Church pocket/57. Volti di Quaresima: profumo di gratuità. L’unzione di Betania
A volte basta un gesto per cambiare l’atmosfera. Un gesto che non segue le regole, che spiazza, che profuma l’aria intorno e resta nella memoria come una breccia di bellezza nel mezzo della tensione. Questo è l’episodio dell’unzione di Betania: una donna, un vaso di profumo costosissimo, e Gesù, a pochi giorni dalla croce.
Siamo a Betania, a casa di Lazzaro, poco prima della Pasqua. Il clima è tagliente: Gesù ha appena resuscitato Lazzaro, e la sua fama, ma anche l’odio nei suoi confronti, si stanno si sta alimentando sempre di più, oscurando i capi religiosi del Sinedrio. La morte è vicina, e lui lo sa, eppure, in questa cornice mesta, succede qualcosa di sorprendentemente amorevole. Una donna, che Giovanni fa coincidere con Maria, sorella di Marta e Lazzaro – di cui abbiamo raccontato il suo fare - prende una libbra di profumo di nardo, lo versa sui piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli. Il Vangelo ci dice: “Tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento” (Gv 12,3). Un gesto d’amore scandaloso. Scandaloso per la gratuità e l’inspiegabilità. Scandaloso per l’intimità e la pubblicità. Scandaloso per l’apparente inutilità. Giuda protesta subito: “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?” Una critica che, ammettiamolo, può sembrare legittima, come quella dell’organo del Santuario della Madonna del Bosco. Ma Gesù la smonta: “Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (Gv 12,7). Come a dire: non tutto si misura in efficienza ed economicità. C’è un tempo per donare ai poveri e un tempo per amare con gratuità. Perché l’amore vero non sempre è “utile”.

L’unzione di Betania è il gesto che anticipa la Passione. Gesù lo interpreta come una preparazione al seppellimento. Maria, senza nemmeno saperlo, è la prima a ungere il corpo di Gesù. È come se avesse intuito che il tempo è compiuto, e che bisogna amare da subito. Senza rimandare. Senza dosare. Senza timore. C'è un paradosso in questo episodio: mentre gli uomini tramano per uccidere, una donna unge. Mentre l’odore della morte si avvicina, lei profuma il corpo del Cristo Vivente. Mentre il denaro agita i pensieri di Giuda, Maria spende tutto in un gesto d'amore. Questo gesto mi ha sempre colpito. Forse perché è così fuori logica. Così eccessivo. Così simile a quegli slanci che oggi verrebbero ridicolizzati come “sentimentali” o “partenopei”. Ma è proprio lì che si gioca il cuore del Vangelo: nella gratuità. Nella bellezza di sprecarsi per amore. In quel profumo che, anche dopo secoli, ancora profuma la Chiesa. Quante volte anche noi ci domandiamo se vale la pena amare così? Se ha senso perdere tempo per gli altri, preparare qualcosa di bello che nessuno noterà, dedicare energie a ciò che non produce nulla, tranne uno sguardo, una carezza, una preghiera? Eppure, è proprio questo profumo che rimane. È questo amore sprecato che cambia il mondo. Maria non spiega, non giustifica, non commenta. Ama. E quel gesto, silenzioso ma potente, diventa profezia. Come scriverà Gesù in un altro Vangelo: “In verità vi dico, dovunque sarà proclamato il Vangelo, nel mondo intero, si racconterà anche ciò che ella ha fatto, in memoria di lei” (Mc 14,9).
Alle porte della Grande Settimana, allora, forse la domanda da porci non è: “Cosa devo fare per meritare l’amore di Dio?”, ma piuttosto: “Quale profumo voglio lasciare nel cuore degli altri?” Perché, alla fine, il Vangelo è questo: una storia di profumo versato e non trattenuto. Di amore che unge le ferite. Di bellezza che non si spiega, ma si offre. E forse, anche la nostra vita può diventare così: un vaso di nardo spezzato, che profuma la stanza del mondo.
E se l’amore gratuito di Maria ci parla di bellezza, il Venerdì Santo ci conduce sulla vetta estrema di quell’amore: il dono della vita stessa. È il giorno della Croce, della Passione, del sangue versato per amore. E così vorrei ricordare Suor Maria Laura Mainetti, che a Chiavenna, nel 2000, è morta come Cristo: perdonando chi la uccideva. Diciannove coltellate, una trappola tesa con l’inganno. Eppure, le sue ultime parole furono: “Signore, perdonale”. Un’eco struggente del Vangelo, un grido che rompe il male con il perdono. Come Maria a Betania, Suor Maria Laura ha versato il profumo della sua vita senza trattenere nulla. E il suo amore, come quello di Cristo, profuma ancora l’aria. Non tutto si spiega. Ma tutto si può amare.
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Siamo a Betania, a casa di Lazzaro, poco prima della Pasqua. Il clima è tagliente: Gesù ha appena resuscitato Lazzaro, e la sua fama, ma anche l’odio nei suoi confronti, si stanno si sta alimentando sempre di più, oscurando i capi religiosi del Sinedrio. La morte è vicina, e lui lo sa, eppure, in questa cornice mesta, succede qualcosa di sorprendentemente amorevole. Una donna, che Giovanni fa coincidere con Maria, sorella di Marta e Lazzaro – di cui abbiamo raccontato il suo fare - prende una libbra di profumo di nardo, lo versa sui piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli. Il Vangelo ci dice: “Tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento” (Gv 12,3). Un gesto d’amore scandaloso. Scandaloso per la gratuità e l’inspiegabilità. Scandaloso per l’intimità e la pubblicità. Scandaloso per l’apparente inutilità. Giuda protesta subito: “Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?” Una critica che, ammettiamolo, può sembrare legittima, come quella dell’organo del Santuario della Madonna del Bosco. Ma Gesù la smonta: “Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura” (Gv 12,7). Come a dire: non tutto si misura in efficienza ed economicità. C’è un tempo per donare ai poveri e un tempo per amare con gratuità. Perché l’amore vero non sempre è “utile”.

L’unzione di Betania è il gesto che anticipa la Passione. Gesù lo interpreta come una preparazione al seppellimento. Maria, senza nemmeno saperlo, è la prima a ungere il corpo di Gesù. È come se avesse intuito che il tempo è compiuto, e che bisogna amare da subito. Senza rimandare. Senza dosare. Senza timore. C'è un paradosso in questo episodio: mentre gli uomini tramano per uccidere, una donna unge. Mentre l’odore della morte si avvicina, lei profuma il corpo del Cristo Vivente. Mentre il denaro agita i pensieri di Giuda, Maria spende tutto in un gesto d'amore. Questo gesto mi ha sempre colpito. Forse perché è così fuori logica. Così eccessivo. Così simile a quegli slanci che oggi verrebbero ridicolizzati come “sentimentali” o “partenopei”. Ma è proprio lì che si gioca il cuore del Vangelo: nella gratuità. Nella bellezza di sprecarsi per amore. In quel profumo che, anche dopo secoli, ancora profuma la Chiesa. Quante volte anche noi ci domandiamo se vale la pena amare così? Se ha senso perdere tempo per gli altri, preparare qualcosa di bello che nessuno noterà, dedicare energie a ciò che non produce nulla, tranne uno sguardo, una carezza, una preghiera? Eppure, è proprio questo profumo che rimane. È questo amore sprecato che cambia il mondo. Maria non spiega, non giustifica, non commenta. Ama. E quel gesto, silenzioso ma potente, diventa profezia. Come scriverà Gesù in un altro Vangelo: “In verità vi dico, dovunque sarà proclamato il Vangelo, nel mondo intero, si racconterà anche ciò che ella ha fatto, in memoria di lei” (Mc 14,9).
Alle porte della Grande Settimana, allora, forse la domanda da porci non è: “Cosa devo fare per meritare l’amore di Dio?”, ma piuttosto: “Quale profumo voglio lasciare nel cuore degli altri?” Perché, alla fine, il Vangelo è questo: una storia di profumo versato e non trattenuto. Di amore che unge le ferite. Di bellezza che non si spiega, ma si offre. E forse, anche la nostra vita può diventare così: un vaso di nardo spezzato, che profuma la stanza del mondo.
E se l’amore gratuito di Maria ci parla di bellezza, il Venerdì Santo ci conduce sulla vetta estrema di quell’amore: il dono della vita stessa. È il giorno della Croce, della Passione, del sangue versato per amore. E così vorrei ricordare Suor Maria Laura Mainetti, che a Chiavenna, nel 2000, è morta come Cristo: perdonando chi la uccideva. Diciannove coltellate, una trappola tesa con l’inganno. Eppure, le sue ultime parole furono: “Signore, perdonale”. Un’eco struggente del Vangelo, un grido che rompe il male con il perdono. Come Maria a Betania, Suor Maria Laura ha versato il profumo della sua vita senza trattenere nulla. E il suo amore, come quello di Cristo, profuma ancora l’aria. Non tutto si spiega. Ma tutto si può amare.
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Rubrica a cura di Pietro Santoro