Osnago: Enrico Letta alla festa del PD parla di porcellum, primarie, economia e rilancio

Enrico Letta e il giornalista Massimo Rebotti

"Andremo a votare ancora col Porcellum?". "Se sì, l'affondamento della classe politica è sicuro. Mi sono fatto l'idea che la credibilità politica è così bassa che deve passare dalla capacità del Parlamento di cambiare questa legge elettorale e consegnare così ai cittadini il potere di scelta della maggioranza".
Quello che è stato dunque indicato dall'Onorevole Enrico Letta, ospite ad Osnago alla 3^ Festa Democratica interprovinciale di Lecco e Monza-Brianza nella serata di lunedì, come "il male assoluto", la legge Porcellum appunto, ha aperto l'incontro dedicato al dibattito che ha visto la partecipazione di un numeroso pubblico e del giornalista del Corriere della Sera Massimo Rebotti, che con Letta ha dato vita a un incalzante dialogo abbracciando temi di portata nazionale e di estrema attualità.
"La modifica di questa legge è un passaggio essenziale perché la politica italiana riacquisti credibilità e centralità. Verifico che per ora i passi che dovevano essere fatti non sono stati fatti e che l'affidabilità dell'interlocutore è bassa; siccome noi siamo la minoranza in questo Parlamento andremo verso un compromesso, dato che il nostro sistema elettorale migliore l'abbiamo già scelto ed è indubbiamente il doppio turno, ma ritengo che comunque già questo sia un grosso passo in avanti. Penso che la forza della Merkel sia quella di poter dire "il mio Parlamento è titolare della sovranità del popolo tedesco"; noi invece non possiamo dire "questa è la scelta del popolo italiano" e questo mostra l'alto livello di delegittimazione cui è arrivato il nostro Parlamento".


Applausi fragorosi, segno di approvazione totale da parte del pubblico, hanno fatto da sfondo all'affermazione del vicesegretario nazionale del PD di voler rinnovare con fiducia e sicurezza l'appoggio a Bersani nel corso delle forse prossime primarie: "le primarie si fanno per individuare il candidato Premier che presenteremo agli italiani, il quale dovrà saper parlare in Europa e agli altri Paesi; nel nostro partito rappresentano un rischio ma sono convinto che si debbano fare perché la questione centrale di oggi è la legittimazione della politica. Noi comunque potremo dire che il nostro candidato l'hanno scelto gli italiani".
Si è quindi detto "fautore del rinnovamento" all'interno del partito, dove la filosofia generale appare essere appunto quella di voler mettere in campo una squadra affiancata anche da giovani, di uomini ma anche di donne, per tornare ad essere "l'unico partito italiano che ha applicato e applicherà alle prossime elezioni la regola del ricambio" e per re-innestare i meccanismi di ascensore sociale, spettro dei passati anni '60: "ora il figlio di un operario non può aspirare a un lavoro a cui può aspirare invece il figlio di un professionista; l'Italia deve recuperare su questo e saper rilanciare".
"Interrogato" da Rebotti in merito alla salvaguardia della politica industriale, che dovrebbe essere regolata vuoi dal mercato vuoi dallo Stato stesso a seconda dei punti di vista, Letta ha quindi individuato nello "spostamento di peso dall'economia reale alle finanze" il vero danno economico dell'ultimo decennio. Gli effetti negativi di tale meccanismo, a sua detta, hanno ruotato innanzitutto attorno alla perdita della vocazione manifatturiera del nostro Paese, quel "DNA produttivo" verso il quale lo Stato deve continuare a spingere: "non è vero che noi non sappiamo fare industria come sa fare la Cina; quella produzione di maggiore precisione e design dobbiamo continuare a farla meglio degli altri perché ne siamo capaci. Io trovo demenziale l'idea di buttare via queste vocazioni". Altro danno provocato dallo spostamento di peso alle finanze è stato, come ha spiegato Letta, l'aumento a dismisura delle disuguaglianze degli stipendi e l'idea che "con la finanza si facessero i soldi facili, senza fare fatica".


La causa di tutto, secondo il vicesegretario nazionale del PD, è stato il triennio americano 2004-2007, quella "filosofia Bush che invece di far passi in avanti contro la disuguaglianza sociale ha lasciato tutto com'era e ha innescato i meccanismi dei mutui".
Il dibattito è quindi passato ad abbracciare il macro tema, tanto europeo quanto mondiale, della crisi economica, innescata secondo Letta dai meccanismi della scatole finanziarie e da questa filosofia: "non posso darti assistenza sociale, non posso darti nulla, ma ti do un sogno: un mutuo del 120% per comprarti la casa dei tuoi sogni, arredata coi mobili dei tuoi sogni e la macchina dei tuoi sogni da mettere in giardino. Se non lo puoi pagare, non importa, troveremo dei metodi  attraverso altri sistemi di scatole finanziarie".
Ma la domanda, quella "vera", quella sulla bocca di molti, "perché in Europa sì e in America no?", ha quindi portato alla ribalta, nel tentativo di fornir una risposta, un altro macro tema che spacca i politici e i cittadini del Paese: l'Europa federale col rispettivo sistema monetario. "Il debito di noi europei fa l'80% del PIL europeo, il debito degli americani il 100% del debito federale e il 100% del debito degli altri Stati; e il debito giapponese è più del 200%. Ma il loro debito lo vedono e così sono a posto, diciamo. Io vorrei che gli elettori italiani capissero che noi abbiamo un debito sulle spalle che ha bisogno di credibilità per essere venduto. Noi in Europa abbiamo pensato di fare una moneta senza fare uno Stato federale. La domanda, allora, è "fare un'Europa unita oppure no?" ed è quella che andrà alle prossime elezioni dove noi, a differenza di Berlusconi, Grillo e Bossi, non vorremo uscire dall'euro".
Su uno scenario di disaffezione alla politica, passando per le spinose questioni della moneta unica e della crisi finanziaria, l'atteggiamento del partito e dello stesso Enrico Letta non si è però mostrato pessimista; la politica, in questi casi, viene vista come una "dimensione per la quale vale ancora la pena di prestare servizio" per la comunità, perché "questa è una partita che non può che chiudersi con un rilancio in avanti e rende bello il nostro impegno; saremo chiamati a decidere se il nostri figli e nipoti vivranno in un Italia marginale o in un'Europa unita. È dunque un orgoglio fare politica oggi".
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S.T.
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