CASO GRECO: RICORSO IN APPELLO CONTRO LE CONDANNE COMASCHE

Si va in secondo grado per il tentato omicidio dell’olginatese rapito da Maurizio Agrati di Airuno

In giugno i giudici comaschi avevano deciso una condanna per oltre 66 anni

Una foto di Franco Greco

Dopo aver letto le motivazioni contenute nella sentenza che ha portato la sera del 27 giugno scorso i Giudici del Tribunale di Como (Presidente Alessandro Bianchi) a condannare al termine di quasi 4 ore di Camera di Consiglio i cinque imputati al processo per il tentato omicidio dell’olginatese Franco Greco (accoltellato a Olgiate Comasco dopo essere stato sequestrato a Valgreghentino forse per una vendetta maturata nel mondo del pentitismo e degli interessi attorno ai videopoker), non ci stanno e annunciano ricorso in Appello. La sentenza è stata depositata ad inizio di questa settimana e il Collegio difensivo ritiene ingiuste le pene decise quella sera: 16 anni per Maurizio Agrati di Airuno, 16 anni per Vincenzo Falbo di Valgreghentino, 18 anni e un mese per Vincenzo Visciglia di Cantù, 13 anni e due mesi per Roberto Valsecchi di Olginate, 3 anni per Nicola Fattobene di Cantù: totale 66 anni e 3 mesi di galera in tutto oltre a due anni di libertà vigilata per tutti, tranne che per Fattobene che però è stato interdetto dai Pubblici Uffici per cinque anni. Tutti sono stati anche condannati a pagare una provvisionale di 50 milioni per il risarcimento danni alla parte civile. Fra coloro che annunciano ricorso al Secondo Grado, l’avvocato Marco Rigamonti di Lecco, difensore di Valsecchi, che già nel suo concione finale aveva cercato di minare il castello accusatorio contestando alcuni passaggi dell’inchiesta e quelle che a suo dire sono state le contraddizioni di Franco Greco. Secondo Rigamonti, ad esempio, non sono veri i contenuti della telefonata giunta al cellulare del ferito alle 15.02 del giorno in cui venne rapito a Valgreghentino nei pressi dell’abitazione di Vincenzo Falbo. Il 43enne pregiudicato lecchese durante la sua deposizione in aula disse, infatti, che in quella chiamata Maurizio Agrati, ritenuto l’ideatore materiale del tentato omicidio, gli abbia detto “abbiamo in mano tuo figlio sappiti regolare”. Tutto in 14 secondi: “Impossibile – sostiene Rigamonti – perché quando è trillato il telefonino non ha risposto direttamente Greco ma, dice lo stesso ferito, uno dei suoi aggressori che gli ha poi passato la comunicazione. Non c’era il tempo materiale per pronunciare quella frase”. L’avvocato lecchese per il suo assistito aveva sollecitato l’assoluzione o in subordine il minimo della pena riconoscendo a Valsecchi un ruolo marginale. Ben diverso fu il parere del pubblico ministeri Massimo Astori secondo cui: “Solo per puro miracolo questo processo non si celebra in Corte d’Assise. Se Greco, pur gravemente ferito, non avesse avuto la forza di risalire l’angusto tombino (largo solo una 60ina di centimetri con all’interno una scaletta a pioli), di alzare il pesante coperchio che chiudeva lo scarico fognario, di percorrere prima 8 metri per raggiungere una stradina sterrata per andare a suonare al campanello della “Boselli” e poi altri 500 metri per giungere fino al punto in cui, stremato, è caduto a terra ed è stato notato da un automobilista di passaggio che lo ha scambiato per ubriaco, di lui oggi non ne avremmo neppure un brindello di traccia”. Con la sentenza letta quella sera, dunque, il Collegio Giudicante aveva riconosciuto che la notte del 13 novembre ’99 Agrati, Falbo, Valsecchi, Visciglia, Fattobene, ognuno per il proprio ruolo: “Volevano uccidere Greco e farne sparire il corpo. E su questo non vi sono dubbi grazie alla oggettiva ricostruzione dei fatti”, come disse proprio Astori al termine della sua requisitoria nell’aprile scorso quando aveva chiesto complessivi 75 anni di reclusione. Ora la parola va ai giudici dell’appello di Milano.
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