Lecco: L’operazione ‘Cappio’ (estorsione e usura) chiusa con la sentenza di condanna di Dalmazio Gilardi a 6 anni e 6 mesi

La prescrizione avrebbe potuto “mandare in fanteria” gran parte del lavoro svolto. Ha invece “salvato” solo due dei sette imputati nell’ultima tranche processuale generata dall’ormai celeberrima “Operazione Cappio”, “attenuando” poi parte delle responsabilità riconosciute dal collegio giudicante presieduto dal dottor Ambrogio Ceron con a latere Mirco Lombardi e Salvatore Catalano a Dalmazio Gilardi, “primo attore” di quella che quest’oggi in aula, nella sua arringa difensiva, Ruggero Panzeri, difensore del benzinaio, ha definito una “commedia all’italiana”. “Personaggio originale con una filosofia di vita legata al denaro”, per descriverlo con le parole scelte sempre dal suo legale, Dalmazio Gilardi, classe 1963, è stato condannato a 6 anni e 6 mesi di reclusione e al pagamento di una multa di 3 mila euro in quanto giudicato colpevole dei reati indicati nei capi d’imputazione 2, 5, 9 e 12 e dunque rispettivamente di estorsione ai danni di Galbiati Andrea, usura ai danni di Molteni Cristina, usura ai danni di Rusconi Roberto e usura aggravata ai danni di Belloli Mario. Dovrà poi pagare ulteriori 800€ di sanzione per  “ingiurie, minacce e percosse” nei confronti della sua ex fidanzata Maria Grazia Rossi (reato per il quale non è stata riconosciuta la sussistenza della continuazione). Sempre alla Rossi, costituitasi parte civile, rappresentata dall’avvocato Nadia Invernizzi, Gilardi dovrà poi versare ulteriori 2.000€ (più il pagamento delle spese legali). Il Tribunale ha inoltre disposto un risarcimento di 30.000€ per Mario Belloli (anch’egli tutelato dall’avvocato Invernizzi) e una provvisionale di 50.000€ a Cristina Molteni (legale Massimo Paradiso) in vista della definizione, in separata sede, di una cifra ritenuta congrua al danno subito. Il benzinaio “cravattaro” è stato poi assolto per l’ipotesi di reato di usura e estorsione nei confronti di Ettore Di Maggio mentre è stato decretato il non doversi procedere in quanto sopraggiunti i termini di prescrizione per gli episodi di usura ai danni di Alberto Vaccani , Walter Longhi e Frigerio Daniele, deceduto nel 2004, alle cui sorelle, costituitesi parte civile, non è stato quindi assegnato alcun risarcimento. Prescritti anche i reati contestati a Emilio Tei e Pietro Corti, entrati nel filone processuale, generato sempre dall’Operazione Cappio, legato alla corruzione di ufficiali giudiziari e all’alterazione delle aste indette dal Tribunale di Lecco. Nello specifico, al primo, era stato contestato il reato di concorso in corruzione di Gennaro Concetto volto a favorire Vincenzo Musolino nell’acquisto di un immobile. Il secondo, divenuto collaboratore di giustizia e per questo tutt’oggi accompagnato presso il Foro lariano dagli agenti di scorta, era invece accusato di corruzione nei confronti dell’ufficiale giudiziario Vincenzo De Nicolo. Quest’ultima ipotesi di reato era infine contestata anche a Giovanna Costadoni, Giuseppe Benedetto Panzeri, Roberto Rusconi e Michele Mamone, tutti condannati quest’oggi a un anno e quattro mesi di reclusione (con pena sospesa per il primi due).

GILARDI E I PERSONAGGI DELLA COMMEDIA ALL’ ITALIANA
Originale la linea difensiva scelta dall’avvocato Ruggero Panzeri nella sua requisitoria seguita al lungo intervento del pm Rosa Valotta che, con precisione, ha ricostruito, capo dopo capo, tutto l’impianto accusatorio. “Non per sminuire una grave posizione di cui il Gilardi si è già assunto le sue responsabilità – ha  esordito il legale – ma mi sembra che ci troviamo dinnanzi a personaggi da commedia all’italiana” ha detto, presentandoli ad uno ad uno. “C’è il taxista che porta al lavoro le prostitute. Il noto commerciante lecchese che dilapida un patrimonio al casinò. L’imprenditore con velleità di presidente di società di calcio”. Chiari i riferimenti a Andrea Galbiati che, secondo l’accusa, per ripianare un debito di 100 milioni di euro contratto con il Gilardi avrebbe addirittura venduto la propria abitazione a Pietro Colombo, altro soggetto verso il quale il taxista aveva un debito; a Alberto Vaccani, panettiere di Lecco “strozzato” dal 2001 al 2002 secondo gli elementi presentati dal pm e a Mario Belloli, titolare di un’impresa di minuterie metalliche, che, secondo il benzinaio avrebbe chiesto un prestito di 30.000€ per saldare alcune cambiali firmate per l’acquisto di una società sportiva ma che, secondo l’accusa e l’avvocato di parte civile Nadia Invernizzi si era servito dell’usuraio per ricevere una “boccata d’ossigeno” per la sua fabbrica, già in una situazione di dissesto economico e che avrebbe ripianato il debito accumulato nei confronti di Gilardi versandogli in 22 mesi addirittura 66.000€, con interessi quindi superiori addirittura al capitale.
Nella commedia proposta dall’avvocato Panzeri troviamo poi: “un soggetto soggiogato da una donna tanto da chiedere in prestito soldi per mantenerla” e uno che “non si è nemmeno presentato oggi in aula nonostante fosse previsto l’accompagnamento coattivo” ovvero, rispettivamente, Daniele Frigerio, (magazziniere lecchese che venne addirittura gonfiato di botte, secondo l’accusa, dal Gilardi per un ritardo nel pagamento e che, morendo, nel 2004, lasciò in sospeso debiti per 1.700€ per stessa ammissione del suo strozzino) e Ettore Di Maggio, ex dipendente della pompa di benzina di Pescate, che, citato come teste in  quanto ipoteticamente parte lesa, ha scelto di non presentarsi in Tribunale. Quest’ultima decisione è stata letta dalla dottoressa Valotta come un “dimostrativo della paura di Di Maggio nei confronti del Gilardi”.
La stessa pm, elencate le ipotesi di reato ascritte al Gilardi (e dunque usura e estorsione ai danni di Galbiati Andrea, Frigerio Daniele, Di Maggio Ettore; usura ai danni di Vaccani Alberto, Molteni Cristina, Rusconi Roberto e Walter Longhi; ingiurie, minacce e percosse nei confronti di Maria Cristina Rossi e usura aggravata ai danni di Belloli Mario), considerato che gran parte dei capi d’imputazione fossero da ritenersi prescritti ha chiesto una condanna a 7 anni di reclusione, 4.000€ di multa e la confisca di quanto in sequestro. A tale richiesta si sono poi aggiunte quelli dei rappresentanti di parte civile. Particolarmente dura, nella sua requisitoria, l’avvocato Nadia Invernizzi per le posizioni Belloli e Rossi che ha bollato come “dichiarazioni tremende e orrende” quelle rese da Gilardi nel corso della sua audizione lo scorso giovedì. “Hanno fatto la bella vita con i miei soldi” la frase “incriminata” così come il tentativo di “giustificare il proprio modus vivendi sulle debolezze altrui”. All’imputato, la dottoressa Invernizzi ha inoltre rimproverato di essere stato “maniacale solo nella descrizione di ciò che gli faceva comodo”, descrizione che, in ogni caso è risultata essere “una confessione bella e buona”.

L’ALTRO FILONE: PADRE PIO, CARAMELLE, FRUTTA E VERDURA PER DE NICOLO

Compare davvero di tutto nell’elenco della “merce” che  Vincenzo De Nicolo, ufficiale giudiziario del Tribunale di Lecco, avrebbe, secondo l’accusa, ricevuto per ritardare il protesto di cambiali da Pietro Corti, Giovanna Costadoni, Giuseppe Benedetto Panzeri, Michele Mamone e Roberto Rusconi, tutti accusati singolarmente di corruzione. Corti, per esempio, quest’oggi in aula, sentito come teste prima della chiusura del dibattimento, ha riferito di telefonini, lavatrici, orologi provento di truffe ma anche frutta e verdura provenienti dal suo banco vendita, in quanto ambulante. L’ultimo “dono”, nel 2003, sempre per posticipare un protesto sarebbe stato un Pryngeps dal valore di 2-3 milioni di vecchie lire. La Costadoni, titolare di un bar, da quanto spiegato dalla dottoressa Valotta, che ne ha però chiesto l’assoluzione, avrebbe invece “messo sul piatto” anche pacchi di caramelle e un quadretto di Padre Pio. Mamone per conto di Rusconi avrebbe invece portato all’ufficiale sigarette, due stecche per la precisione. Per tutti, il pm ha chiesto il non luogo a procedere per l’intervenuta prescrizione. Stessa richiesta anche per Emilio Tei a processo per concorso in corruzione di Gennaro Concetto volto a favorire Vincenzo Musolino nell’acquisto di un immobile, vicenda questa che si intreccia addirittura, come spiegato dal difensore Claudio Rea, con l’inchiesta “Wall Street” durante la quale lo stesso Musolino, imparentato con il boss Franco Coco Trovato,  aveva già parlato del meccanismo messo in atto a Lecco per “truccare” le aste. Come dicevamo in apertura, il collegio, ha effettivamente ritenuto di prescrivere le posizioni Tei e Corti. Emettendo invece sentenza di condanna per gli altri quattro imputati accusati di corruzione.
A. M.
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