzare le tante forze ed idee positive che abbiamo e dando il nostro fattivo contributo sin dal prossimo congresso.
Giovedì è il 25 Aprile: una Festa che unisce tutto il centrosinistra. Ripartiamo simbolicamente da questa data, dai valori della resistenza e della ricostruzione. Perché lo stesso dobbiamo fare all’interno del nostro Partito, ancora più uniti e determinati, per rinnovare profondamente classe dirigente, metodi e comportamenti: resistere e ricostruire.
La delusione è iniziata mercoledì 17 quando il Segretario Pierluigi Bersani ha presentato all’assemblea dei “grandi elettori” e a tutto il popolo di centrosinistra la candidatura di Franco Marini, indicandolo come il nome condiviso con le forze parlamentari di centro e di centrodestra. Peccato che quello di Marini fosse un nome tutt’altro che condiviso all’interno del nostro schieramento.
Allo stupore è ben presto seguito un forte dissenso manifestato dagli stessi “grandi elettori”, i quali in un’assemblea molto tesa ed agitata hanno dichiarato apertamente di essere contrari alla candidatura di Marini, non per le qualità e le capacità della persona rispettabilissima (ex Presidente del Senato e tra i fondatori del PD), bensì per il metodo perseguito dal gruppo dirigente e per la linea politica che il nome implicava. Tre o quattro persone “davanti ad un caminetto” hanno deciso alcuni nomi e li hanno poi presentati al centrodestra affinché scegliesse fra questi, senza che su tale “rosa di nomi” vi fosse stata alcuna verifica di condivisione e apprezzamento da parte del nostro schieramento. Non bastasse il dissenso e il segnale degli stessi grandi elettori, di cui in quella assemblea una gran parte è uscita, si è astenuta o ha votato contro la candidatura presentata, da quel momento la base di iscritti, militanti ed elettori del PD ha iniziato a farsi sentire nelle piazze e nelle sedi del PD, alcune delle quali sono state anche simbolicamente occupate. In molte parti d’Italia i Giovani Democratici sono stati protagonisti di queste azioni, per mandare il segnale che il Partito non è fatto dai dirigenti, dai loro tatticismi o dai loro accordi sottobanco, ma da tutto il suo popolo, dalla base, dai giovani militanti.
Alla prima votazione si è corso paradossalmente il “rischio” che un Presidente della Repubblica, teoricamente presentato da noi, venisse eletto invece da tutto il centrodestra compatto e da solo una piccola parte del centrosinistra. Insomma, un Presidente condiviso da tutti, fuorché fra di noi. Ciò fortunatamente non è avvenuto perché molti parlamentari, coerentemente con quanto espresso durante l’assemblea del giorno prima, hanno votato “scheda bianca” o Stefano Rodotà, personalità di altissimo livello e certamente di area di centrosinistra (ex Presidente del PDS), sostenuto apertamente da M5S e SeL.
Dal nostro punto di vista è importante sottolineare come molti dei parlamentari che si sono opposti alla candidatura di Marini (ribadiamo ancora una volta, per il metodo che l’ha prodotta) sono giovani, eletti con le primarie, i quali hanno sentito e capito che quella non poteva essere la soluzione, ma che bisognava trovare un nome condiviso in tutto il centrosinistra e apprezzato dalla nostra base. A conferma della scelta infelice della dirigenza del Partito è significativo che anche alcuni esponenti di primo piano fra cui Moretti, Puppato, Civati, oltre agli alleati Vendola e Tabacci, non hanno votato Marini, criticando apertamente sia la scelta che il metodo. Anche i parlamentari lecchesi Gian Mario Fragomeli e Veronica Tentori hanno subito dichiarato di aver votato rispettivamente “scheda bianca” e Stefano Rodotà: scelte di cui siamo stati orgogliosi.
Subito sono apparsi evidenti i problemi all’interno del partito: 1) la profonda spaccatura tra chi preferiva l’accordo (anche di governo?) con il PdL e chi invece lo avrebbe preferito all’opposto con il M5S, tutti consapevoli che questa elezione del Capo dello Stato fosse strettamente legata al futuro governo da far nascere; 2) l’enorme distanza della classe dirigente del partito dalle richieste e dai desideri del suo popolo, che da mesi in ogni sede manifestava tutta la contrarietà ad un accordo con il PdL, e l’incapacità della stessa di interpretare il volere dei parlamentari, anch’essi in gran parte spiazzati e contrari come l’assemblea ha palesato.
Ma la vera spaccatura del Partito e la più grande delusione è venuta poi, secondo noi. Dopo questo mezzo disastro, infatti, l’assemblea degli elettori si era ricompattata e aveva votato all’unanimità di candidare Romano Prodi, forse l’unico nome che poteva davvero mettere d’accordo tutti. Non passano neanche 12 ore che il Fondatore dell’Ulivo, ex Presidente del Consiglio, ex Presidente dell’UE e Inviato dell’ONU in Africa viene bruciato, impallinato nel peggiore dei modi dal suo stesso Partito. Qui lo sdegno e la rabbia di tutto il popolo del centrosinistra sono stati unanimi: più di 100 grandi elettori hanno tradito e per di più in modo vigliacco, perché hanno votato contro dopo esser stati a favore in assemblea la stessa mattina!
Tutto questo si è verificato per uno sporco gioco di correnti, di rivincite personali e di diatribe interne fra una classe dirigente, squallidamente apparsa attaccata a giochi di potere e personalismi, che ha lasciato in secondo piano l’elezione del Presidente della Repubblica e l’unità e la stabilità del Partito. Ancora una volta siamo invece orgogliosi degli Onorevoli Fragomeli e Tentori che hanno convintamente votato per Prodi.
Convergere alla fine sulla rielezione di Giorgio Napolitano era l’unica soluzione possibile dal momento che Stefano Rodotà, candidatura anche da noi apprezzata, non avrebbe mai avuto i voti necessari per essere eletto e perché dopo ciò che era successo nessun altro nome avrebbe riunito il PD ed era impossibile tergiversare ritardando l’elezione del Capo dello Stato. Riteniamo profondamente deludente quanto avvenuto, perché non è accettabile che la politica e l’istituzione parlamentare in cui crediamo non siano stati in grado di indicare una nuova figura con l’autorevolezza del Presidente Napolitano e che al tempo stesso interpretasse e sapesse rappresentare i segnali di necessario cambiamento, inviati dal Paese in ogni occasione possibile.
La frattura nel Partito è emersa con chiarezza così come le enormi responsabilità del suo gruppo dirigente, che prima non ha saputo intercettare le istanze della nostra base e dello stesso Partito, proponendo un metodo ed una candidatura per nulla condivisi, dimostrando di non avere il polso della situazione, e poi, ancora più gravemente, facendo fare una indegna e immeritata figura ad una persona come Romano Prodi, senza capire e controllare assolutamente tutte le logiche di corrente, i tatticismi e i personalismi che si erano scatenati e che stavano portando all’autolesionismo. Le dimissioni del Segretario Bersani, del Presidente Bindi e degli altri membri della Segreteria sono l’ammissione di questo fallimento.
Vorremmo immediatamente i nomi e le dimissioni anche dei famosi “100 traditori” e di chi li ha manovrati per i propri interessi, ma ancora una volta notiamo che purtroppo prevale la viltà.
Queste giornate hanno scritto la pagina forse più brutta della vita del Partito Democratico, per la sua spaccatura, il tradimento di alcuni parlamentari e il fallimento del suo gruppo dirigente. Noi siamo i primi delusi, come giovani amanti della politica e come organizzazione giovanile del PD, e immaginiamo quanti nostri elettori in questo momento possano aver perso fiducia ed essere tentati di guardare verso altri partiti o movimenti.
Come Giovani Democratici ci sentiamo però di ribadire con forza che il PD non è fatto (o quantomeno non solo) dai suoi dirigenti, bensì dai suoi iscritti, dai suoi amministratori locali, dai suoi elettori e dai suoi militanti: da tutti coloro che si riconoscono nei valori e negli ideali fondanti del PD. Questo è stato il senso dell’iniziativa “occupyPD”, portata avanti da tanti GD e non solo, in molte parti d’Italia. Non sono i giovani, con la speranza, la responsabilità e la possibilità concreta di cambiare il Partito a dover abbandonare la nave, ma è invece chi ci ha portato a questo punto a doversi fare da parte. Questo è il momento in cui ripartire con un cambio di rotta netto. Tutta l’attuale classe dirigente deve lasciare spazio alla nuova generazione che ha già dimostrato di essere più compatta e probabilmente molto più vicina alle istanze dei territori, delle federazioni e dell’elettorato.
A coloro i quali hanno fondato il Partito Democratico siamo grati, ma non permetteremo loro di distruggerlo. A tutti i Giovani Democratici e ai giovani tesserati o elettori del PD diciamo che la loro rabbia e la loro delusione sono anche le nostre, ma che questo non è il momento di bruciare le tessere o perdere la speranza, bensì di organizzare le tante forze ed idee positive che abbiamo e dando il nostro fattivo contributo sin dal prossimo congresso.
Giovedì è il 25 Aprile: una Festa che unisce tutto il centrosinistra. Ripartiamo simbolicamente da questa data, dai valori della resistenza e della ricostruzione. Perché lo stesso dobbiamo fare all’interno del nostro Partito, ancora più uniti e determinati, per rinnovare profondamente classe dirigente, metodi e comportamenti: resistere e ricostruire.
Vittorio Gattari – Segretario Circolo GD Lecco
Giacomo Gilardi – Segretario Provinciale GD Lecco
Giacomo Gilardi – Segretario Provinciale GD Lecco